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“Paola, Abdullah, Arcangelo, Zaccaria, Ioan...”. Il mesto appello scandito dal segretario nazionale della Cgil, Giuseppe Massafra, è quello dei braccianti italiani e stranieri accomunati dal triste destino di aver pagato con la vita gli sforzi e i ritmi insostenibili di quel lavoro agricolo che in Puglia, ma non solo, è troppo spesso connesso a sfruttamento, quindi caporalato.
Nomi ricordati nel giorno in cui in prima pagina il New York Times racconta la storia di Paola Clemente, la bracciante tarantina morta nelle campagne di Andria. In una piazza, quella della borgata rurale di Mezzanone, agro di Manfredonia ma a pochi chilometri da Foggia, 500 residenti e oltre tremila stranieri: chi residente nel Centro richiedenti asilo allestito su un vecchio scalo aeroportuale, chi nelle baracche che sorgono quasi poggiate alla recinzione del sito del Ministero dell’Interno. E che dopo lo sgombero di Rignano si candida a diventare il nuovo grande ghetto di Capitanata. Qui la Flai e la Cgil Puglia hanno scelto di tenere l’iniziativa regionale “Caporalato No!”, il 12 aprile: un’assemblea per rilanciare le proposte del sindacato per spezzare il ricatto dei caporali che tiene in ostaggio la vita e il lavoro dei braccianti immigrati.
“Accoglienza: mappa degli immobili pubblici da adibire a luoghi di ospitalità nei centri urbani – mette in fila le proposte Antonio Gagliardi, segretario generale della Flai pugliese –. Un servizio pubblico per garantire il trasporto dei lavoratori soprattutto nel periodo delle grandi raccolte. Collocamento: allestire nei centri per l’impiego sportelli dedicate alle liste di prenotazione già sperimentate nella nostra regione. Vi sono risorse importanti che la Regione può utilizzare per tutte queste operazioni, oltre a quelle mai trasferite del protocollo sperimentale sottoscritto con i ministeri. Politiche attive, ma ora c'è una legge di contrasto al caporalato e chiediamo venga applicata anche nelle sue parti repressive. Perché ci sono movimenti autonomi di agricoltori in Puglia che lottano per una modifica della 199/2016, dicono sia vessatoria. In realtà difendono solo il sottosalario. Sono attacchi strumentali che respingiamo con forza”.
Proposte, quelle di Flai e Cgi Puglia, che a sentire il presidente della Regione Michele Emiliano, intervenuto con un video perché ancora convalescente dopo l’infortunio al piede, sono condivisibili, anzi “sacrosante e su quella linea ci stiamo muovendo. Ci auguriamo che queste misure abbiano successo, perché è chiaro che c’è un’ombra mafiosa sul caporalato, parliamo probabilmente di organizzazioni criminali campane e pugliesi che proteggono l’attività dei capi neri all’interno dei ghetti e che assoggettano e costringono le imprese ad ottenere la manodopera attraverso questo tipo di rapporto”.
“Incassiamo la disponibilità della Regione e abbiamo già in calendario incontri per passare da fase proposta a interventi concreti”, sottolinea Pino Gesmundo, segretario generale della Cgil Puglia. “La nostra è una terra che fa dell’agroalimentare uno dei suoi brand, assieme al turismo, al grande patrimonio culturale e paesaggistico, e che vanta anche eccellenze in settori innovativi, penso ad aerospazio o farmaceutica. La nostra è allora una battaglia di dignità e legalità per migliorare la condizione di migliaia di uomini e donne e perché si smetta di parlare di Puglia come terra di sfruttamento. Tutti dobbiamo vergognarci e indignarci per questo: cittadini, istituzioni, imprese, e agire però di conseguenza. La prima risposta vera sarebbe quella di applicare i contratti, che grande rivoluzione che invochiamo vero? Un reddito giusto e dignitoso e nessuno sarebbe costretto a vivere in condizioni di degrado. Altro che proteste di agricoltori che si sentono oppressi dalle leggi”.
Proteste dalle quali parte anche la riflessione di Massafra: “Dobbiamo fare un’operazione di contrasto alla reazione violenta di chi prova a conservare egemonia in un sistema malato. Perché la legge contro il caporalato è il risultato di una battaglia lunga trent’anni che il mondo del lavoro ha condotto a caro prezzo. Una legge di civiltà, l'abbiamo definita. La legge deve trovare applicazione concreta, perché abbia effetto nella sua missione di garantire verità nella lettura del fenomeno dello sfruttamento. Possiamo dire anche che, almeno nel dibattito istituzionale, è stata vinta la sfida sul piano culturale. Ancora fino a poco prima dell’emanazione della legge abbiamo assistito alle innumerevoli affermazioni che dicevano che il caporalato non esisteva o che si trattava di un fenomeno limitato. Lo dicevano sindaci, assessori, associazioni di categoria, dentro quella spirale negazionista che ricorda moltissimo il tipico atteggiamento che si è avuto a proposito della mafia. Oggi è difficile sentir dire che il fenomeno non esiste, ma il rischio è che si continui a sbattere - come ha affermato lo scrittore Alessandro Leogrande in un recente articolo – contro un muro di gomma”.
Un muro di gomma tenuto in piedi dalle quelle associazioni datoriali che affermano l’intento persecutorio delle norme: “Quella legge, se correttamente applicata, tutela le imprese sane, oneste, che operano nella legalità”, insiste il segretario nazionale della Cgil. “A quelle associazioni che continuano a difendere un sistema criminale, come è accaduto a Bari qualche giorno fa, guarda caso due giorni dopo l’arresto di sei persone, accusate di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, nell’ambito dell’inchiesta sulla morte della nostra Paola Clemente, noi diciamo che non è attraverso lo sfruttamento della manodopera, non è col sudore e col sangue dei più deboli, non è calpestando la dignità delle persone che ci si rende competitivi nel mercato. Anche se siamo consapevoli di come la battaglia contro il caporalato sia ancora lunga. Lo diciamo guardando a una filiera la cui struttura – raccolta, trasformazione, distribuzione - è in larga parte controllata dall'industria della trasformazione e dalla grande distribuzione organizzata, che determinano un abbassamento dei costi nella parte iniziale del processo. Tutto questo si scarica sui più deboli, a valle, sui lavoratori. Così non può e deve funzionare, per questo occorre che si agisca tutti insieme, associazioni sindacali, datoriali, dei consumatori, istituzioni”