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Da alcuni decenni l’immagine, il ruolo e la funzione del lavoro e del sindacato hanno assunto contorni sempre più fluidi, perdendo in molti casi la riconoscibilità che fino a quel momento li aveva caratterizzati. Per un sindacato che si proponga di rappresentare i lavoratori nel e del mondo contemporaneo diventa dunque indispensabile comprendere il lavoro e i lavoratori di oggi e costruire per sé un’immagine e un ruolo adeguati alle nuove dinamiche del mercato del lavoro.
Le Camere del lavoro territoriali di Forlì e Cesena, insieme con l’Associazione Luciano Lama, con questa ricerca hanno deciso di approfondire il tema del rapporto dei giovani con il lavoro e il sindacato e di esplorare i comportamenti, le opinioni e gli atteggiamenti dei giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono, lavorano e/o studiano nel territorio della provincia di Forlì-Cesena. Alla ricerca hanno partecipato complessivamente 794 giovani: più ragazze che ragazzi (60,6% contro 39,4%), nella quasi totalità dei casi di cittadinanza italiana (92,3%), di età inferiore ai 30 anni (76,4%, età media 26,5 anni), con titoli di studio alti (45,8%) e medi (44,6%).
Si tratta in primo luogo di studenti lavoratori (31,1%) e studenti a tempo pieno (21,1%), con una quota non irrilevante che si definisce disoccupato o in cerca di prima occupazione (18,5%); i lavoratori costituiscono circa un quarto dei rispondenti con differenze rilevanti rispetto al tipo di contratto con cui lavorano o hanno lavorato, definito standard solo in un caso su due.
Dal punto di vista ideale gli intervistati si rivelano animati dai medesimi valori condivisi da tutte le coorti di giovani a partire dagli anni Settanta: libertà, istruzione, solidarietà, uguaglianza, pace sono ai vertici della graduatoria mentre tradizione e religione agli ultimi posti. Il lavoro rappresenta innanzitutto un mezzo per rendersi indipendenti dalla famiglia di origine (92,1%) e soddisfare le necessità economiche (88,9%) ed è visto come strumento di realizzazione personale dall’84,3% di chi non lavora ma solo dal 77,8% di chi lavora, suggerendo l’ipotesi di una riduzione delle aspettative e di una revisione dei significati attribuiti al lavoro tra gli occupati.
Tuttavia è il passaggio dalla condivisione di valori all’impegno in prima persona in un’associazione o un movimento a offrire le prime indicazioni rispetto alla prossimità e alla potenziale “coinvolgibilità” dei giovani in attività e organizzazioni collettive come il sindacato. A differenza di quanto emerge in altre ricerche, gli intervistati presentano livelli di coinvolgimento in attività associative più elevati di quelli tipici dei coetanei non solo per quanto riguarda le organizzazioni sportive, ma anche rispetto ad associazioni che promuovono un impegno sociale.
L’indagine sulla distanza ideale e materiale dal sindacato fornisce maggiori dettagli sul grado di riconoscimento e identificazione dei giovani con l’organizzazione: il 97,3% ne ha sentito parlare (per lo più in famiglia o nei media), il 45,3% vi è entrato in contatto, il 30% è o è stato iscritto a un sindacato (45,2% tra chi lavora, 19,9% tra chi non lavora), ma solo il 2,5% riveste la carica di delegato sindacale o rappresentante della sicurezza (5,5% rappresentante degli studenti).
L’approfondimento delle ragioni che hanno portato gli intervistati a rivolgersi al sindacato mostra come prioritaria la funzione di servizio nello svolgimento di pratiche varie: servizi di assistenza fiscale (30,5%) e di assistenza previdenziale (19,7%), ma in realtà ben il 18,6% di giovani è entrato in contatto con il sindacato per quello che è considerato il suo ruolo specifico ovvero la tutela dei diritti sul lavoro. Minore è il ricorso al sindacato per l’assistenza contrattuale (11,3%), ma proprio la precarietà delle situazioni lavorative degli intervistati potrebbe esserne la causa: il contratto, quando c’è, viene probabilmente firmato senza pensare ad un controllo preventivo delle condizioni sottoscritte ed è solo quando emergono problemi concreti che si cerca il supporto di esperti.
