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È tempo di compleanni. L'Antitrust, Autorità garante della concorrenza e del mercato, compie vent'anni in questi giorni. Ma se chiedessimo in un sondaggio, diciamo a qualche migliaio di italiani, quali sono le istituzioni che conoscono di più e se sanno di cosa si occupano, difficilmente l'Antitrust si piazzerebbe in cima alla classifica. Cos'è l'Antitrust? Una decina di anni fa sarebbe stato facile rispondere: è l'Autorità che ha "stangato" le compagnie telefoniche perché si erano messe d'accordo sulle tariffe! Oppure: è l'Autorità che ha "purgato" le assicurazioni perché avevano organizzato un cartello ai danni dei consumatori! Rispondere oggi, invece, è un po' più difficile.
Ci prova un libro dato alle stampe da poco: Le stagioni dell'Antitrust (EGEA Università Bocconi editore, Milano, 230 pagine, 16 euro: al link si può scaricare la prefazione di Salvatore Bragantini e l'indice), scritto a quattro mani da Lapo Berti e Andrea Pezzoli che la materia la dominano due volte, in quanto economisti e perché dirigenti in forza all'Autorità medesima.
Muovendo da un ben motivato disincanto ("perché in Italia il tempo della concorrenza non arriva mai?", "perché la piantina dell'antitrust non mette radici solide?", "perché non è stata ancora approvata una legge sulla concorrenza?", si chiedono di pagina in pagina Berti e Pezzoli provando a rispondere) e da una passione intellettuale per le (se non da un ispirato credo nelle) potenzialità di un mercato pienamente funzionante, regolato, vigilato, liberalizzato e concorrenziale, i due autori ci offrono un saggio insieme di storia dell'Antitrust italiano (vent'anni, appunto) e di critica dell'odierna Autorità. Duecento pagine che contengono tutti gli elementi necessari per "farsi un'idea", semmai un giorno dovesse davvero squillare il telefono e qualcuno dall'altra parte chiedesse: "Stiamo facendo un sondaggio, lei cosa ne sa dell'Antitrust?".
Il libro, per la verità, è più sbilanciato sull'oggi che sul passato. Dedica molto più spazio all'amministrazione presieduta da Antonio Catricalà che a quella di Giuliano Amato o Giuseppe Tesauro. E non nasconde la sua tesi di fondo, piuttosto critica nei confronti della gestione Catricalà.
A proposito di "oggi": lo scorso 11 ottobre, nel corso della cerimonia per il ventennale, Catricalà in persona ha detto (come riporta l'Apcom) che l'Italia è "convalescente dal punto di vista della concorrenza". Per poi spiegare che "stiamo ancora uscendo da una situazione di vecchio monopolio statale che fino al 1990 occupava quasi tutti i settori del paese. Oggi molti passi in avanti sono stati fatti", ma per il presidente dell'Antitrust "la strada è ancora lunga da percorrere". Nella stessa occasione (riporta invece l'Ansa) lo stesso Catricalà ha sottolineato che l'Antitrust non può "limitarsi a essere una polizia di mercato. La sua attività non deve esaurirsi nell'irrogazione di una sanzione pecuniaria", che "è davvero l'extrema ratio", specialmente in un paese dove le imprese e l'economia non crescono più.
Il giorno prima, a Roma, nel corso di una cerimonia alquanto pop in piena e domenicale Galleria Alberto Sordi, presentando il francobollo celebrativo dell'anniversario antitrustiano lo stesso Catricalà spiegava inoltre che 'contro le prepotenze, le insidie e i soprusi esiste un'istituzione di garanzia, amica dei consumatori', e poi premiava 112 studenti vincitori del concorso "Io non abbocco!". Meno sanzioni alle imprese e più attenzione ai consumatori, anche ai limiti del nazional-popolare: due atteggiamenti che connotano l'Autorità odierna e sui quali Berti e Pezzoli argomentano a lungo non senza prendere le distanze, convinti come sono (infatti lo scrivono) che "tanto più ci si muove verso una concezione paternalistica della tutela del consumatore tanto più il processo di integrazione con la politica della concorrenza diventa problematico o comunque può avvenire solo al ribasso, di fatto privilegiando i consumatori meno disposti a sopportare i costi della ricerca delle informazioni necessarie per una scelta consapevole e, quindi, paradossalmente anche i più disponibili ad accettare i pregi e i difetti di una situazione monopolistica".
