Anche nel corso degli anni più bui della storia repubblicana, il confronto/scontro tra i partiti e le tensioni tra una parte degli stessi e la Magistratura, non produssero alcuna evidente frattura istituzionale.
In effetti, sebbene le inchieste relative alla c.d. “Tangentopoli” coinvolgessero, in particolare, quella stessa Procura di Milano - sulla quale (anche) oggi tanto si disquisisce - e alcuni degli uomini politici che avevano “fatto la storia” del nostro tormentato Paese, tutto si svolte nel sostanziale rispetto delle prerogative costituzionali e della separazione dei poteri.
Oggi siamo, invece, in una condizione che non esiterei a definire di natura straordinaria.
Quando un Presidente del Consiglio in carica arriva a dichiarare l’intenzione di “fare causa” allo Stato, bisogna, evidentemente, ritenere di essere giunti ai limiti della civile convivenza.
Certo, si potrebbe (facilmente) obiettare che l’attuale Premier ci ha (da tempo) abituati a registrare “smentite” e “rettifiche” - se non vere e proprie “ritrattazioni” - resta però un dato incontrovertibile: quest’ulteriore “esternazione” è l’ultima di una (già troppo) lunga e insopportabile serie.
Tra i magistrati, definiti “persone mentalmente disturbate” e la Corte Costituzionale che “abroga le leggi in osservanza dei desideri dei Pm”, c’è, purtroppo, solo l’imbarazzo della scelta!
La conseguenza è rappresentata dall’imbarbarimento dei rapporti e dei comportamenti.
Dal quale, purtroppo, nessun si salva.
Dal Tricolore, cui un noto pregiudicato (sentenza definitiva della Cassazione del 15 giugno 2007) - attuale ministro per le riforme di questo nostro sventurato Paese - assegnava una vile funzione, ai comici e agli studenti, cui - con discutibile sfoggio di grazia e femminilità - la Santanchè, sottosegretario all’attuazione del programma(!) del Berlusconi IV, mostra il dito medio!
Persino il Capo dello Stato non sfugge a questi miserevoli attacchi.
Naturalmente, il prestigio dell’istituzione, costringe anche i più beceri rappresentanti del centrodestra a usare il massimo delle cautele possibili.
Si realizza, quindi, nell’interlocuzione con il Quirinale, la salvaguardia della forma, salvo poi, nella sostanza, rasentare il vilipendio. E’ il caso, per esempio, di un articolo - pubblicato da quello che una volta era il glorioso quotidiano del Psi e oggi scaduto a modesto “amplificatore berlusconiano” - attraverso il quale il “superpentito” (rispetto alla Cgil e alla sinistra) Giuliano Cazzola, quale novello Winston (“1984” di George Orwell), altera e manipola - travisandone il senso - le stesse dichiarazioni del Presidente.
Infatti, di là del consueto (e ormai retorico) attestato di profonda stima nei confronti della persona e rispetto del ruolo istituzionale, Cazzola, pur esordendo dichiarando l’intenzione di voler semplicemente esprimere “qualche dubbio” sull’operato di Napolitano - rispetto ai tre lavoratori licenziati dalla Fiat a Melfi, al “Collegato lavoro” e alla vicenda Mirafiori - finisce per contestarne, nel metodo e nel merito, i comportamenti e le prese di posizione.
Con l’aggravante, a mio parere, di offrirne una gratuita, parziale e personalissima, interpretazione.
Tra l’altro, in qualità di esponente del centrodestra e al pari di tanti altri colleghi - di partito e di schieramento - Cazzola non è nuovo a performance di questo tipo.
La tecnica è (ormai) ampiamente collaudata e solo quelli che personalmente definisco distratti “a contratto” o sordo/ciechi “a intermittenza”, possono continuare a fingere di non riuscire ancora a realizzarne forme e contenuti.
In effetti, attraverso l’articolo del 14 gennaio scorso, Cazzola avviava le sue considerazioni definendo “ampiamente motivate” le critiche espresse da Napolitano in merito alle norme su conciliazione e arbitrato (si ricorderà che le stesse avevano prodotto il rinvio alle Camere del c.d. “Collegato lavoro”).
Contemporaneamente, però, l’autore sosteneva che il Presidente era “intervenuto con modalità e argomenti” che, in sostanza, avevano finito con il rappresentare un autorevole sostegno alla posizione oltranzista e antistorica della Cgil, contraria, a suo parere, “a qualsiasi tentativo d’innovazione(!) delle relazioni industriali”.
