PHOTO
Quasi la meta dei lavoratori precari di radio e tv ha un reddito inferiore ai 10.000 euro annui, e uno su quattro non supera i 20.000. Per questo chiedono maggiori tutele e la trasformazione dei rapporti di lavoro in contratti stabili. Lo dicono i lavoratori che hanno partecipato a “Stai in onda”, la prima ricerca svolta in Italia sui precari del settore radiotelevisivo con l’intento di analizzarne condizioni di lavoro, bisogni e proposte. Promossa da Slc (il Sindacato dei lavoratori della comunicazione della Cgil) in collaborazione con l’Associazione Bruno Trentin, e presentata oggi in Cgil, la ricerca ha il fine di approfondire la conoscenza delle loro condizioni e bisogni e per favorire dunque la creazione di un percorso partecipativo di azione sindacale.
L’indagine si è focalizzata principalmente sui lavoratori con contratti a termine (subordinati, parasubordinati e autonomi), operanti in “aziende-leader” e in appalto. Oltre 500 lavoratori hanno risposto ad un questionario on-line, composto di 61 domande. Il questionario ha indagato: la situazione sociale dell’intervistato (età, genere, nazionalità, residenza, titolo di studio), la condizione economica, la situazione contrattuale e professionale (tipologia contrattuale, professione svolta, tipo di committenza, presenza di lavoro nero e irregolare), le condizioni di lavoro (giornate lavorate, periodi di disoccupazione, ritmi e carico di lavoro, modalità di lavoro), le condizioni di salute fisica e psicologica, le relazioni sociali nel luogo di lavoro, il ruolo delle competenze e della formazione, la percezione che l’intervistato ha del proprio lavoro, le opportunità che ha di contrattare le proprie condizioni, i suoi bisogni e le aspettative. Il questionario è stato on-line 5 mesi (da Ottobre 2013 a Febbraio 2014).
Il campione della ricerca è composto per il 68% da uomini, evidenziando una presenza soprattutto maschile tra i lavoratori indipendenti, discontinui e precari che hanno voluto partecipare alla ricerca. Le tipologie professionali hanno una chiara connotazione di genere: gli uomini si distribuiscono soprattutto tra tecnici operatori (84%) e la presenza femminile va dal 40% tra le maestranze fino al 46% dei tecnici post-produzione. L’80% lavora per produzioni televisive, e il 13% per produzioni web. Anche la distribuzione per classi di età contribuisce a descrivere chiaramente la specificità del campione: forme contrattuali discontinue e a termine riguardano i lavoratori e le lavoratrici di tutte le fasce d’età. L’età media è di 40 anni. I lavoratori tra i 41 e 50 anni sono il 26%, quelli tra i 31-35 anni il 24%, tra i 36 e i 40 anni il 22%. Le code della distribuzione raccolgono il 14 per cento degli over 50 e il 13% degli under 30.
Uno su due tra le persone che hanno risposto al questionario ha un’esperienza di lavoro in questo settore che va dai 6 ai 15 anni, il 23% tra i 16 e i 25 anni di esperienza, mentre le code della distribuzione - chi ha meno di 5 o più di 26 anni di esperienza - sono il 14% dei casi. Il 44% è in possesso di una laurea ed il 40% della licenza media superiore. Solo il 14% accede a questo tipo di lavoro con un titolo di qualifica professionale.
Sono soprattutto Roma e Milano, dove si trovano le grandi produzioni televisive, le città in cui risiedono i rispondenti al questionario. La discontinuità e la temporaneità contrattuale condizionano le scelte di vita individuali dei lavoratori del settore radiotelevisivo. Oltre la metà non è sposato/a e non convive (52%), condizione che invece riguarda il 40% dei rispondenti. Anche l’assenza di figli riguarda una larga parte del campione (68%), uno su cinque ha un solo figlio e l’11% ne ha due, mentre solo lo 0,8% ne ha tre o più.
