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Il tempo stringe, i licenziamenti sono ormai alle porte. Sono giorni durissimi per i lavoratori della Holcim di Merone (Como), su cui pendono ben 73 licenziamenti, che diverranno operativi l’8 agosto prossimo. Per oggi (giovedì 23 giugno) è previsto un incontro a Como tra Unindustria, sindacati generali (Cgil, Cisl e Uil) e di categoria (Feneal, Filca e Fillea), per spingere l’associazione imprenditoriale a intervenire verso la multinazionale (che, dopo la fusione con la francese Lafarge, è divenuto il primo gruppo al mondo per la produzione di cemento) per rivedere la propria posizione. In occasione dell’incontro, si tiene anche uno sciopero di quattro ore e un presidio davanti ai cancelli della fabbrica.
L’azienda, infatti, ha assunto un atteggiamento particolarmente duro e inusuale. La società, infatti, non solo ha disposto i 73 esuberi tra Holcim Italia e Holcim Aggregati e Calcestruzzi srl (su complessivi 317 dipendenti) senza alcun confronto con i sindacati, ma ha anche annunciato di non volersi avvalere di alcun ammortizzatore sociale per attenuare l'impatto sociale creato dai licenziamenti. Inoltre, la multinazionale ha dichiarato di non prevedere per i prossimi anni alcun investimento nel processo e nella ricerca di prodotti nuovi, salvo quelli ordinari.
“Una posizione – spiega un comunicato di Feneal, Filca e Fillea – che contraddice quanto sottoscritto nel recente Ccnl e che dimostra come un’ulteriore riduzione del perimetro produttivo e commerciale di Holcim in Italia costituisca la vigilia del definitivo smantellamento del gruppo nel nostro paese”. Entrando nel merito degli impianti lombardi, i sindacati fanno sapere che “a Merone non sono previsti interventi a modifica dell'attuale processo produttivo ed eventuali investimenti verranno effettuati solo a fronte di proposte per la vendita dell’area”, a Ternate (Varese) si svolgeranno soltanto “interventi di manutenzione ordinaria previa conferma dalla casa madre di Zurigo”, mentre per la cava di Pioltello (Milano) si attende “l’evoluzione legislativa per stabilirne il futuro, ma l’azienda si è resa indisponibile a investire risorse economiche in un eventuale partenariato pubblico-privato per la ricerca di nuovi prodotti”.
Subito è scattata la mobilitazione dei sindacati, sostenuti in questa battaglia dagli enti locali interessati. Lunedì 20 giugno si è svolto uno sciopero, con manifestazione per le vie della cittadina, che ha visto l’adesione del 96 per cento della forza lavoro. Il Coordinamento delle Rsu del gruppo, intanto, ha richiesto incontri al ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda e al presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni per assicurare alla vertenza un percorso istituzionale. “La questione – concludono i sindacati – non è solo sindacale, ma sociale e politica. Rinunciare al futuro e non attivare gli ammortizzatori sociali è una scelta che non abbiamo condiviso in passato e che non condivideremo in futuro, alla luce della quale non sono possibili accordi per la gestione degli esuberi”.