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Fa uno strano effetto in questi giorni sentire parlare di ripresa dell'economia e crescita dell'occupazione in Italia. Perché è dura per le statistiche reggere il confronto con numeri molto più "reali", come quelli ad esempio dei licenziamenti (4000) annunciati all'Ilva. Oppure come quelli di una piccola regione, di nemmeno 900mila abitanti, l'Umbria, dove la "politica degli esuberi" sembra aver affascinato diversi manager e dove aziende considerate fino a poco tempo fa come eccellenze del territorio rischiano di scomparire nel nulla.
C'è la Perugina, che è un po' la madre di tutte le battaglie. Per la storia ultracentenaria di questa azienda, che nel nome stesso esprime il suo legame fortissimo con il territorio, ma anche per l'enorme danno che i 364 licenziamenti annunciati da Nestlé causerebbero, dimezzando di fatto la forza lavoro della fabbrica, e facendo così carta straccia degli impegni di rilancio e investimento sottoscritti non più di un anno e mezzo fa dalla multinazionale con sindacati e Rsu. Ma la Perugina la conoscono tutti e non è un caso che l'attenzione intorno a questa vertenza stia crescendo, anche grazie a una campagna lanciata dagli stessi lavoratori sotto l'hashtag #IoDifendoLaPerugina, che ha fatto breccia prima sui social (con l'aiuto di qualche personaggio famoso dello sport e dello spettacolo) e poi in piazza, con duemila persone a manifestare di sabato mattina nel centro cittadino di Perugia. Cosa che non accadeva da un bel pezzo.
Venerdì 13 ottobre in Confindustria si capirà se qualcosa è cambiato. Rsu, sindacati e manager di Nestlé torneranno a incontrarsi, auspicabilmente mettendo da parte il "piano sociale" (gli esuberi) per parlare invece di "piano industriale" (sviluppo, crescita, investimenti, marketing), come chiedono a gran voce lavoratori, sindacati e istituzioni.
Intanto, però la "politica degli esuberi" si estende. Alla Colussi, altra realtà storica e strategica del settore agroalimentare, se ne temevano una novantina. Ma nell'ultimo incontro in Confindustria l'azienda ha pensato bene di rilanciare, facendo salire il numero delle persone da mettere alla porta a 125, tutte nel sito produttivo di Petrignano d'Assisi, piccolo paese a metà strada tra la città di San Francesco e Perugia. Anche qui, come con Nestlé, c'è qualcosa che non torna ai sindacati e ai lavoratori. Perché tutti questi esuberi ora che l'azienda sembra aver superato (anche grazie al sacrificio dei lavoratori che sono andati in solidarietà) il periodo più nero, tanto da mettere sul piatto (proprio come Nestlé in Perugina) 82 milioni di euro di investimenti? Le risposte, si spera, arriveranno nel prossimo incontro, anche questo in Confindustria a Perugia, fissato per martedì 17 ottobre giorno in cui i lavoratori Colussi scenderanno in sciopero.
Perugina più Colussi uguale 500 posti di lavoro a rischio. Con i 300 del gruppo ex Novelli, per restare sempre al settore agroalimentare, si arriva a 800. Qui la vicenda è diversa e il rischio è il fallimento, dopo che il tribunale di Castrovillari ha respinto la proposta di concordato in continuità presentata dalla nuova proprietà (gruppo Alimenti Italiani). In ballo c'è il futuro di tre siti produttivi in Umbria, Terni, Amelia e Spoleto, che è quello principale. Ma Spoleto è anche sede di un'altra realtà industriale importante che è a forte rischio fallimento. Parliamo della ex Pozzi, azienda del settore metalmeccanico, per la quale entro il 31 ottobre serve una proposta economica di acquisto, diversamente scatterà il fallimento. E il 31 ottobre scadrà anche la cassa integrazione per una buona parte dei 200 operai coinvolti (per gli altri a marzo 2018).
C'è meno tempo invece per 200 lavoratori della ex Merloni (ancora un'azienda con l'ex davanti). Vertenza storica, ormai, quella della fabbrica di Colle di Nocera per i cui ex addetti il 13 ottobre terminerà la mobilità, mentre per gli oltre 300 lavoratori della JP Industries (l'azienda che ha rilevato un pezzo di attività della ex Merloni) la cassa integrazione è scaduta il 23 settembre e sono in attesa che il Governo mantenga gli impegni presi prolungando la cassa integrazione per tutto il 2018.
C'è poi la questione delle acciaierie ternane Ast. La più grande azienda di tutta la regione, capace da sola di produrre circa il 15% del Pil regionale. Qui, la "politica degli esuberi" ha già prodotto i suoi effetti nell'era Morselli, seppure mitigati dall'accordo del dicembre 2014, arrivato dopo una durissima vertenza con mesi di sciopero, blocchi dell'autostrada e manganellate della polizia. Ora però la preoccupazione è diversa, e riguarda le strategie della multinazionale tedesca ThyssenKrupp dopo la joint venture con il colosso indiano Tata Steel. Thyssen ha annunciato lo scorporo della divisione Materials e quindi dello stabilimento ternano dall’operazione, ma non ha chiarito ancora quali siano le intenzioni, gli impegni e i progetti per la più importante realtà produttiva dell'Umbria, nonché fabbrica strategica nel settore degli acciai speciali per l’Italia.
Questo è il quadro, ma non è completo. "Qui sopra ci sono solo le vertenze e le storie che finiscono sui giornali - osserva Vincenzo Sgalla, segretario generale della Cgil dell'Umbria - dopodiché ci sono tutti quelli fuori dai riflettori, migliaia e migliaia di persone che negli anni della crisi hanno perso il lavoro, hanno subito ingiustizie, hanno visto peggiorare la propria condizione. Ecco perché insistiamo da tempo nel chiedere un intervento straordinario per l’Umbria: facciamo delle nostra regione, con le sue tante difficoltà, un laboratorio. Un laboratorio in cui progettare e immaginare insieme l’Umbria del 2030, attraverso un nuovo modello di sviluppo, fondato sulla nostra più grande ricchezza, la coesione sociale. Facciamolo prima che si sgretoli tutto".