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Salvano le vite degli ultimi, dei tossicodipendenti, delle donne schiave delle tratte, dei senza fissa dimora. Limitano la diffusione di malattie a trasmissione sessuale. Raccolgono letteralmente le persone da terra e offrono loro un primo rifugio. In gergo si chiamano “unità di strada”. Lavorano nell’ombra – è il caso di dire – perché spesso gli interventi avvengono di notte e in situazioni di pericolo. Un’ombra che però copre anche la certezza del loro impiego, con conseguenze nefaste sia per gli stessi operatori – costretti a barcamenarsi da un appalto all’altro come tutti gli altri precari – sia ovviamente per coloro che hanno bisogno di una mano per sopravvivere. Ecco perché alcune associazioni (gruppo Abele e cooperativa sociale Cat di Firenze, in collaborazione con Cgil e Cnca) hanno voluto rilanciare il tema organizzando tre giorni di convegni e seminari a Certaldo, la città dove 25 anni fa nacque la prima carta (la Carta di Certaldo, appunto) dedicata a questo importante mestiere. All’appuntamento (7-9 novembre) parteciperanno tanti esperti insieme ai protagonisti del lavoro di strada e, tra gli altri, ci sarà anche il segretario generale della Cgil Maurizio Landini (qui il programma completo). L’obiettivo è accendere di nuovo i riflettori su questo sconosciuto “mondo di sotto”, davvero lontanissimo da quel “mondo di mezzo” salito alle cronache grazie all’inchiesta su Mafia Capitale.
Claudio Cippitelli, sociologo e fondatore della cooperativa Parsec, sarà tra i relatori. È lui a spiegarci in cosa consiste il lavoro di strada: “Noi gestiamo interventi destrutturati, nel senso che andiamo fisicamente nei luoghi del disagio per gestire le situazioni di crisi. Il problema è che dopo tanti anni ci considerano ancora come un ‘progetto sperimentale’. Praticamente siamo intrappolati in un limbo, sempre con la spada di Damocle del rinnovo del bando”. Il che significa perenne precarietà anche per gli operatori delle cooperative, i quali tra l’altro sono tutti laureati, spesso con master e specializzazione. “Certo – riprende a spiegare il sociologo –, lo fanno con una profonda passione, perché questo lavoro non si farebbe senza passione. Però mancano i soldi”. Dalla giunta Alemanno in poi a Roma, dove opera la Parsec, sul capitolo dei finanziamenti si è toccato il fondo. Ora si va verso l’idea dell’accreditamento del servizio con il sistema sanitario, con il rischio però di una semplificazione incongrua ed eccessiva, ovvero il pagamento a prestazione, una sorta di cottimo. “Noi non possiamo essere retribuiti per ciascun singolo intervento come se fossimo un laboratorio di analisi. C’è bisogno di una soluzione più stabile e strutturale. Ma a quanto pare le burocrazie fanno fatica a comprendere il ruolo centrale delle unità di strada. Volete un esempio? Il progetto Roxanne (come la canzone dei Police, ndr) ha permesso a molte donne sfruttate di uscire dalla tratta del sesso, di essere accolte in una casa-famiglia e alla fine di trovare un lavoro. Tutto questo senza le unità di strada sarebbe stato impossibile”.
Siamo intrappolati in un limbo, sempre con la spada di Damocle del rinnovo del bando
Tra le “vittime” della noncuranza c’è il centro Tartaruga, che a Roma ha salvato migliaia di vite nei vent’anni in cui è stato attivo. Dallo scorso dicembre ha chiuso a causa del combinato disposto di alcune verifiche sullo stabile da parte dell’Asl e del Municipio e, contestualmente, per l’assenza di finanziamenti. “Parlare di trincea è poco. Noi siamo oltre la trincea. Il centro Tartaruga è stato aperto per vent’anni tutti i giorni, venti ore al giorno. Solo il pronto soccorso degli ospedali faceva più ore. Questa chiusura è la prova dell’incenerimento sociale a cui stiamo assistendo, perché adesso di quelle persone non si occupa più nessuno”. Ce lo spiega Salvatore Migliore, presidente dall’associazione La Tenda, onlus che gestiva il Tartaruga: “Voglio ricordare che lo stabile in questione ci fu assegnato nel 1999 dalla Asl di competenza di quel periodo perché era riconosciuta un’emergenza sociale. E noi in questi anni abbiamo fatto migliaia e migliaia d'interventi per overdose”. Ci racconta di 50-60 persone in media al giorno, tra tossicodipendenti e alcolisti, che trovavano accoglienza e ristoro. “Fate voi i conti di quanta gente abbiamo preso in carico. Persone che ora sono state abbandonate. Qualcuno dovrebbe dirci che cosa ne pensa: sono forse considerati solo scarti numerici oppure è rimasta, da qualche parte, una decenza sociale? Senza contare che ci sono pure quattordici operatori rimasti a casa. Siamo riusciti a sopravvivere fronteggiando le più incredibili amministrazioni, da Alemanno a Storace, adesso chiudiamo con Raggi e Zingaretti, questa è una cosa che ci fa ancora più rabbia”.
Quelli appena citati sono soltanto due esempi, ma se ne potrebbero fare altri mille. Non è dunque difficile capire perché un sindacato come la Cgil abbia deciso di farsi parte attiva in questa battaglia ponendosi tra i capofila della tre giorni di Certaldo. “Per noi – spiega Denise Amerini, che per l’area welfare della confederazione si occupa di questi temi – è importantissimo esserci, per almeno due motivi. Primo: pretendiamo che le politiche della salute nel nostro Paese siano un diritto per tutti, anche per dare una risposta all’ondata repressiva e di odio, a questa spinta all’emarginazione di persone già ai margini. Sono i migranti, le vittime di tratta, i senza fissa dimora, coloro che fanno uso in modo problematico di droghe e non hanno gli strumenti, le possibilità e certe volte nemmeno la voglia di andare in un ambulatorio. Ecco, un lavoro di questo tipo significa restituire i diritti e per noi i diritti sono il tema centrale”.
Senza questi servizi i costi delle casse pubbliche aumentano
L’altro punto che ovviamente sta a cuore del sindacato è quello dei lavoratori. “C’è ancora chi considera queste persone come se fossero volontari, ma si sbaglia. C’è bisogno di una formazione multidisciplinare, di saper leggere le dinamiche urbane e dei luoghi di aggregazione giovanile. Occorre capire in anticipo come cambiano gli stili di vita, dotarsi degli strumenti per approcciarsi a chi vive in situazioni al limite e, con il tempo, avvicinarle ai servizi. Un lavoro importantissimo, oggi poco riconosciuto e valorizzato dalla committenza pubblica”. Forse è proprio questa scarsa considerazione ad aver portato le istituzioni a preferire altri tipi di assistenza, come dimostra il fatto che il lavoro di strada è da sempre in regime di sperimentalità, costretto a operare con proroghe di anno in anno. “Tra l’altro – sottolinea Amerini – in questo modo i costi finali per le casse pubbliche aumentano, perché aumentano le malattie sessualmente trasmesse, per dirne una. In poche parole, noi vogliamo tenere insieme i diritti delle persone, individuali e collettivi, con quelli del lavoro. E da Certaldo rilanciamo la nostra richiesta: gli operatori di strada devono essere riconosciuti in tutta la loro specificità, visto che sfuggono alle classificazioni standard. Hanno bisogno di stabilità e per fare questo – conclude – ci vuole soprattutto un forte ruolo del pubblico che dia un giusto riconoscimento, anche dal punto di vista economico”.