Nulla di più falso e strumentale.
Infatti, a prescindere dalla bontà o meno della posizione (complessivamente) espressa dalla Cgil - tanto legittima quanto condivisa da alcuni tra i massimi esperti di Diritto del lavoro - Napolitano si era, doverosamente, limitato a esercitare una precisa prerogativa costituzionale, segnalando alcune incongruenze che - solo incidentalmente - erano già state rilevate (anche) da autorevoli consulenti della stessa organizzazione sindacale.
Tacciare, quindi, il Capo dello Stato di sostanziale “collaborazionismo” con un sindacato al quale Cazzola - dopo l’esaurimento della sua (non particolarmente esaltante) esperienza di dirigente nazionale - non ha mai risparmiato critiche, né lesinato acredine e livore, rappresentava, nei fatti, un’equiparazione degli atti d’accusa.
In quella stessa occasione, Cazzola definiva “ancora più discutibile, nel metodo e nel merito”, la risposta che il Presidente - con inusuale sollecitudine, a suo parere - aveva indirizzato ai tre lavoratori della Fiat di Melfi.
Gli stessi avevano scritto a Napolitano affinché, in qualità di garante della Costituzione e dello Stato di diritto, si rendesse artefice del ripristino del libero esercizio dei diritti sindacali e richiamasse i protagonisti della vicenda al rispetto delle leggi.
In particolare, i lavoratori - prima licenziati e successivamente “reintegrati” - reclamavano il diritto a essere riammessi al loro posto di lavoro e non costretti, invece, a percepire la retribuzione senza lavorare. Null’altro che il rispetto della propria dignità!
Come a tutti noto - a parte Cazzola, evidentemente - il Presidente aveva risposto alla lettera-aperta con particolare cautela e profondo rispetto delle prerogative di ciascuna delle parti in causa.
Infatti, nell’esprimere “rammarico per la tensione creatasi, in relazione ai licenziamenti e, successivamente, per la mancata reintegrazione nel posto di lavoro sulla base della decisione del Tribunale” - nonché “compreso” lo stato di frustrazione dettato dal “percepire la retribuzione senza lavorare” - Napolitano aveva espressamente dichiarato di rimettersi alle decisioni dell’Autorità Giudiziaria, proprio “per rispetto di quelle regole dello Stato di diritto” invocate nella missiva.
L’unica “licenza” consentitasi fu rappresentata dal manifestare il “vivissimo auspicio che il grave episodio” - percepire la retribuzione senza lavorare - potesse essere superato, “nell’attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria”.
A ben vedere, soltanto un autorevolissimo invito alla Fiat di consentire quanto previsto dalla Carta Costituzionale. Il rispetto della dignità del lavoro e dei lavoratori!
Ebbene, il tutto, agli occhi di Cazzola - in ossequio alla pratica di diffuso “strabismo istituzionale”, cui il Presidente del Consiglio in carica ricorre (costantemente) nel separare, ad esempio, le fantomatiche e famigerate “toghe rosse” dai magistrati che mostrerebbero benevolenza e accondiscendenza - si trasforma in un potenziale tentativo di condizionamento della decisione del magistrato di turno.
Altrettanto scorretto fu, a mio parere, il riferimento alla posizione assunta dal Quirinale rispetto alla vicenda Fiat Mirafiori.
In effetti, per aver dichiarato “C’è un rapporto difficile, un confronto che è diventato molto duro. Mi auguro che nelle relazioni industriali, oggetto di contenzioso alla Fiat, si trovi di nuovo un modo più costruttivo di discussione”, a Napolitano fu, addirittura, addebitato l’ennesimo (e improvvido) “assist” a quella che, per Cazzola - come per Sacconi, Tremonti, Brunetta, Ichino e & - è diventata una vera e propria ossessione da esorcizzare: la Cgil.
Altrettanto miserevoli le critiche (sottintese) al Quirinale per aver dato - all’epoca dell’approvazione del decreto Gelmini - udienza agli studenti in lotta.
In definitiva, una sequenza di malcelati attacchi che, periodicamente, smentiscono i pur frequenti (e formali) attestati di stima; salvo guardare al lui come “il comunista del Colle”!
Giuliano Cazzola: un altro "Ministro della verità"
Per Cazzola, la Cgil è diventata una vera e propria ossessione , da esorcizzare con ogni mezzo!
10 febbraio 2011 • 00:00