Il settore si caratterizza per una grande diversificazione delle forme contrattuali impiegate. Uno su tre (32%) è un lavoratore autonomo; il lavoro a chiamata coinvolge uno su quattro (25,5%); i lavoratori parasubordinati (con contratto a progetto, collaborazione occasionale e lavoro accessorio) sono il 13%. I lavoratori subordinati sono il 21% (per la maggior parte a tempo determinato, seguiti da una quota consistente di dipendenti a tempo indeterminato). La tipologia contrattuale è connotata, in parte, dal genere: il lavoro a chiamata è prevalente tra gli uomini e il lavoro autonomo e la parasubordinazione sono prevalenti tra le donne. La condizione di “lavoro a termine” è considerata come una condizione strutturale del settore per la maggior parte dei lavoratori.
Le tipologie professionali sono numerose:
- tecnici e operatori (32,8%), come gli operatori di ripresa, i tecnici audio e video, i fonici, i microfonisti, RVM;
- maestranze (8,1%), come gli artigiani, costumisti, decoratori, assistenti di studio;
- produzione e organizzazione (11,8%), come gli impiegati, producer, ispettori e segretari di produzione, amministratori, traffic manager;
- tecnici di post-produzione (9,9%), come i montatori, grafici, editor;
- lavoratori dell’area editoriale e creativa (37,4%), come gli autori, sceneggiatori, collaboratori per la scrittura dei testi, assistenti alla regia, redattori, attori, fotografi, casting director (quest’area include anche i pochissimi giornalisti che hanno risposto al questionario).
Circa la metà delle donne intervistate lavora nell’area editoriale e creativa e più degli uomini sono impiegate come tecnici di post-produzione, gli uomini invece per il 42% sono tecnici-operatori e quasi uno su tre (31,6%) è impiegato nell’area editoriale e creativa.
Sono utilizzate numerose forme contrattuali diverse per svolgere la stessa tipologia professionale. La condizione più diffusa è quella della pluricommitenza, ma anche la monocommitenza espone a situazioni di lavoro precarie. Il 41% è stato assunto per più di 180 giornate, dunque ha coperto contrattualmente un periodo abbastanza lungo, anche se il campione è variegato e il lavoro discontinuo o che non riesce a coprire l’annualità è un problema diffuso: uno su tre ha lavorato per meno di 90 giorni (34%).
La durata media dei contratti è molto variegata: un lavoratore su quattro sigla contratti che durano meno di 5 giornate e una stessa quota di lavoratori sigla invece contratti che durano più di 180 giornate, per gli altri la durata dei contratti varia molto tra questi due estremi. La frammentazione dei contratti è determinata più dalla tipologia professionale che dal tipo di rapporto di lavoro. Il lavoro è fortemente discontinuo e la disoccupazione è un problema diffuso. Nel 2013, per il 43% dei rispondenti il periodo massimo di disoccupazione è durato tra i 31 e i 90 giorni, quasi uno su quattro (24%) ha dichiarato di essere stato disoccupato per più di tre mesi e solo il 10% dichiara di avere lavorato senza nessuna interruzione.
La crisi ha avuto un impatto negativo sulla vita dei lavoratori e per la metà di loro la condizione lavorativa è peggiorata negli ultimi anni (50%). Il settore si caratterizza per un forte carico di lavoro: la metà dei rispondenti supera le 40 ore di lavoro settimanali. Le maestranze, i lavoratori dell’area editoriale/creativa e quelli della produzione/organizzazione sono i lavoratori che più superano le 40 ore di lavoro settimanali, mentre i tecnici/operatori sono quelli che più lavorano in part-time con un orario ridotto.
