Sono passati oltre quarant’anni da quell’11 settembre 1973, quando un colpo di stato militare in Cile depose il legittimo governo di sinistra del Presidente Salvador Allende. Da allora la patria di Pablo Neruda e Victor Jara divenne il luogo più adatto dove sperimentare il modello economico liberista, con gli aspetti nevralgici della vita di ogni cittadino, dalla scuola alla sanità, dal lavoro al sistema pensionistico, affidati alla voracità dei privati.

Un modello tutt’ora, troika docet, difficile da estirpare. E che tuttavia proprio nel Paese sudamericano, e sulla spinta evidentemente di quanto sta già succedendo nel resto del continente, Stati Uniti compresi, sta conoscendo le prime concrete difficoltà, da quando, nel 1989, la dittatura di Augusto Pinochet è stata costretta a lasciare il posto ad un regime democratico rimasto però in buona parte ostaggio dei militari in primo luogo sui temi di carattere economico e sociale oltre che istituzionale.

E’ passato più di un anno ormai dalla vittoria, per la seconda volta, della socialista Michelle Bachelet, questa volta alla testa di una maggioranza inedita, “Nueva Mayoria” appunto, più spostata a sinistra con il coinvolgimento di un rinnovato Partito comunista e malgrado la Democrazia cristiana resti il partito più forte della coalizione. Le sfide sono quelle che abbiamo citato prima anche se non le uniche. E tra le prime ad essere affrontate c’è stata proprio quella inerente ad un progetto di legge di riforma sul lavoro, che modificasse l’attuale normativa in vigore appunto dai tempi nefasti della dittatura. La discussione è cominciata lo scorso mese di gennaio: “Stiamo avviando una nuova sfida – ha detto Bachelet – per la costruzione del Paese che vogliamo, stiamo saldando un debito che avevamo con i lavoratori del Cile. In una società democratica, la crescita e l’uguaglianza devono progredire insieme per assicurare un futuro di prosperità economica, ma anche di legittimità e coesione sociale.”

La riforma prevede un rafforzamento del ruolo dei sindacati
, l’ampliamento della negoziazione collettiva e la fine della sostituzione dei lavoratori durante gli scioperi. “Noi abbiamo un solo obiettivo – ha sottolineato ancora la Presidente cilena – ovvero che i cileni e le cilene accedano ad un lavoro di maggiore qualità. Quando parliamo di qualità nel lavoro, ci riferiamo a cose molto concrete” quali appunto i salari, la sicurezza, la formazione, le relazioni industriali e la produttività. Non è difficile capire come in Cile i diritti di chi lavora siano stati cancellati appunto molto tempo fa e mai ripristinati malgrado il Paese sia stato governato per decenni dal centro-sinistra ad eccezione della recente e fallimentare parentesi di destra del Presidente Piñera.

Prevedibile la reazione della Confederaciòn de la Producciòn y el Comercio (Cpc), la Confindustria cilena, la quale attraverso il suo leader Andrés Santa Cruz, ha criticato il progetto con argomenti demagogici, colpevole, secondo lui, di non fare riferimento alle donne e ai giovani disoccupati. Santa Cruz ha aggiunto che in un momento di rallentamento della crescita economica - il Cile in questi decenni ha registrato un aumento del Pil impressionante i cui benefici si sono però riversati sulla popolazione in misura molto ridotta - questa riforma “non incentiverà alcuna impresa ad assumere e creare nuovi posti di lavoro”. Per Barbara Figueroa, presidente della principale centrale sindacale del Paese, la Central Unitaria de Trabajadores (Cut), che giocò a suo tempo un ruolo determinante nella sconfitta di Pinochet al referendum del 1988, la riforma invece “è uno straordinario passo in avanti, soprattutto per quanto riguarda la norma che vieta la contrattazione di operai durante gli scioperi ed in generale al potenziamento dei diritti dei lavoratori”.

