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Lo scorso 19 ottobre abbiamo pubblicato la lettera di un docente precario al ministro dell’Istruzione. “Sono stanco di sperare nella buca della posta - scriveva Emiliano Sbaraglia -, in attesa di una convocazione che non arriverà mai. Ecco perché ho deciso di partire”. La meta: Dakar, Senegal, un centro di accoglienza per bambini. Nei giorni successivi la missiva è stata ripresa dalla stampa. Ora il docente ci racconta i primi giorni nel paese africano.
Ai lettori di rassegna.it che hanno avuto modo di leggere la lettera inviatale la scorsa settimana (cfr. “Arrivederci, ministro”), per onestà intellettuale bisognerà dire che alla fine si rischia di doverlo ringraziare, il ministro della Pubblica istruzione Mariastella Gelmini.
Sì, perché qui al sud di Dakar si poteva aver bisogno di un coordinatore didattico, in vista della riapertura dell’anno scolastico. Un coordinatore didattico “alla pari”. Vale a dire mangiare e dormire. E qui è già molto. Ma si può fare meglio. Allora è stato quasi inevitabile arrivare a pensare che in Italia, alla pari, uno ci sta già. Anzi, forse anche qualcosa in meno, da cercare chissà dove.
Al Centro di accoglienza la giornata si svolge più o meno così. La mattina, intorno alle sette e trenta arriva Andrea Amadou, il direttore, 35 anni, da tre stabilitosi tra i villaggi di Kélle e Toubab Dialaw, che nella lingua wolof letteralmente significa “il bianco (toubab) elastico”, vale a dire un bianco che tende a mescolarsi. Più o meno allo stesso orario escono dalle loro stanze anche i due insegnanti, Baba e Pierre, l’uno di religione musulmana, l’altro cattolico. Ibrah, il guardiano, in pratica si sveglia alla stessa ora. Nel frattempo è arrivata Sophie, oppure Amì, che governano la casa alternandosi i turni mattutini e pomeridiani.
Dopo latte e pane si va in spiaggia con Baba e Pierre, a cercare bimbi non iscritti alla scuola pubblica, magari parlando con i loro genitori, se ci sono. Si arriva sino al mercato del pesce, praticamente organizzato sulla riva del mare. Oppure direttamente alla scuola pubblica, per parlare con il direttore e gli insegnanti, e per coordinare le attività pomeridiane.
Poi si torna al Centro e si mangia tutti assieme, tutti nello stesso piatto, in quanti non importa: le forchette si incrociano, gli sguardi pure. Si scherza in un francese dalla forma approssimativa, ma che andiamo tutti migliorando. In televisione una sorta di Mtv senegalese impazza.
Nel pomeriggio iniziano le attività pomeridiane, che variano dai corsi di lettura a quelli di teatro, dall’alfabetizzazione all’alfabetizzazione informatica; dai tragitti in macchina a Yenne, per tenere i corsi di francese nelle “Daara” dei Marabut musulmani, alle camminate sino a Niangay, dove sono partiti i corsi di canto e disegno. Di tutto questo torneremo ad occuparci.
Nel frattempo Ibrah si improvvisa infermiere, perché Papa Seve è dovuto tornare per qualche tempo in Italia. E ogni giovedì l’appuntamento è con i bimbi talibé, che invadono il Centro per una doccia, e per riprendersi i vestiti puliti della settimana precedente.
Quando le attività sono terminate si va in spiaggia, oppure a giocare a pallone. Altrimenti si va in spiaggia a giocare a pallone. Intorno alle sette la luce del sole scompare all’orizzonte, e ci si prepara per la cena.
Si mangia tutti assieme, tutti nello stesso piatto, in quanti non importa: le forchette si incrociano, gli sguardi pure. In televisione il presidente parla in un francese dai contenuti approssimativi. Ricorda, da vicino, il presidente italiano. Che pure è molto meno abbronzato.
» La lettera: "Arrivederci Gelmini, vado in Africa"