Il settore radio-TV è caratterizzato da un processo produttivo complesso nel quale il lavoratore mette a servizio le proprie competenze ma, nella maggior parte dei casi, non è proprietario degli strumenti di lavoro (spesso molto costosi), non ha voce (o ne ha poca) sulla programmazione del lavoro che è definita dall'imporsi degli eventi e dalla dirigenza, e di conseguenza non ha l'opportunità di programmare dei tempi di lavoro in maniera ben strutturata. Allo stesso modo, spesso, non ha un luogo "abituale" di lavoro e dunque deve spostarsi secondo le esigenze della produzione. Le dure condizioni di lavoro si traducono in difficili condizioni di salute per la maggior parte dei lavoratori: più della metà del campione (54%) dichiara di soffrire di più di tre problemi fisici. Il settore inoltre si caratterizza, secondo i rispondenti, per un’assenza di prospettive individuali sia considerando le prospettive di carriera (poche o nessuna per l'80% dei rispondenti) sia considerando le opportunità per una pensione adeguata (poche o nessuna per quasi tutti: il 95,5%). Le opportunità di conciliare il lavoro con la vita famigliare sono per lo più nulle (per il 23,5%) o scarse (47%) e questo va al di là delle distinzioni contrattuali, professionali e di genere.
La flessibilità nell’accettare le condizioni di lavoro proposte e i contatti tra conoscenti nello stesso settore sono considerati i fattori più rilevanti per trovare lavoro in questo settore (rispettivamente nel 96% e 83% dei casi). Oltre il 70% non ha mai svolto una formazione professionale, mentre il 16% l’ha sostenuta a proprie spese e solo il 6% dichiara di aver usufruito della formazione professionale pagata dall’azienda.
Gli stipendi sono bassi e ci sono numerosi ritardi nei pagamenti. La maggior parte (il 38%) ha un reddito inferiore ai 10.000 euro l’anno e solo uno su quattro (26%) supera i 20.000 euro l’anno. Dunque, il rischio di “lavorare ed essere povero” appare come un problema ampiamente diffuso. I lavoratori parasubordinati e a chiamata sono quelli che hanno gli stipendi più bassi (la metà circa in questi gruppi contrattuali prende meno di 10.000 euro all’anno) mentre i lavoratori subordinati e gli autonomi hanno, in confronto, degli stipendi più alti (circa il 54% di entrambi i gruppi prende più di 15.000 euro l’anno).
Il 67,5% vuole avere una maggiore continuità occupazionale con più tutele. Il 20;5% vuole avere un lavoro stabile a tempo indeterminato. Il 12% punta ad un compenso più elevato. Pur in un rapporto non semplice tra i lavoratori e il sindacato, anche perché i lavoratori hanno paura e sono ricattabili, i rispondenti indicano come priorità, per il 29%, garantire maggiori diritti e tutele per i lavoratori autonomi, per il 28% trasformare i contratti precari in contratti stabili, per il 25% dare una continuità occupazionale a chi ha un lavoro temporaneo.
Dati generali
Le tv e radio che applicano i contratti collettivi nazionali firmati da Slc (Rai ed emittenza privata) occupano complessivamente circa 25 mila addetti, esclusi i giornalisti. L’esercito dei lavoratori co.co.pro o a partita Iva, che solo in Rai sono 4.500. Un’altra quota importante di lavoratori è quella relativa agli appalti radiotelevisivi: circa 4.000, suddivisi tra produzione – in maggioranza – e postproduzione. In particolare sono le produzioni di sport e news a essere organizzate attraverso services, con subappalti verso aziende più piccole o anche ditte individuali. Questi lavoratori sono assunti con contratti intermittenti o a partita Iva per il periodo o i periodi della prestazione richiesta. Ma mentre nei services più grandi si applicano, sia pure approssimativamente, i contratti nazionali di categoria (Frt o Anica), la vasta rete del subappalto presenta numerosissimi fenomeni di irregolarità, fino al lavoro nero. Esistono persino aziende con sede legale in altri paesi, fuori dall’Unione europea, rendendo in tal modo più complicata l’attività ispettiva.