Abbiamo accennato prima ai dati relativi ad una crescita economica che dopo anni che potremmo definire “cinesi” sta subendo un rallentamento. Il 2014 si è chiuso con un tasso di 1,7% e con un’inflazione, secondo i dati del Banco Central, che si avvicina al 5% con previsioni migliori per l’anno in corso, tra il 2 e il 3% per la crescita e un 3% per l’inflazione. Secondo molti osservatori questo è un punto di debolezza per Bachelet e la sua coalizione. E’ tuttavia doveroso sottolineare come il trend relativo al rallentamento ha avuto inizio prima dell’arrivo della leader socialista al Palazzo della Moneda. Positivi invece i dati della bilancia commerciale con 8,5 miliardi di dollari determinati da una caduta dell’import, 68 miliardi di dollari, e un attestarsi dell’export a 76,6 miliardi di dollari. Dati questi ultimi che dovrebbero migliorare nell’anno in corso con un avanzo della bilancia commerciale pari a 9 miliardi.

L’evoluzione di due diversi scenari lascia ben sperare in una ripresa della crescita. Da un lato un aumento di produzione della Codelco (Corporazione nazionale del rame), previsto per il 2015 intorno a 200 milioni di dollari. E dall’altro una maggiore efficienza del sistema energetico nazionale raggiungibile grazie all’interconnessione dei principali sistemi elettrici del Paese, obiettivo che dovrebbe essere raggiunto nel 2017 e che significherà, come ha detto il Ministro dell’Energia Màximo Pacheco, “un risparmio di 1,1 miliardi di dollari con una riduzione per i consumatori di 13 dollari a MW/h al nord e 17 nel sud”. A queste cifre bisogna aggiungere una crescita della produzione manifatturiera e mineraria, rispettivamente dell’1% e del 13,2% per quanto riguarda la produzione di rame il cui costo era calato determinando appunto il rallentamento citato. Aumenta invece del 5,1% la produzione elettrica.

Questo quadro ottimistico ha permesso un aumento dei consumi del 5,4% e del commercio al dettaglio dell’1,8% in un contesto tuttavia caratterizzato ancora dalla presenza di importanti sacche di povertà. Secondo cifre diffuse dalla ministra Villegas, il 14,4% della popolazione vive in condizione di indigenza e il 4,5% di estrema povertà. Si registra dunque “una diminuzione della povertà” senza tuttavia “progressi significativi in materia di riduzione della diseguaglianza”. La sfida per Michelle Bachelet e il suo governo continua anche sul fronte istituzionale e dell’istruzione, oltre che su quello dei diritti. Al Senato è stato introdotto un sistema elettorale proporzionale in luogo di un sistema bi-nominale eredità della dittatura che prevedeva l’elezione di due deputati a collegio alla coalizione che raggiungesse il 66% dei voti.

E’ stata inoltre approvata alla Camera come al Senato una riforma educativa che garantisce la gratuità dell’accesso alla scuola, pone fine al cofinanziamento delle scuole private ed al meccanismo di selezione degli studenti mentre in un secondo momento verrà messa in discussione anche l’educazione professionale ed universitaria, di fatto in mano unicamente ai privati. Per finire segnaliamo il tentativo, non privo di ostacoli vista la presenza della Dc nella coalizione, di depenalizzare l’aborto almeno in casi di violenza sessuale come di pericolo di vita della madre. Insomma in Cile, dopo circa un quarto di secolo, si sta assistendo al passaggio cruciale da una democrazia che se non potevamo definire unicamente formale appariva come fortemente limitata, ad una democrazia sostanziale.

Una sfida, affrontata non solo dal Cile, che dovrebbe insegnare qualcosa all’Europa, partita nel dopoguerra con il piede giusto e che invece si ostina ad applicare ora un modello vecchio imposto da chi, in questi ultimi trent’anni, ha vinto una “lotta di classe” che non ha mai cessato di esistere.