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Un confronto tra i leader sindacali e giovani, studenti e dottorandi, una raffica di domande e risposte a viso aperto, per riflettere sul ruolo del sindacato nel mondo del lavoro dei nostri anni. Con un punto fermo: la rilevanza delle organizzazioni dei lavoratori, la forza delle relazioni industriali come strumento di giustizia sociale. Questo è andato in onda oggi, martedì 5 maggio all’incontro dal titolo “Il sindacato appartiene alla modernità del lavoro?”, a cura dell’Adapt, che si è svolto a Roma presso il centro congressi Cavour.
“L’associazione fondata da Marco Biagi compie 15 anni”. Così ha esordito Michele Tiraboschi, professore di diritto del lavoro all’Università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore scientifico di Adapt, che ha introdotto l’incontro. “Abbiamo scelto di festeggiare questa ricorrenza con i sindacati, perché il nostro metodo è portare i giovani a contatto con ciò che li aspetta domani. Da qui l’incontro: crediamo fermamente nel metodo delle relazioni industriali, non in un mercato del lavoro calato dall’alto ma nella forza delle relazioni tra aziende e sindacati. Crediamo nella rappresentanza. Una riforma del lavoro all’anno non va, soprattutto non funzionano le riforme non condivise, fatte dall’alto da chi non è dentro i luoghi dei lavoro e nei settori produttivi”.
“Il lavoro non è una fatica necessaria per arrivare a fine mese. La storia del movimento dei lavoratori è segnata dall’orgoglio di fare il proprio mestiere, dall’idea che le competenze che si hanno sono straordinariamente importanti”. Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, nel suo intervento. “L’idea che il lavoro sia il rapporto tra ciò che si produce e ciò che si guadagna non fa parte della nostra storia: le relazioni industriali si basano proprio sulla rivendicazione delle competenze. Oggi si dice che quel lavoro non c’è più, sarebbe meglio dire che non c’è una figura rappresentativa per tutte le forme di lavoro. Oggi c’è una grande frammentazione, basti pensare al numero eccessivo di contratti. A questo nel tempo è corrisposto un processo di centralizzazione delle scelte dei governi”.
Il segretario ha quindi proseguito: “Negli anni del lavoro professionale si discuteva di organizzazione del lavoro e valorizzazione delle professionalità. Adesso di questo non si discute più: c’è perfino una norma scritta dal nel Jobs Act che permette il demansionamento. Tutto ciò, ovviamente, ci chiede anche di ridefinire la contrattazione: occorre rimettere al centro il tema dei rapporti di potere tra aziende e lavoratori, non si possono lasciare le decisioni alle imprese”. Sul tema dei giovani, a suo avviso, “c’è molta demagogia: non è vero che c’è sempre un problema anagrafico, in alcuni settori la nostra rappresentanza è fatta proprio dai giovani. Nei settori tradizionali facciamo fatica, e poi abbiamo le nuove forme di lavoro che pongono un problema. Dunque non si può fare una generalizzazione. Il sindacato è spesso rappresentato come uno ‘strano soggetto’: ma il sindacato è fatto dai milioni di lavoratori iscritti e dai delegati che agiscono ogni giorno nei luoghi di lavoro”.
Molte domande sono poi arrivate al segretario da parte dei giovani. Al quesito sull’alternanza scuola-lavoro , Susanna Camusso ha risposto: “E’ uno dei temi principali a cui guardare, per fare un’operazione condivisa. Per un’alternanza seria serve però la certezza dei diritti: non bisogna creare stagisti non pagati che non sanno cosa fare, l’alternanza non deve essere gratuita. Poi occorre un interesse comune con le imprese per costruire una continuità, non usare uno stagista per coprire un ‘buco’. Insomma servono regole certe”. Sul ruolo del sindacato invece: “Non ci culliamo nelle cifre degli iscritti, anzi siamo piuttosto una trincea contro l’idea di abolizione delle forme di rappresentanza”. A proposito dei nuovi mezzi di comunicazione come i social network: “Sono uno strumento importante, ma voglio citare lo slogan del Primo Maggio: ‘La solidarietà fa la differenza’. L’etere va sfruttato al massimo, certo, ma non basta: la forza del movimento dei lavoratori è sempre stata conoscersi, frequentarsi, esercitare una solidarietà a vicenda”.
Quando un giovane dottorando ha chiesto se i lavoratori a tempo indeterminato non siano “superati”, Camusso ha specificato: “Noi tuteliamo i lavoratori a tempo indeterminato non perché non possano cambiare lavoro nell’arco della loro vita, ma perché devono essere liberi: e questa libertà si ottiene attraverso la contrattazione, esercitando il ruolo del sindacato. Poi nel nostro paese si sono moltiplicate le forme di contratti. La nuova frontiera – allora – è contrastare le tipologie di lavoro che non hanno senso, come il lavoro a chiamata. La vera novità è ridefinire i diritti universali di tutti, per questo la Cgil propone la stesura di un nuovo Statuto dei lavoratori e delle lavoratrici”.
“Se si nega la concertazione si nega la possibilità di collaborare tutti per il progresso del paese”. Così il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo. “Finché ci sarà un datore di lavoro e un lavoratore, la migliore soluzione per regolare quel rapporto sarà la rappresentanza: questa la può fare solo il sindacato, lo stesso che oggi ha portato in piazza un milione di lavoratori della scuola. Nei prossimi anni sono previsti nuovi licenziamenti e un aumento della forbice tra ricchi e poveri, quindi serve un ruolo sempre più forte della rappresentanza sociale”.
“Dobbiamo mettere in campo la nostra capacità di modernizzare e aggiornare il mondo del lavoro”. Lo ha affermato Luigi Sbarra, segretario confederale della Cisl. “Non è vero che i sindacati rappresentano poco e male i lavoratori: pur in un contesto di grande difficoltà il sindacato confederale italiano resta uno dei più forti nel mondo. La nostra capacità di azione contrattuale rappresenta circa il 90% dei lavoratori dipendenti. I minimi contrattuali medi sono circa 10,50 euro all'ora. Il sindacato non è scarsamente rappresentativo o debole, si pensi che nelle elezioni Rsu l’affluenza media supera l’80% dei lavoratori. E’ l’esatto contrario di ciò che accade nei partiti, dove cresce la sfiducia. Il sistema politico si è centralizzato e personalizzato, l’attenzione si sposta sul leader e indebolisce la rappresentanza”, ha concluso.