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Se guardiamo dal freddo punto di vista dei numeri a quello che sta accadendo nell'ampia fascia d'età dai 15 ai 34 anni, quella a cui oggi viene generalmente attribuita l'etichetta di “giovani”, non possiamo che rimanere colpiti dalla rilevanza delle trasformazioni in corso.
Negli anni cinquanta del Novecento in questa classe di età si collocava poco meno di un terzo della popolazione totale. Fino ancora a 20 anni fa, nonostante una lenta erosione, quasi il 30% dei residenti erano situati in questo contenitore statistico. Da allora in poi le cose hanno cominciato a cambiare molto rapidamente e a far precipitare questa quota ad appena il 21%. In valori assoluti significa quasi 4,2 milioni di residenti in meno in 20 anni e oltre 1,5 milioni negli ultimi 10 anni.
Fig.1 – Quota percentuale della popolazione per grandi classi d'età. Italia. Confronto 1996 – 2006 – 2016
Fonte: elaborazione su dati Istat
Il cambiamento sarebbe stato ancora più rilevante se la riduzione della popolazione in questa fascia d'età non fosse stata parzialmente bilanciata, e contrastata, da imponenti flussi migratori, che hanno raddoppiato la presenza degli stranieri dal 2006 al 2016.
Fig. 2 – Variazioni della quota di popolazione straniera sul totale della popolazione. Italia 2006 -2016
Fonte: elaborazione su dati Istat
Ovvio che il fenomeno di progressiva riduzione della popolazione in questa fascia d'età ha motivazioni prima di tutto di carattere demografico, ma va segnalato anche il contributo che deriva dall'emigrazione all'estero di cittadini italiani, un fenomeno in netta crescita negli ultimi anni, che secondo i dati Istat interessa prevalentemente, per circa la metà del totale, proprio gli italiani tra i 18 e i 39 anni di età.
Fig. 3 – Cittadini italiani tra i 18 e i 39 anni di età che trasferiscono la loro residenza all'estero. Italia 2002 - 2015
Fonte: elaborazione su dati Istat
La fig. 3 mostra con chiarezza inoltre come questo fenomeno abbia subito un forte incremento a partire dal 2011, negli anni cioè immediatamente successivi alla crisi.
Al 2016 stiamo parlando dunque di circa 12,7 milioni di individui, quasi perfettamente suddivisi tra i due sessi, con una leggera prevalenza della componente maschile. Il 37,9% di essi risulta in base ai dati Istat occupato. Dieci anni prima, nel 2006, gli occupati arrivavano al 48,3% del totale, dunque la perdita che si registra è di oltre 10 punti percentuali, che viene così distribuita: quasi il 4% in più di studenti, 4,7% in più di disoccupati e 1,8% in più di inattivi. Quindi non solo i giovani si sono fortemente ridotti in numeri assoluti, ma quelli che restano hanno una difficoltà sempre maggiore a trovare occupazione: in valori assoluti si stimano oltre due milioni di occupati in meno.
Fig. 4 – Composizione della popolazione dai 15 ai 34 anni di età. Italia, confronto 2006 -2016
Tutto ciò si riflette ovviamente anche sui tassi più caratteristici del mercato del lavoro. Sempre mettendo a confronto la media annua del 2006 con quella del 2016: il tasso di occupazione perde oltre 10 punti percentuali, passando dal 51,4 al 39,9 %; il tasso di disoccupazione quasi raddoppia, da 11,6 a 22,4%; il tasso di mancata partecipazione al lavoro passa a sua volta dal 21,8 al 34,7%.
Se passiamo a considerare – sempre nella stessa classe d'età – la composizione degli occupati per tipologia di rapporto di lavoro, è evidente come il loro calo in valore assoluto si sia concentrato principalmente sul lavoro dipendente a tempo indeterminato e in parte sul lavoro autonomo. Viceversa il numero degli occupati dipendenti a tempo determinato, essendo rimasto sostanzialmente stabile, ha finito per rappresentare una percentuale sul totale notevolmente più elevata.
Fig. 5 – Composizione degli occupati dai 15 ai 34 anni di età. Italia, confronto 2006 -2016
Altro aspetto che vale la pena di sottolineare è la presenza crescente del lavoro part-time, cresciuto, nel confronto con il 2006, anche in valore assoluto e quindi, ancor più, nella rilevanza percentuale: siamo ormai quasi a un quarto del totale degli occupati. Nel caso delle occupate di sesso femminile l'incidenza del lavoro part-time ha raggiunto nel 2016 la vetta del 37,4%, ben 11 punti percentuali in più rispetto al 2006.
Fig. 6 – Percentuale di occupati part-time sul totale degli occupati dai 15 ai 34 anni di età. Italia, confronto 2006 -2016
Fonte: elaborazione su dati Istat
A questo proposito Istat propone un dato relativo alla quota di lavoratori sottoccupati o che svolgono part-time involontario: a conferma di quanto appena esposto, questo dato passa dal 2,0% del 2006 al 4,7% del 2016.
In conclusione, è evidente come la generazione che si affaccia in questi anni sul mercato del lavoro si sia venuta a trovare in una condizione di doppia penalizzazione: ha trovato e sta trovando enormi difficoltà di inserimento occupazionale e inoltre, laddove riesca in qualche modo ad inserirsi, deve fare i conti con un lavoro mediamente più precario e meno qualificato. La cosa è tanto più simbolicamente rappresentativa di un'involuzione sociale, perché colpisce una generazione già quantitativamente più esigua di tutte quelle precedenti e per la quale sarebbe quindi stato lecito attendersi non più ma meno difficoltà di inserimento.
È chiaro che qualsiasi soluzione agli annosi, ma purtroppo sempre più gravi problemi che riguardano la struttura sociale e produttiva del nostro Paese e che rallentano drammaticamente i suoi livelli di crescita, non può che passare di qui, dalla valorizzazione di questa fascia di popolazione, depositaria di risorse umane e culturali fin qui invece largamente dissipate.