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Un capitale umano "dissipato": sono gli 8 milioni che tra disoccupati, inattivi e scoraggiati aspettano di essere "valorizzati e instradati" verso un mercato del lavoro per tradurre "il loro potenziale in energia lavorativa e produttiva". A fotografare così l'affanno occupazionale che attanaglia il Paese è il Rapporto sulla situazione sociale del Censis.
Tra i giovani, tra 18 e i 34 anni - secondo il Censis - sale al 43% la quota di chi si sente inquieto e con un retroterra fragile, e scende ad appena il 12% la quota di chi si sente al sicuro. E il cash è anche carburante dell'informale, del nero, del sommerso, per creare reddito non tassato e abbattere i costi.
L'attendismo cinico degli italiani si alimenta anche della convinzione che in fondo ci sono alcune invarianti nei processi sociali che con la crisi finiscono per patologizzarsi.
Tra i fattori più importanti per riuscire nella vita, il 51% richiama una buona istruzione e il 43% il lavoro duro, ma per entrambe le variabili la percentuale italiana è inferiore alla media europea, pari rispettivamente al 63% per l'istruzione (82% in Germania) e al 46% per il lavoro sodo (74% nel Regno Unito). In Italia risultano molto più alte le percentuali di chi è convinto che servono le conoscenze giuste (il 29% contro il 19% inglese) e il fatto di provenire da una famiglia benestante (il 20% contro il 5% francese). Il riferimento all'intelligenza come fattore determinante per l'ascesa sociale raccoglie il 7% delle risposte in Italia: il valore più basso in tutta l'Unione europea.
Ma la crisi si rispecchia anche nel boom di occupati over 50, giovani con lavori "ibridi" e ripetuti periodi di inattività lavorativa. Dal 2011 a oggi si registra un boom di occupati over 50 (+19,1%), in concomitanza del crollo osservato tra quanti hanno un'eta' inferiore (-11,5%). Se da un lato – spiega il Centro Studi Investimenti Sociali – è un effetto diretto delle riforme previdenziali entrate a regime, dall'altro contiene in sé le disfunzioni di un mercato del lavoro che chiude le porte alle nuove leve e le spalanca ai lavoratori più anziani, oltre ai numerosi casi di chi sceglie di restare al lavoro pur avendo maturato i requisiti per il pensionamento per non intaccare il livello di reddito e di coloro che si erano chiamati fuori dal mercato del lavoro ma sono stati indotti a rimettersi in gioco dal peggiorare delle condizioni economiche.
E' pari al 50,7%, infine, la quota dei lavoratori "ibridi" tra gli occupati di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Quest'area di lavoro comprende temporanei, intermittenti, collaboratori, finte partite Iva e prestatori d'opera occasionale. La quota degli "ibridi" scende progressivamente all'aumentare dell'età (il 22,9% tra i 25 e i 34 anni) e risale in prossimità dell'uscita definitiva dal mercato del lavoro (il 20,6% tra gli over 65).