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Nel silenzio generale c’è un nuovo “caso voucher” che rischia di profilarsi all’orizzonte: quello dell’abuso dei tirocini formativi. In un solo anno, con il contributo determinante di Garanzia Giovani, i tirocini in azienda sono aumentati di 100.000 unità, passando da 250.000 del 2014 ai 350.000 del 2015, con un incremento del 53 per cento. Un boom di cui si parla poco ma che è paragonabile a quello dei voucher. Cosa si nasconde dietro questa esplosione degli stage? Sono effettivamente uno strumento di formazione on the Job o nascondono spesso lavoro mascherato.
È un tema importante perché riguarda anche, oltre alle questioni centrali dei diritti e delle esigenze dei tirocinanti e dell’efficacia delle politiche attive del lavoro, l'utilizzo corretto delle risorse pubbliche. I tirocini con Garanzia Giovani sono, infatti, interamente finanziati da denaro pubblico ed è questo che ha facilitato il loro boom: su un miliardo e mezzo, 500 milioni di euro sono andati per finanziare proprio gli stage e circa il 65% dei giovani a cui è stata proposta una misura sono, appunto, entrati in tirocini formativi. Una preoccupazione, questa del lavoro mascherato, che non riguarda solo l’Italia, se è vero che la Ces – il sindacato europeo – ha espresso negli ultimi anni preoccupazione rispetto all'abuso di questo strumento che, nato per facilitare la transizione dei giovani nel mercato del lavoro, si è spesso rivelato inadeguato.
“Vediamoci chiaro”
Per cercare di capire meglio questo fenomeno la Cgil ha lanciato da qualche mese un’iniziativa dal titolo esplicito: “Tirocini: vediamoci chiaro”: “È una campagna ambiziosa – spiega Andrea Brunetti, responsabile giovani della confederazione –. Non vogliamo solo denunciare gli abusi, che sappiamo con certezza esistere, ma anche ascoltare i giovani, coinvolgere chi il tirocinio lo ha fatto davvero per farci raccontare la propria esperienza, le relazioni intercorse sia con chi promuove lo stage sia con l’azienda che ospita la persona e che dovrebbe essere il soggetto all’interno del quale si sviluppano quelle competenze formative necessarie per orientarsi meglio e entrare nel mercato del lavoro”.
Molti ragazzi vengono inseriti in azienda e, poco dopo, messi a operare vicino ai normali lavoratori subordinati, in mansioni spesso ripetitive e senza alcuna contenuto realmente formativo: magari spostare pacchi in un magazzino o, addirittura, guidare un camion. Si tratta di forza lavoro gratis, se si pensa che dal 2014 – dopo la legge Fornero del 2012 e le linee guida della Conferenza Stato-Regioni del 2013, la retribuzione dello stage è diventata obbligatoria – tra i 300 e 600 euro, a seconda delle Regioni, e, grazie a Garanzia Giovani, a totale carico delle risorse pubbliche. Un “bocconcino” assai appetibile per molti imprenditori senza scrupoli.
Abusi e ritardi
Molti di questi abusi vengono da qualche anno raccontati nel forum del sito della Repubblica degli stagisti, che è diventato ormai un punto di riferimento normativo e informativo per i giovani tirocinanti . “Naturalmente – racconta Eleonora Voltolina, che dirige il sito – noi stimoliamo le persone anche a raccontare le esperienze positive, utili per chi entra in questo mondo. Ma è evidente che chi scrive in un forum generalmente lo fa quando le cose non vanno”.
La prima cosa da fare sarebbe dunque quella di inasprire le verifiche ispettive. “Ricordo – riprende Brunetti – che le norme ci sono. Se il tirocinio è lavoro subordinato mascherato, scatta l’obbligo di assunzione, con pesanti sanzioni per le aziende. Basta applicarle”. Ma c’è anche altro: le norme, come ormai anche per i voucher, rendono possibili i tirocini praticamente in tutti i settori. “Oltre ai controlli – aggiunge il dirigente Cgil – bisogna, pertanto, rivedere queste norme, che devono essere più stringenti rispetto a settori e mansioni per i quali si possono attivare i singoli percorsi. È vero che già oggi le leggi li vietano per le mansioni ripetitive, ma occorre specificare meglio quali esse siano”.
E che ci sia un problema di settori è evidente dai dati. Il 55 per cento delle nuove attivazioni del 2015 è avvenuto nei servizi: anche in questo caso si tratta della stessa dinamica dei voucher. Mentre le più consistenti variazioni in aumento rispetto al 2014 si registrano nelle costruzioni (+89,6%) e negli alberghi e ristoranti (+69,6). Le ispezioni dovrebbero mettere in luce quanto lavoro a tutti gli effetti si celi dietro questi numeri.
