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Ci sono imprese che sarebbero pronte a investire e a ripartire, ma non dispongono degli strumenti adatti a partire dalle risorse finanziarie che a quanto pare neppure le banche sono in grado di erogare. E non è neppure possibile pensare di risolvere i problemi dei ritardi dell’economia italiana continuando a incidere solo sulla leva della riduzione del costo del lavoro. Sono questi i due punti sui cui – pur da angolazioni e culture diverse – hanno concordato oggi i protagonisti di uno dei dibattiti delle Giornate di Firenze, “Il lavoro ricostruisce l’Italia”: Riccardo Nencini, Vice Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Marco Gabriele Gay, Presidente Giovani Imprenditori di Confindustria. Massimo Mucchetti, Presidente Commissione Industria del Senato e Fabrizio Solari, segretario confederale Cgil. Il confronto è stato moderato dal giornalista di Mediaset, Luca Telese.
E’ vero, c’è una volontà di tornare a investire, ma ci devono essere le condizioni per garantire la produttività, ha detto Marco Gabriele Gay. Nel Jobs Act si devono – secondo i giovani della Confindustria – valorizzare soprattutto le parti che riguardano la riforma dei tempi dell’erogazione della cassa integrazione. E la parte relativa alle politiche attive per sostenere le imprese che devono ristrutturare. Non si devono cioè dare soldi a pioggia o senza un obiettivo preciso. Per salvare il lavoro e permettere alle aziende di non chiudere si deve dare loro prima di tutto la possibilità di riassumere persone formate, dopo i periodo di crisi e cassa integrazione. Le aziende chiedono di essere sostenute. Si tratta di favorire il fare imprese. Per questo, sempre secondo Gay, un’altra condizione essenziale è che gli investimenti devono essere finalizzati alla crescita delle imprese. Su questi punti si dovranno misurare le scelte del governo che comunque, sempre secondo il giudizio dei giovani imprenditori di Confindustria, ha formulato “un’ottima la legge di stabilità”, e un buon Jobs Act”.
Non basta però fermarsi a parlare del piccolo cabotaggio o ragionare solo sulle misure messe in campo dal governo sui temi del lavoro. Per capire come il Paese possa davvero ripartire si deve assumere una prospettiva europea, come ha ricordato il viceministro alle Infrastrutture e ai trasporti, Riccardo Nencini, secondo il quale l’Italia non è pensabile fuori dall’Europa. Non è possibile affidare al mercato la soluzione dei problemi della povertà. Ci deve essere una mano pubblica in economia. Non si tratta di essere nostalgici o scopiazzare esempi del passato. Quello che è necessario fare è garantire un presidio pubblico rispetto ad alcuni fronti determinanti e strategici. E’ chiaro infatti che oltre a trovare le soluzioni per la crisi economica, il governo deve dare una risposta alla crisi italiana che non è solo una crisi economica, ma è anche crisi istituzionale e crisi della percezione di una missione italiana.
“Continuo a pensare che il Jobs Act non è una grande cosa e che comunque non è sufficiente come risposta complessiva alla crisi”. Ha detto poi il presidente della Commissione Industria del Senato, Massimo Mucchetti che ha voluto usare un’immagine metaforica per farsi capire. Viviamo – ha detto – in una situazione in cui tutti i soggetti in campo volano come mosche dentro un grande bicchiere rovesciato, una campana di vestro. Si vola senza avere lo spazio per farlo”. Al contrario quello che è oggi fondamentale è ritrovare un orizzonte. Si devono affrontare infatti problemi molto concreti come la progressiva riduzione del lavoro dei salari dei lavoratori, cosa che è già successa anche negli Usa. E si devono dare sostegni concrete alle aziende che finora hanno cercato solo di rimanere a galla. Si deve ripartire dal ruolo del pubblico, sapendo che non si parte dallo zero assoluto: paragonando infatti quello che risulta come impegno del pubblico negli incentivi alle energie rinnovabili a quello che faceva il fascismo in economia ci si accorge che non è vero che lo Stato sia diventato oggi marginale. Si tratta quindi di ripartire da qui, sapendo che il compito principale della politica è quello di facilitare la ricostruzione di una cultura di impresa. Per rimanere alla metafora, si tratta di rompere la campana di vetro che oggi frena i soggetti rinforzando l’intervento pubblico per favorire il lavoro del capitale di rischio. Non si tratta cioè di continuare a scopiazzare il modello angolosassone, né di riproporre vecchi modelli di intervento pubblico.
Il segretario confederale della Cgil, Fabrizio Solari, rispondendo anche alle sollecitazioni di Telese sull’Expo di Milano, è partito proprio dal giudizio del sindacato sulla manifestazione di Milano: "Non abbiamo mai avuto una posizione anti Expo, ha ricordato Solari. Caso mai abbiamo criticato la gestione e come ci si è arrivato. E’ il lavoro che ha fatto il miracolo di chiudere in tempo. Molto importante il messaggio che viene fuori: il lavoro è disponibile a tutto, ma non sulla base di ricatti. Nessun lavoratore ha comportamenti e atteggiamenti distruttivi. Per questo è necessario uscire dalle contrapposizioni astratte dettate dalla propaganda. Si dice infatti che sono aumentati i contratti a tempo indeterminato. Ma sono la stessa cosa dei contratti a tempo determinato tradizionali? E non si possono neppure continuare a confrontare numeri di contratti che hanno una natura diversi. Un modello possibile potrebbe essere quello della flexsicurity, ma non è certo quello che si sta praticando oggi in Italia".
"Si vede anche ammettere finalmente che il rapporto tra l’andamento del mercato del lavoro e le regole è molto labile. Il ragionamento deve essere quello di capire qual è il ruolo del governo. Non deve togliersi la maglia dell’arbitro per entrare direttamente in campo come parte in causa: spetta piuttosto al governo costruire le condizioni di contorno che permettono lo sviluppo. E si sarebbe dovuto farlo già da tempo per colmare quello spread nello sviluppo, che ci ha allontanato dal resto dell’Europa. E l’origine della crisi c’è la mancanza di investimenti che non sono stati al passo né in termini di quantità, né in termini di qualità. Ci vogliono dunque politiche moderne di intervento pubblico che sappiano favorire gli investimenti perché non è pensabile un capitalismo senza capitali. Esempi di settori in cui il ruolo dello Stato è oggi centrale? Semplice: l’innovazione della rete internet e di connessione e la riforma della pubblica amministrazione per farla diventare efficiente e moderna e infine la questione dell’energia, visto che da noi il costo per produrre è tuttora il trenta per cento più alto di quello degli altri paesi europei". (PA)