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Dignità del lavoro. Priorità al lavoro. Ripartire dal lavoro. Quante volte gli esponenti del governo Renzi hanno ripetuto queste frasi? Purtroppo, gli atti non sono ancora stati conseguenti. Se il presidente del Consiglio dichiara di non voler seguire la strada scelta dalla Spagna per tentare di uscire dalla crisi – bassi salari e contrazione dei diritti – ma quella “virtuosa” della Germania (con tutti i limiti e i paletti, tuttavia, di cui parliamo nel tema della settimana di questo numero di Rassegna), le politiche adottate non paiono affatto conseguenti.
L’ultima – ma temiamo solo momentaneamente – di queste scelte che assolutamente non “cambiano verso” è quella che riguarda la conferma del blocco dei rinnovi contrattuali nel pubblico impiego anche per il 2015 annunciato dal ministro Madia. Una scelta incomprensibile, quale che sia il punto di analisi e di osservazione che si intende scegliere. Non solo sul piano fondamentale dei diritti: si chiede un sacrificio a una platea di lavoratori che hanno perso migliaia di euro negli ultimi anni (su stipendi non certo generosi) e che dunque hanno già contribuito ampiamente ad alleviare le dure condizioni in cui versa il paese.
Ma anche su quello economico: come si crede di contribuire a rilanciare la domanda interna se – dopo la scelta condivisibile degli 80 euro in busta paga – si annuncia il fermo dei contratti? Come si può pensare che le persone comincino a spendere di nuovo un po’ di soldi se si moltiplicano segnali di questo tipo? Sono contraddizioni che non riguardano solo il lavoro pubblico: se i contratti a tempo determinato vengono di fatto liberalizzati, moltiplicando le precarietà già apparentemente disponibili, se manca una seria riforma degli ammortizzatori sociali che garantiscano la dignità di tutti i lavoratori, se le pensioni rimangono al palo, se – rispetto al Jobs Act – prevale nel dibattito non la prospettiva di qualcosa di più che avranno i lavoratori, ma, ancora una volta, di ciò che viene loro tolto (a cominciare dall’articolo 18); ebbene, come si pensa che in queste condizioni la fiducia possa tornare nella testa dei cittadini?
L’esecutivo deve fare attenzione. E non bollare come “gufismo” i segnali di sfiducia che iniziano a diffondersi nel paese. Le dure prese di posizione delle forze di polizia, che – fatto senza precedenti – hanno minacciato uno sciopero, dovrebbero far riflettere. Così come la fibrillazione del mondo della scuola a cui si chiede di rinunciare, a partire dal 2015, alle progressioni economiche per anzianità di servizio che saranno sostituite, ma ben tre anni dopo, dal 2018, con una retribuzione del merito, assolutamente indefinita e riservata solo a una parte del corpo docente.
Proprio mentre Rassegna va in stampa arrivano gli annunci delle mobilitazioni previste per il mese di ottobre da Cgil e Fiom. La confederazione di corso d’Italia organizzerà una “Piazza per il lavoro” (la proposta sarà portata al direttivo del 17 settembre): una manifestazione nazionale da tenersi cercando il coinvolgimento delle altre grandi sigle sindacali. “Una manifestazione per far conoscere al paese le condizioni e le politiche necessarie al lavoro”, ha spiegato Susanna Camusso partecipando alla nuova trasmissione di Giovanni Floris su La7.
Le riforme si devono fare, ha aggiunto la leader Cgil, “a partire da quella della pubblica amministrazione, ma non contro il lavoro bensì contro i poteri che bloccano il cambiamento e la ripresa”. “Siamo di nuovo ai tagli lineari e non a politiche attive per creare lavoro – ha aggiunto –. Proporremo noi stessi una modifica dello Statuto perché diventi inclusivo di tutte le forme del lavoro, ma è necessario svoltare, bisogna smetterla con questa discussione tutta fatta sulla riduzione dei diritti dei lavoratori”.