Oltre al problema degli abusi c’è, costante nelle proteste, quello nei ritardi dei pagamenti, imputabili a un meccanismo farraginoso di gestione dei fondi tra Inps e Regioni: “In alcuni casi – racconta Voltolina –, come per esempio quello del Lazio, i ragazzi sono stati mesi e mesi senza vedere un euro, a volte persino fino alla fine del tirocinio”. Una situazione intollerabile, con situazioni in cui magari il tirocinante è anche costretto a pagarsi la benzina per spostamenti non vicinissimi da casa, e che mette a dura prova l’efficienza e la capacità delle nostre amministrazioni di gestire al meglio i fondi europei. Nel suo sito, “La Repubblica degli stagisti” offre anche un utile elenco di aziende “certificate”: imprese, cioè, che offrono una serie di garanzie sulla qualità e la trasparenza del tirocinio e sulla retribuzione: “Tutte le aziende che entrano nella nostra rete – aggiunge la giornalista – devono firmare un accordo nel quale si impegnano a rispettare questi criteri”.
Quando il tirocinio (non) funziona
Sarebbe però sbagliato fermarsi alla pure fondamentale questione degli abusi. Lo stage potrebbe non configurarsi come abuso ma, non di meno, essere poco utile, poco formativo. Di questo si è occupata Anna Teselli, della Fondazione Di Vittorio, che in un volume appena uscito per Carocci (“Formazione professionale e politiche attive del lavoro”) ha analizzato gli esiti occupazionali dei tirocinanti di Lazio e Lombardia. “In estrema sintesi – argomenta Teselli – viene fuori che un 40 per cento di queste persone resta nel mercato del lavoro dipendente anche con contratti stabili: riesce, dunque, a far maturare l'esperienza del tirocinio verso un inizio di carriera professionale”. L’aspetto negativo, però, è che queste persone sono quelle che partono già favorite: “Hanno una laurea – aggiunge –, sono ragazzi con notevoli capacità di auto promozione. Insomma: non sono i neet, non sono giovanissimi, non sono quelli con bassi livelli di scolarizzazione. Per costoro, purtroppo, spesso il tirocinio risulta una misura isolata che non li sostiene nella costruzione di un percorso. Per questa platea, dunque, non basta fermarsi allo stage: non è sufficiente finanziare il tirocinio, ma servirebbe anche un sostegno pubblico e istituzionale sul lungo periodo. Altrimenti si rischia di rimanere fuori dal mercato del lavoro”.
I tirocini generalmente funzionano per chi parte già favorito sul mercato del lavoro
Insomma, siamo al paradosso: così come è strutturata – e per come sono concepite le nostre politiche attive del lavoro – questa misura rischia di aiutare chi ne ha meno bisogno. L’altro elemento fondamentale che condiziona il successo dei tirocini è quello, ancora una volta, del tipo di attività: “Le cose vanno meglio – sottolinea Teselli – se il tirocinante opera in settori professionali e tecnici, ad esempio di tipo informatico, meno nel magazzinaggio, nei trasporti e in parte anche nel commercio”.
Il Sud
Come i voucher, anche i tirocini corrono soprattutto al Sud. In Sicilia, in particolare, tra il 2014 e 2015 gli stage attivati sono passati da 6.340 a oltre 50.000: l’aumento è di oltre il 700%. Ma è possibile che, all’improvviso, ci sia tutta questa disponibilità delle imprese a fare formazione? “Da noi – attacca Andrea Gattuso, responsabile giovani della Cgil regionale – Garanzia Giovani è stata un enorme ‘tirocinifio’: da sola ne ha prodotti ben 47.000. Non solo: registriamo abusi, ritardi di oltre un anno nei pagamenti e un tasso di trasformazione in lavoro a tempo subordinato di appena l’8 per cento”. Sono dati clamorosi, tali da avere un effetto dumping ferale e tale da scardinare un mercato del lavoro già molto traballante, con una disoccupazione giovanile al 56 per cento, dieci punti in più della media nazionale. “Sono occasioni perse – denuncia Gattuso –, tanto più se si pensa alle risorse ingenti investite. In Sicilia, a fronte di oltre 200 milioni di euro impiegati, non si è riusciti a creare più di 5.000 posti di lavoro, che però probabilmente sono assunzioni per così dire ‘strutturali’: sarebbero cioè state fatte ugualmente, anche senza stage e tirocini”.
In Sicilia il tasso di trasformazione degli stage in lavoro è di appena l'8 per cento
Il risultato, al Sud ma non solo, è che in molti se ne vanno all’estero. È la storia di Ornella Uccello, giovane ex tirocinante che, dopo un’esperienza di questo tipo in Sicilia, a cui non è seguita nessuna seria possibilità di intraprendere un percorso professionale, ha scelto la Spagna. Serena è un tecnico di radiologia. La sua è una storia esemplare: “Ho svolto il tirocinio da ottobre 2014 a marzo del 2015. I primi pagamenti sono arrivati a giugno, ma un terzo dell’indennità non mi è ancora stata corrisposta. Una volta inserita nello studio, dopo pochi giorni, svolgevo il mio compito come tutti gli altri: ero una lavoratrice a tutti gli effetti”. Poi, qualche promessa, ma nessuna assunzione: di qui la scelta di provare a Valencia. Con tanti saluti all’Italia che spende tante risorse per formare i suoi giovani. Dalla scuola ai tirocini: intelligenze e capacità che in un mercato del lavoro globalizzato arricchiranno qualcun altro.
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