Un altro episodio: verso la fine di settembre, a Parigi, nel corso di un convegno sulla concorrenza, un omologo europeo di Catricalà (un omologo di un grande paese europeo) ha confidato a un analista italiano di provare una certa meraviglia nel non vedere mai il presidente della nostra Autorità "intervenire ai convegni internazionali, come invece fanno regolarmente i presidenti delle autorità francese, inglese, tedesca e americana". Anche questo è un elemento per conoscere l'Antitrust dei nostri giorni? Forse sì. Berti e Pezzoli, che nell'Antitrust dei nostri giorni ci lavorano, per raccontarla ricorrono alla metafora delle stagioni, parafrasando il film del coreano Kim Ki-Duk Primavera, estate, autunno, inverno.. e ancora primavera (nel libro si cita anche Spiderman; il che, per un testo di economia, è un'assoluta e postmoderna novità). Quali sono queste stagioni? La primavera della fondazione, su pressione europea e da bravi latecomer italioti, con un secolo di ritardo rispetto agli Stati Uniti e in un paese per nulla avvezzo alla cultura della concorrenza e all'indipendenza delle amministrazioni rispetto alla politica. L'estate e l'autunno rigoglioso (un'ottobrata romana) delle presidenze Amato e Tesauro, ricche di successi e di terrigno attecchimento per la "fragile piantina" in un quadro di crescita economica quasi quindicennale.
Infine il lungo inverno di Catricalà, dove gli autori anche astutamente attribuiscono il gelo non a Catricalà medesimo ma alla crisi economica e al cambiamento del contesto politico, rimproverando semmai all'attuale presidente errori di selezione dal menu degli strumenti. In attesa della nuova primavera, sperando che arrivi, Berti e Pezzoli mettono nel mirino il nuovo corso di "benevolenza" e "clemenza" adottato dall'Antitrust: gli abusi non puniti, i procedimenti chiusi con semplici "impegni" da parte delle aziende (dal 2007 al 2009, si legge nel libro, la procedura è stata adottata in 12 su 27 casi di intese restrittive della concorrenza, e in 17 su 21 riguardanti presunti abusi di posizione dominante), insomma il venir meno di quell'abito sanzionatorio che secondo gli autori dovrebbe invece essere l'arma dissuasiva principale dell'Autorità nei confronti delle pratiche di concorrenza sleale. La filosofia di Catricalà, come dimostrano le sue stesse parole, è molto diversa. Gli autori gli rimproverano un'impostazione soft consentita sì dai nuovi strumenti offerti da recenti normative europee, ma che in realtà (sostengono Berti e Pezzoli) si allontanerebbe dallo stesso continente, visto che – scrivono – "il livello delle sanzioni è risultato decisamente più contenuto di quello adottato dalla Commissione Europea". Un arbitro un po' rabbonito, questo Antitrust considerato dai due autori, che ha smesso di estrarre cartellini rossi mentre sul campo prosegue il gioco duro.
Ai due economisti si potrebbe obiettare, dando in parte ragione a Catricalà, che c'è la crisi. Che le fabbriche chiudono. Che le imprese, per sopravvivere, tendono a fondersi. Lo fanno le banche e le compagnie aeree, e nel farlo di sicuro violano la "religione dell'antitrust" (la definizione viene da un signore che si chiama Rockefeller, does the name ring a bell?). Insomma – questa l'obiezione – la concorrenza è più importante della stessa sopravvivenza? Berti e Pezzoli però sono preparati e rispediscono la palla oltre la rete: in una crisi economica – sostengono – la concorrenza non è "parte del problema" (come la politica e il senso comune tendono a pensare) ma è "parte della soluzione" e potrebbe anzi aiutare un sistema Italia bloccato, dove l'economia è ferma, i salari non crescono e di conseguenza neppure i consumi. Gli autori ammoniscono a non fare come negli anni Trenta del secolo scorso, quando "i limiti posti all'azione della concorrenza ebbero l'effetto di prolungare la depressione", sebbene riconoscano che stia già accadendo, che "accordi e concentrazioni tra imprese" siano consentiti e favoriti dalla politica. La ricetta di Berti e Pezzoli per uscire dalla crisi è un'altra: valorizzare gli aiuti di stato coniugandoli con un'"applicazione rigorosa del diritto antitrust", e allo stesso tempo varare una "riforma incisiva" degli ammortizzatori sociali che consenta di "attenuare" i costi sociali della concorrenza.
Dunque anche per Berti e Pezzoli il capitalismo - sebbene siano convinti che "non è finito, e non finirà mai" – non basta. E la più dispiegata e liberale delle competizioni non è sufficiente. Perché la concorrenza funzioni ci vuole il Welfare. Che significa: tanti soldi pubblici investiti in tutele universali e sufficienti per tutti, che siano dipendenti o precari, dipendenti di grandi aziende oppure piccole, madri lavoratrici oppure single, giovani o vecchi. Il Welfare che consente di abbandonare un'azienda al suo destino, se è decotta, perché chi ci lavora non ne uscirà con le ossa rotte.
Peccato che una riforma degli ammortizzatori sociali cosiffatta, in Italia, sia più improbabile di uno scudetto alla Sanbenedettese. Stessa sorte per la concorrenza? Parafrasando un detto che viene dalla Gran Bretagna, madrepatria della libera intrapresa, si potrebbe dire che "wrong or wrong, it's my country".