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Un Paese fortemente diviso, che negli anni della crisi ha visto ampliarsi lo storico divario territoriale Nord-Sud, non solo in termini di reddito ma anche per molteplici aspetti della vita sociale ed economica. E una Puglia che, pur vantando indicatori migliori delle altre regioni del Mezzogiorno, fa i conti con un peggioramento della qualità del lavoro e il rischio di un declino demografico legato da un lato al calo delle nascite, dall’altro a una emigrazione che in larga parte riguarda i giovani e soprattutto quelli più istruiti. A fronte di un sistema produttivo ancora fatto prevalentemente di piccola e piccolissime imprese con scarsa propensione all’innovazione e bassa domanda di lavoro qualificato.
La denuncia: occupazione cresce ma peggiora qualità del lavoro
È questo in sintesi lo scenario che emerge dall’analisi del Bes 2019 dell’Istat (il Rapporto sul benessere equo e sostenibile), una analisi in chiave regionale fatta da Elisa Mariano e Giuseppe Lollo per la Fondazione Rita Maierotti, il primo lavoro dopo la nuova organizzazione regionale che si è data il centro studi e archivio storico. “Una base dati utile a noi per conoscere come cambia la struttura occupazionale in termini qualitativi e su quella base misurare le nostre proposte e avanzarle agli attori istituzionali e politici”, afferma il segretario generale della Cgil Puglia, Pino Gesmundo. “I numeri confermano quello che il nostro sindacato denuncia da tempo, avendo una presenza capillare nei luoghi di lavoro e nei territori. Che l’occupazione aumenta, ed è un bene, ma cresce il lavoro povero e precario, soprattutto a tempo determinato e part-time, quindi con bassi salari. Non è questo che serve al Sud e alla Puglia per rilanciare i consumi interni, frenare l’emorragia demografica, rafforzare il sistema economico”.
“Gli indicatori selezionati – spiega Elisa Mariano – lungi dall’essere esaustivi, descrivono comunque come sta cambiando il mercato del lavoro e sono importanti perché proprio il Bes è diventato un parametro di riferimento con cui si misura la qualità delle politiche messe in campo e quindi base di confronto con le istituzioni, che va oltre il solo Pil o situazione reddituale. Così come per il lavoro non tiene conto soltanto dell’indicatore, pur cruciale, con cui siamo abituati a confrontarci, e cioè quello del livello di occupazione. Per inquadrare correttamente le evoluzioni in corso nel mercato del lavoro occorre allargare lo sguardo anche alla qualità del lavoro e alle dimensioni da cui è determinata, come la stabilità, la sicurezza, la retribuzione, la corrispondenza tra mansione svolta e competenze”.
Il lavoro in Puglia: paghe basse, occupati sovraistruiti, donne penalizzate
L’occupazione cresce nella regione dell’1,3% per un tasso del 49,4%. Ma clamorosa è la differenza di genere: se infatti il tasso di occupazione degli uomini è simile alla media italiana (63,7%) le donne si fermano al 35,6%. Gli indicatori che misurano la conciliazione tra vita e lavoro mostrano una difficoltà da parte delle donne con figli piccoli ad entrare nel mondo del lavoro. E sempre le donne sono le principali vittime del part-time involontario: complessivamente in Puglia interessa il 14% dei lavoratori (era l’8,9% nel 2010) mentre tocca quota 23,7 se si analizza invece il solo dato femminile. Il dato medio del part-time al Nord si attesta a livelli più bassi 10,3%, così come più facilmente nel settentrione chi è impegnato in lavori precari vede stabilizzare il proprio rapporto. Al Nord la percentuale è del 17,6% al Sud il 10,8%. In Puglia gli occupati con lavori a termine da almeno cinque anni solo il 24,6%.
Elementi qualitativi che trascinano verso il basso anche le retribuzioni: nella regione i lavoratori con bassa paga (si intende con una retribuzione oraria inferiore a 2/3 di quella media) sono il 18,3% (dato Italia 10%). E ancora una volta le donne sono le più penalizzate, per loro la percentuale è del 23,4.
Un elemento legato alla scarsa innovazione che caratterizza il sistema produttivo (la spesa per ricerca è lo 0,8% del Pil, la propensione alla brevettazione del 12,3% contro una media Italia del 75,8) determina anche un numero alto di occupati sovraistruiti – 24,1%, erano il 17,8% nel 2010 - ossia che possiedono un titolo di studio superiore a quello posseduto per svolgere la stessa professione. A dimostrazione della bassa qualità di domanda di lavoro che arriva dalle imprese e che spinge anche tanti giovani laureati ad emigrare: ogni mille laureati 23,9 lasciano la Puglia.
“Lo spaccato che emerge dai dati analizzati, incrociati con le crisi produttive aperte – 59 fascicoli già aperti al tavolo della task force regionale -, le preoccupazioni per Ilva, Bosch, Banca Popolare di Bari solo per citare le ultime e più importanti vertenze, la riduzione degli investimenti da parte delle grandi imprese nazionali a gestione pubblica – penso a Eni, Fincantieri, Enel, Fs, Anas – ci dice che va irrobustito il sistema produttivo”, afferma Gesmundo. “Servono ingenti investimenti pubblici per il Mezzogiorno, in primis in infrastrutture e ricerca per sostenere quell’innovazione che renda più competitive le imprese, capaci anche di rispondere a quella offerta di lavoro qualificato che spinge ad emigrare. Abbiamo proposto alla Regione un tavolo di contrattazione preventiva per provare ad anticipare le crisi, vogliamo già iniziare a discutere di come ancor più qualificare la spesa dei fondi strutturali per la prossima programmazione, con un’attenzione particolare al settore agroalimentare che ha pagato i ritardi del Psr. Così come vanno date risposte sul piano del welfare e dei servizi socio assistenziali soprattutto a quella parte di popolazione più debole, a chi vive con paghe o pensioni basse. La Cgil c’è sempre stata con le sue proposte, vorremmo la stessa preoccupazione e attenzione a questi dati anche da parte degli altri attori sociali e della politica. Non c’è la fa il Nord senza il Mezzogiorno, non ce la fa il Paese senza i giovani e senza buona occupazione: stabile, sicura, ben retribuita”.