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Hanno raggiunto gli studenti, nelle strade e nelle piazze occupate della zona centrale dei palazzi governativi, nel cuore politico e finanziario di Hong Kong. Insegnanti, operai di stabilimenti industriali, autisti, portuali, lavoratori del settore del commercio sono scesi in sciopero e si sono uniti al movimento Occupy Central. Con una rivendicazione unitaria: diritti e democrazia, rappresentanza per tutti, non solo per le élites. Le immagini degli studenti e dei lavoratori che resistono con i loro ombrelli ai lacrimogeni e alle nuvole di pepper spray (lo spray al peperoncino) lanciati dalla polizia hanno fatto il giro del mondo, portando il movimento Occupy Central alla ribalta dell’attenzione globale. È la rivoluzione degli ombrelli, come si è auto-definita l’onda di protesta che ha scosso e continua a scuotere il terzo centro finanziario globale, la capitale della finanza asiatica, il mercato borsistico che apre, per primo, con il sorgere del Sole sul Mar Cinese Meridionale e dà il trend della giornata alle borse occidentali, influenzando il valore dei titoli nei listini (guarda la fotogallery da Hong Kong).
Esplosa il 26 settembre scorso, la marea magmatica del movimento per la rivendicazione del suffragio universale è dilagata inarrestabile, resa perfino più forte dalle cariche della polizia e dall’atteggiamento di chiusura assunto dal governo centrale cinese. Decine di migliaia di residenti di Hong Kong, in maggioranza giovani ma con una forte partecipazione di manifestanti di tutte le età, ha occupato pacificamente le vie centrali della città, fermando parzialmente traffico e attività economiche. Le rivendicazioni salite dalle strade, dalle assemblee e dai sit-in sono chiare. Diritto di voto per tutti gli abitanti del distretto autonomo di Hong Kong, passato alla repubblica Popolare Cinese nel 1997 e rimasto con uno statuto speciale che lo rende una repubblica semi-autonoma; scelta indipendente e con voto popolare del rappresentante presso il Congresso centrale del Partito Comunista Cinese. In una parola: suffragio universale.
Attualmente il consiglio costituzionale (denominato Functional Constituency) di Hong Kong è costituito esclusivamente da rappresentanti delle corporazioni, che fanno capo al cuore finanziario della città e che sono l’espressione dei gruppi che portano avanti il big business nella città: gli abitanti, quindi, non hanno diritto di voto. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’annuncio, il 31 agosto scorso, della decisione del governo centrale di Pechino di fare scegliere agli abitanti di Hong Kong, nelle votazioni che si terranno nel 2017, il candidato rappresentante dell’isola presso il Comitato centrale del Partito tra una rosa di tre candidati, tutti scelti da Pechino.
“Chiediamo tre cose fondamentali - racconta Vincent Wong, giovane attivista di Occupy Central – suffragio universale, eliminazione del sistema elettorale basato su tre candidati imposti dal Comitato Centrale di Pechino e abolizione del Functional Constituency, il sistema rappresentativo basato sulle corporazioni e non sul voto popolare”. La gente, racconta ancora Wong, “è scesa in strada, perché ha deciso che non c’è un altro modo per farsi sentire che non sia la disobbedienza civile”. È questa la parola d’ordine che caratterizza le azioni del movimento, pacifico ma determinato a resistere alle cariche della polizia.
La Hong Kong Confederation of Trade Unions (la Hkctu, parte della Confederazione Internazionale dei Sindacati, Ituc) ha indetto uno sciopero generale che si è tenuto lo scorso primo ottobre, proprio in occasione del sessantacinquesimo National Day, il giorno di festa nazionale che celebra la nascita della Repubblica Popolare Cinese. Una data non casuale, ovviamente. La confederazione dei sindacati del distretto autonomo ha chiamato alla mobilitazione tutte le categorie di lavoratori, invitandole all’astensione dal lavoro allo scopo di ottenere il rilascio immediato “di tutti i dimostranti arrestati”, la fine della “repressione delle assemblee pacifiche” e una riforma del sistema politico in senso democratico, a cominciare dalle dimissioni del governatore della città, il “Chief executive” Leung Chun-ying.
I lavoratori “devono sollevarsi contro un governo ingiusto e la violenta repressione che ha messo in atto, per difendere la democrazia e la giustizia. Non possiamo lasciare gli studenti a combattere da soli contro la repressione”, ha dichiarato nel comunicato stampa il segretario della Hkctu, Lee Cheuk-yan. Le 21 sigle sindacali che compongono la confederazione hanno aderito senza riserve e hanno chiamato i loro membri a prendere parte allo sciopero. Del resto i motivi di malcontento contro i rappresentanti governativi sono profondi. “I diritti fondamentali dei lavoratori che sono stati negati dal Chief Executive e dal Consiglio legislativo sono molti, come ad esempio la regolamentazione dell’orario di lavoro”, ha sottolineato un portavoce della confederazione.
