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Il Pci ha rappresentato una forte anomalia nella storia politica del Secondo Dopoguerra, sia per capacità di attrarre consensi elettorali che per il profondo e intenso radicamento all’interno della società. Nel resto dell’Europa occidentale nessuna forza della sinistra mostrò infatti una carica propulsiva così vigorosa. Un fenomeno di simile portata è stato ovviamente radiografato dalla storiografia in tutte le sue declinazioni e aspetti più peculiari. C’era, però, un’angolatura di rilievo che scontava ancora l’assenza di uno studio ad hoc: il rapporto tra il Pci e la sinistra europea. Ed è proprio in questo varco che si inserisce il lavoro di Michele Di Donato, autentico enfant prodige nel panorama degli storici italiani, capace di assemblare organicamente anni di ricerche tra gli archivi del Pci, dell’Internazionale socialista e dei maggiori partiti socialdemocratici, socialisti e laburisti europei, collezioni provenienti da archivi dei paesi del Patto di Varsavia, oltre alla stampa periodica.
Il volume ‘I comunisti italiani e la sinistra europea’, edito da Carocci, rivela con personalità le coordinate scientifiche di riferimento dell’autore, allevato intellettualmente da personaggi del calibro di Roberto Gualtieri, Vittorio Vidotto, Leopoldo Nuti, Mario Del Pero e Silvio Pons. A soli 30 anni appena compiuti già può annoverare esperienze presso il Centro Ideas della London School of Economics, il Centre d’Histoire di Sciences Po e la Fondazione Istituto Gramsci, oltre a un dottorato di ricerca. Un curriculum da veterano, nonostante l’età.
“Il tema dei rapporti fra Pci e socialdemocrazie europee affiora in maniera ricorrente nel discorso pubblico e in quello politico”. Mancava, tuttavia, “un tentativo di ricostruzione storica complessiva di questa vicenda. Il libro prova a colmare questo vuoto a partire da una ricerca archivistica incrociata sulle carte dei protagonisti di queste vicende: i comunisti italiani, naturalmente, ma anche i principali partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti europei, l'Internazionale socialista, alcuni dei partiti comunisti dell'Europa orientale”, spiega Di Donato che avvia l’analisi dalla metà degli anni Sessanta, tracciando però anche un’accurata e inevitabile contestualizzazione delle dinamiche post II Guerra Mondiale. Viene poi esplorata, sin dalle prime pagine, la percezione del Pci che la socialdemocrazie europee avevano acquisito: l’idea di un partito orientato verso la guida di un “terzo centro comunista”, che tuttavia non corrispondeva all’effettiva azione dello stesso. Ciò avveniva perché in realtà le cancellerie europee, in quegli anni, non nutrivano particolare interesse verso l’operato dei comunisti italiani. Un’eccezione era rappresentata dai tedeschi e, infatti, i contatti più fitti si dispiegarono proprio tra Pci e Spd.
La necessità di un’interazione più solida con le realtà socialdemocratiche derivava dalla consapevolezza del gruppo dirigente italiano, sin dal 1965, che non fosse più adeguato “vedere solo quello che è possibile tra partiti comunisti”, ma che risultasse quindi imprescindibile “orientarci verso forze più larghe”. Di Donato focalizza poi l’impatto esercitato dall’escalation del conflitto vietnamita, rivelatore di posizioni dissimili tra le sinistre nel campo della politica estera. Ciò non bloccò l’aspirazione del Pci all’allargamento dei contatti con i partiti dell’Internazionale socialista, che compirono un importante salto di qualità a partire dalla primavera del 1967. In particolare i movimenti del 1968 determinarono la radicalizzazione di alcune socialdemocrazie europee, favorendo fisiologicamente il dialogo con il Pci. L’approccio di Di Donato è all’insegna del più assoluto rigore, garantito da un vastissimo reticolo bibliografico. L’analisi procede con un ritmo sostenuto, in grado di mantenere alta la soglia dell’attenzione del lettore. Ma, allo stesso tempo, le formulazioni elaborate sono il naturale prodotto di incursioni tra gli avvenimenti spartiacque del periodo esaminato (1964-1984), che costituiscono il perno intorno cui ruotano e si rimodellano i rapporti tra il Pci e i vari soggetti della sinistra europea. In questo senso, per esempio, l’invasione sovietica della Cecoslovacchia incrina la politica fondata sulla distensione e sull’allentamento dei blocchi e la scelta del Pci di non rompere l’Urss lo allontanò dagli altri interlocutori, esclusa la Spd.
L’ultimo scorcio degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta consegnarono una novità di enorme rilievo: l’affermazione delle socialdemocrazie, che si candidavano così al ruolo di forza egemone nel panorama europeo. Una novità che marchiò a fuoco i rapporti tra le sinistre del continente, poi indebolitesi con lo shock petrolifero dell’autunno del ’73. Ma, nel frattempo, segretario del Pci era diventato (marzo ’72) Enrico Berlinguer, che riattivò immediatamente l’iniziativa internazionale del partito, affidandosi a quell’eurocomunismo condensato da un motto lapidario quanto incisivo: “Siamo per un’Europa autonoma e democratica, né antisovietica né antiamericana”, che poi sfociò nella rinuncia alla contestazione dell’appartenenza italiana alla Nato. E proprio nello studio di questa fase emerge un’ulteriore capacità dell’autore, che entra nel dettaglio dei rapporti in seno al movimento comunista europeo per rendere ancora più intellegibile la nuova strategia disegnata dal Pci.
L’eurocomunismo e le scelte politiche successive, che si snodarono dal compromesso storico alla solidarietà nazionale, vengono lette attraverso le profonde trasformazioni economiche e produttive degli anni Settanta e sulla base dei nuovi assetti internazionali. Lo spartito europeo presentò infatti novità, soprattutto nel Meridione, con i mutati scenari in Spagna, Grecia e Portogallo. Di Donato ricostruisce le modalità con cui il Partito Socialista Francese tentò di accreditarsi in qualità di leader del socialismo nel continente, ma immortala anche il caso svedese, la sempre vigile attenzione dell’Spd verso gli sviluppi italiani e le peculiarità del Labour Party inglese la cui ala sinistra, ascrivibile al socialismo ortodosso, garantiva fecondi contatti con il Pci.
Lo sguardo si proietta poi sino alla crisi degli euromissili e al confronto con la nuova stagione dei socialisti italiani guidati da Craxi. In conclusione l’autore riesce a sintetizzare pregevolmente i complessi cambiamenti che hanno caratterizzato la politica estera del Pci, riproducendo in poche ed efficaci parole un meccanismo ventennale. “Nella primavera del 1984, il Pci condusse un’energica campagna elettorale in vista delle elezioni europee di giugno. Nella campagna, il Partito comunista aveva insistito sul proprio impegno per l’avanzamento di quel progetto di integrazione che, ancora una ventina di anni prima, era denunciato come funzionale allo sviluppo del ‘capitalismo monopolista’”. La ricerca di una Terza via era quindi ancora in campo, ma le difficoltà per raggiungerla sembravano moltiplicarsi come dimostreranno poi le vicende successive. Tra le pagine del volume resta scolpita una lezione fondamentale: lo studio della storia ha senso esclusivamente se alimentato dalla minuzia delle fonti e da un rigore di carattere scientifico. E Di Donato incarna perfettamente questo assioma.