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Il 2015 si distingue per un fiorire di interventi in materia di contrasto alla povertà che non ha paragoni nel recente passato. Il Jobs Act introduce il nuovo Assegno di disoccupazione (Asdi). La dotazione iniziale è di 200 milioni di euro. La legge di stabilità per il 2016, oltre ad aumentare di 220 milioni lo stanziamento per l’Asdi (le risorse complessivamente a disposizione per il 2016 sono ora di 600 milioni), estende a tutto il territorio nazionale la Nuova carta acquisti, detta anche Sia (Sostegno per l’Inclusione Attiva). Le risorse per l’Asdi e quelle per l’estensione della Nuova carta acquisti confluiscono nel fondo, anch’esso di nuova istituzione, denominato Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale.
Non solo. A questi interventi si aggiungono altri mirati a dimensioni specifiche di povertà, che includono trasferimenti di beni e servizi. Sempre la legge di stabilità per il 2016 prevede un altro fondo, destinato al contrasto della povertà educativa. Tale fondo è finanziato da versamenti delle Fondazioni bancarie, a loro volta sostenuti da un’agevolazione fiscale che consiste nella possibilità di detrarre dall’imposta il 75% dei versamenti effettuati. Oltre a tutto questo, è stato predisposto il Programma operativo italiano legato al Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead), alimentato da un finanziamento europeo di 670 milioni di euro (il più elevato fra i 28 paesi dell’Ue) e da un cofinanziamento nazionale di 118 milioni di euro, da spendere entro il 2020.
Anche le Regioni si sono date da fare. La Puglia a novembre ha varato il reddito di dignità e la Valle d’Aosta, che già aveva un programma di Contributo al minimo vitale, ha approvato – sempre a novembre – un nuovo programma di reddito minimo rivolto a disoccupati e lavoratori autonomi in difficoltà economica. Sempre nel 2015, due Regioni che in passato avevano introdotto misure di reddito minimo, ma le avevano successivamente interrotte, tornano sui loro passi. A febbraio la Basilicata vara il reddito minimo di inserimento e a luglio il Friuli-Venezia Giulia introduce una misura di inclusione attiva e di sostegno al reddito. Infine, è di questi giorni la proposta del presidente dell’Inps di un sostegno per l’inclusione attiva degli ultracinquantacinquenni. Tutti questi interventi hanno, indiscutibilmente, risvolti positivi. Soggetti poveri possono beneficiare di risorse prima indisponibili. Ciò nondimeno, essi presentano un neo fondamentale. Il diritto al reddito continua a non essere riconosciuto.
Una visione del sostegno al reddito come oggetto di diritto richiederebbe infatti che il reddito sia, quanto meno, assicurato a tutti coloro che ne hanno bisogno; sia erogato su base stabile, come avviene per il diritto a essere curati o accedere all’istruzione; tratti i bisognosi esattamente come i non bisognosi, ossia come cittadini degni, in quanto tali, di uguale considerazione e rispetto. Per queste ragioni, il diritto al reddito andrebbe anche costituzionalmente protetto. Certo, nel gioco democratico si potrà e si dovrà discutere su come specificare sia il bisogno (per esempio, quale soglia di povertà prendere in considerazione, quali risorse includere nella prova dei mezzi e quanto colmare della distanza fra soglia e risorse detenute), sia il più complessivo processo di erogazione del trasferimento. Tali specificazioni, tuttavia, non possono mettere in discussione il carattere di diritto del reddito.
Cosa implicano, invece, le misure appena richiamate? In primo luogo, continuano a riflettere quella che da anni Chiara Saraceno addita come la grande pecca delle misure di sostegno al reddito nel nostro paese: la categorialità. Se ci capita di essere nella categoria “fortunata” possiamo accedere al trasferimento, altrimenti no (con il rischio anche di distorsioni finalizzate a entrare fra i “fortunati”). L’Asdi, per esempio, si rivolge al sotto-gruppo di ex lavoratori che ha fruito della Naspi (la nuova assicurazione contro la disoccupazione a stampo contributivo) e che, avendo esaurito il periodo di spettanza, si trova ancora senza lavoro e in condizioni di bisogno. All’interno di questa categoria, l’accesso è poi ulteriormente circoscritto alle famiglie in cui vi sia almeno un minore o la persona di riferimento sia vicina all’età pensionabile (abbia da 55 anni in su). Alla condizione che in famiglia vi sia almeno un minore, la Nuova carta acquisti aggiunge che nessun componente in età attiva sia occupato e che almeno un componente abbia lavorato nei 36 mesi precedenti la richiesta. Dal canto suo, la proposta del presidente dell’Inps s’indirizza a chi ha più di 55 anni.