Anche l’Ituc, la Confederazione Internazionale dei Sindacati, si è espressa a favore delle mobilitazioni. In un comunicato stampa il segretario generale Sharan Barrow ha dichiarato di “supportare pienamente il movimento sindacale di Hong Kong nella sua rivendicazione di democrazia e giustizia sociale”. Del resto i motivi di malcontento contro i rappresentanti governativi sono profondi. “I diritti fondamentali dei lavoratori che sono stati negati dal Chief Executive e dal Consiglio legislativo sono molti. Ad esempio la regolamentazione dell’orario di lavoro”, ha sottolineato un portavoce della confederazione.
Il giorno stesso della dichiarazione dello sciopero generale alcune centinaia di operai degli stabilimenti della Swire Beverages, l’industria titolare dell’imbottigliamento e della distribuzione della Coca Cola nella regione, hanno addirittura anticipato spontaneamente la mobilitazione, incrociando le braccia. Così, con la gioia degli studenti nelle piazze, il primo ottobre oltre 10.000 lavoratori, addetti dei vari settori produttivi e dei servizi, sono scesi in sciopero, andando a ingrossare le fila dei manifestanti nel centro della città.
Gli organizzatori del movimento sono riusciti a mantenere un’impronta molto pacifica a tutte le manifestazioni, nonostante le cariche della polizia, le decine di persone ferite dai manganelli e intossicate dai lacrimogeni e i quasi cento arresti effettuati dalle forze dell’ordine per reprimere la protesta. Ciononostante, le occupazioni e i sit-in si sono ingranditi di giorno in giorno. Il sindacato più attivo è quello degli insegnanti, l’Hong Kong Professional Teachers’ Union (Hkptu), che ha fatto proprie le parole d’ordine dei loro studenti. Insegnanti delle scuole secondarie e professori universitari hanno dichiarato con un lettera aperta che la protesta dei loro studenti è, in primis, la loro stessa protesta. “Il sindacato degli insegnanti delle scuole secondarie – racconta Vincent Wong - ha aderito allo sciopero. Gli insegnanti sono tra i più attivi all’interno del movimento: hanno aiutato nell’organizzazione delle piazze e delle assemblee, poi hanno contattato i professori universitari per dare alla stampa una lettera aperta congiunta in sostegno del movimento”.
Nonostante la repressione, gli attacchi violenti portati avanti da gruppi di individui misteriosi, probabilmente legati alla mafia delle Triadi, e il fastidio espresso da alcuni commercianti che - con le strade bloccate - non riuscivano a mandare avanti i loro affari, le assemblee di Occupy Central hanno deciso di continuare, di andare avanti anche se con forme diverse. Dopo giorni e giorni di proteste ininterrotte e di strade convertite in accampamenti e presidi, la protesta si va ora trasformando: le occupazioni davanti ai palazzi del potere rimangono, ma hanno assunto una valenza più simbolica. L’obiettivo adesso è mantenere la fiamma della protesta per un lungo periodo, riducendone la potenza ma mantenendola viva.
“Mi sento di chiamare quello che c’è stato finora una vittoria”, spiega Vincent Wong, “perché non c’è mai stato nulla di simile qui a Hong Kong. Nel 1967, quando la città era sotto il controllo dell’amministrazione coloniale inglese, ci furono grosse manifestazioni che reclamavano migliori condizioni di vita. Ma ora noi stiamo lottando per un cambiamento di fondo del sistema, non per un welfare migliore. Quello che sta succedendo per la maggior parte delle persone è un qualcosa di completamente nuovo. Nelle piazze manteniamo la pulizia più assoluta, per non perdere il favore dei residenti. Ognuno apporta qualcosa al movimento, condividendo il più possibile: c’è chi insegna l’inglese, chi aiuta a cucinare, chi a fare i cartelloni, chi a scrivere i comunicati. È davvero un’esperienza nuova, perché la maggior parte delle persone di Hong Kong è abituata a pensare solo a se stessa, e a guardare gli altri in termini competitivi. Lo stare insieme nelle piazze sta insegnando a tutti a ragionare in termini meno individualistici, a condividere, a sviluppare un senso di comunità. Questo contesto così particolare che si è sviluppato tra gli occupanti ha permesso a coloro che partecipano di capire cosa vuol dire essere cittadini, essere parte della città. E così non c’è dubbio che nelle prossime mobilitazioni, che continueranno ad esserci finché non avremo raggiunto i nostri obiettivi, ancora più persone prenderanno parte al movimento”.
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