Le valutazioni espresse a proposito dei servizi promuovono il sindacato: non sempre a pieni voti se si considerano le risposte di tutti, anche di chi non ha utilizzato quei servizi né ha avuto contatti con il sindacato, ma in modo decisamente brillante quando invece ad esprimersi sono solo i giovani che quei servizi li hanno sperimentati e i giudizi migliori (oltre il 40% di valutazioni positive in “astratto” e quasi il 70% da parte degli utenti reali) il sindacato li riceve a proposito delle sue specifiche attività – la tutela dei diritti sul luogo di lavoro e l’assistenza contrattuale.
La tutela dei diritti sul lavoro è oggi anche uno dei temi più controversi e dibattuti tra chi li considera privilegi da eliminare e chi invece li vede come una conquista fondamentale da presidiare. I giovani intervistati non sfuggono a questa dinamica e anzi, forse non del tutto consapevolmente, sembrano propendere per una rappresentazione dei diritti come qualcosa di individuale: fare bene il proprio lavoro e confrontarsi direttamente con il datore di lavoro sono infatti le due modalità di tutela dei propri diritti più scelte (rispettivamente 51% e 42,3%), mentre il tentativo di socializzare il problema coinvolgendo i colleghi e il ricorso al sindacato raccolgono consensi meno numerosi (25,3% e 18,6%).
Le motivazioni di iscrizione al sindacato rinviano principalmente alla logica dei servizi (31,6%), ma per quote rilevanti di intervistati la membership si lega alla fiducia nella capacità del sindacato di tutelare i lavoratori e di migliorare le condizioni di lavoro. Il 37% di chi non è iscritto dichiara invece che nessuno gli ha proposto di farlo. Tra i limiti della capacità del sindacato di rappresentare i giovani viene segnalata, in primo luogo, l’assenza dei giovani stessi dalle posizioni decisionali (52%); a seguire le politiche tese a conservare il potere di chi è già occupato (47,4%), la natura burocratica dell’organizzazione sindacale (39,4%), lo scarso contatto con il mondo atipico (30,5%) e la prevalente attenzione nei confronti dei pensionati (16,2%).
Tuttavia il rapporto dei giovani con il sindacato è un rapporto dai molteplici volti perché molteplici sono i volti, le caratteristiche e le esperienze dei giovani e per renderli visibili si sono disegnati quattro “tipi ideali”: giovani studenti idealisti (20,4%), in maggioranza già laureati, con una forte spinta sociale e quasi sognatori, senza molte esperienze dirette del sindacato e che forse per questo non si sbilanciano in un giudizio sul suo operato (72% “non saprei”); giovani lavoratori tradizionalisti (31,3%), in molti casi disoccupati o in cerca di prima occupazione, legati a tradizione e religione, vicini al sindacato e in buona parte iscritti (50,2%), che giudicano l’azione della Cgil pienamente positiva (34,4%); giovani studenti indifferenti (19,7%), molto giovani, con contratti precari quando lavorano, senza niente in cui credere o da considerare importante, che numerosi sono o sono stati iscritti al sindacato (22,3%) ma che più numerosi di tutti giudicano negativamente l’operato della Cgil (15,3%); giovani lavoratori realisti (28,5%), i più adulti, spesso già con una propria famiglia, con titoli di studio medio-bassi (76,9%) e contratti non standard, che contano molto sul merito e sono impegnati anche in politica (21,3% iscritti a un partito), ma che quando si tratta di giudicare l’azione della Cgil sembrano non voler prendere posizione, divisi tra “non saprei” e “né positiva né negativa”.
Ogni gruppo mostra un modo di rapportarsi con il sindacato: il vero lavoro comincia adesso.
* Università di Bologna
Alla ricerca hanno collaborato Aurora Ricci, Carlo Fontani, Giuliano Guietti, Domenico Guzzo, Alessandro Martelli, Florinda Rinaldini, Salvatore Zappalà