Ciascuna misura, all’interno delle categorie prescelte, definisce poi diversamente lo stato di povertà. Per la Nuova carta acquisti è povera una famiglia con un Isee inferiore a 3.000 euro, un patrimonio mobiliare che non può superare 8.000 euro e un’eventuale abitazione di proprietà il cui valore catastale non può superare 30.000 euro. Per il sostegno all’inclusione attiva degli ultracinquantacinquenni, invece, si considera povero un soggetto con reddito (non con Isee) inferiore a 6.000 euro. I vincoli patrimoniali sono più generosi, per quanto concerne la componente immobiliare: il valore catastale dell’eventuale casa di proprietà non deve superare 150.000 euro. Sono però meno generosi per la componente mobiliare, che non può superare 1.500 euro. La scala di equivalenza utilizzata è quella Ocse modificata e non la scala Isee. Per quanto riguarda l’Asdi, si è bisognosi se l’Isee è inferiore a 5.000 euro.
Varia anche l’importo del reddito erogato, sebbene su questo piano le distinzioni siano meno accentuate. Per la Nuova carta acquisti, gli importi mensili vanno da 231 euro al mese per nuclei di due membri a 404 euro per nuclei di cinque membri o più. L’importo dell’Asdi corrisponde al 75% della Naspi e, comunque, non può superare il valore dell’assegno sociale. A regime, l’importo massimo del sostegno all’inclusione attiva degli ultracinquantacinquenni dovrebbe essere 500 euro. Le misure territoriali aggiungono, inevitabilmente, ulteriore frammentazione. Se si è poveri e si vive in Basilicata si può godere di un trasferimento di cui, a parità di risorse, non può godere un piemontese. Inoltre, le condizioni e il livello della protezione variano anche fra le Regioni che offrono un reddito minimo. In Basilicata si può accedere al reddito minimo da 18 a 65 anni e si deve risiedere sul territorio da due anni. Per godere invece della nuova misura introdotta in Valle d’Aosta, occorre avere 30 anni e risiedere nella regione da tre anni, oltre a essere disoccupati o lavoratori autonomi in difficoltà.
Seguendo una prassi molto diffusa nel nostro paese, molte misure sono anche temporanee, nonostante la povertà possa non essere tale. L’Asdi è temporaneo nel doppio senso di essere sperimentale e di non poter essere erogato per più di sei mesi. Similmente, a carattere sperimentale sono la Nuova carta acquisti e la misura friulana. Il trasferimento in essere in Valle d’Aosta ha carattere strutturale, ma può essere erogato per una durata massima di cinque mesi (con eventuale proroga di tre mesi dopo la sospensione di un mese). Indiscutibilmente, il rapporto fra risorse e diritti è complesso. Si può seguire Hume e la sua affermazione che il dover essere non può derivare dall’essere, ma non si può ignorare il vincolo delle risorse. La specificazione dei diritti, in altri termini, non può non tener conto delle risorse che la collettività è disposta a mettere a disposizione. Ciò riconosciuto, nelle forme di sostegno al reddito qui richiamate la dipendenza dalle risorse è tale da mettere in discussione la presenza stessa di un diritto.
Ma come possiamo parlare di diritti se l’accesso alle prestazioni è totalmente dipendente dalle contingenze temporali, con conseguente, assoluta violazione dell’equità orizzontale? A parità di bisogno, un nucleo familiare povero può fruire, in un determinato anno, di una qualche sperimentazione che l’anno dopo non ci sarà più, oppure può venirsi a trovare in stato di bisogno in un momento in cui le risorse pubbliche sono esaurite e perciò non riceve nulla, diversamente da un altro nucleo che si fosse trovato esattamente nelle stesse condizioni solo qualche mese prima. O, ancora, può darsi che in un contesto tutti gli aventi diritto riescano ad accedere alle risorse perché le domande trovano capienza, mentre in un altro contesto i criteri di priorità adottati ne determinerebbero l’esclusione.
Infine, tutte le proposte comportano requisiti stringenti in termini di disponibilità al lavoro e di responsabilità infra-familiari. La proposta di Sostegno per l’inclusione attiva degli ultracinquantenni, vincola tutti i componenti del nucleo (che sono in condizioni di farlo) a lavorare, pena la decadenza del beneficio a partire dal secondo rifiuto di una proposta di lavoro da parte del Centro per l’impiego. Il che significa che, se un ultracinquantacinquenne ha un figlio in difficoltà che non si attiva come richiesto, l’intero nucleo perde il diritto al trasferimento. Anche per il rapporto fra indisponibilità dei diritti e dovere di reciprocazione non esistono risposte semplici. Certo è che specificazioni del des così vincolanti quali quelle appena richiamate destano più di una perplessità nella prospettiva dei diritti individuali di cittadinanza.
Elena Granaglia è professore ordinario di Scienza delle finanze all’Università di Roma Tre