Sollecitato dai sindacati metalmeccanici, si è tenuto ieri (29 maggio) a Roma, presso il ministero dello Sviluppo economico, il primo incontro del tavolo nazionale della siderurgia. Sempre ieri il ministro Federica Guidi ha incontrato i vertici di ArcelorMittal, il gruppo franco-indiano che da mesi si è fatto avanti per rilevare quote azionarie dell’Ilva. Tutto questo mentre si è in attesa di una soluzione per Piombino, dove, dopo l’uscita di scena di Smc e del suo chiacchierato manager Khaled al Habahbeh, sono in corsa tre aziende, due indiane e una ucraina: la Jindal South West, la Jindal Steel Power e la Steel Mont (vedi l'articolo Industria, da dove ripartire). Un quadro in movimento, su cui RadioArticolo1 ha mandato in onda nella mattinata di oggi un’intervista a Enrico Gibellieri, consulente di IndustriAll e tra i massimi esperti di siderurgia nel mondo (qui il podcast).
Punto di partenza del ragionamento di Gibellieri la distinzione tra la siderurgia europea e quella del resto del pianteta. La siderurgia del vecchio continente oggi sta recuperando un po’, afferma l’intelocutore di RadioArticolo1, ma la crisi dei settori consumatori – le costruzioni e le infrastrutture, l’automobile – hanno determinato comunque un forte arretramento con il taglio delle capacità produttive e la perdita di oltre 60mila posti di lavoro. Altrove, invece, la produzione di acciaio continua ad aumentare, soprattutto nell’area del Pacifico e nei paesi, come la Cina, un tempo in via di sviluppo.
L’Europa sconta fra l’altro il peso di “una legislazione ambientale giusta in linea di principio” che però pone “degli obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica, di riduzione dei consumi energetici, in molti casi quasi impossibili da raggiungere con le tecnologie disponibili oggi e che resteranno disponibili nella prospettiva del 2050”, anno per il quale sono previsti traguardi in questo senso molto ambiziosi; “tanto che molti investimenti già sono emigrati”, alcune aziende li hanno fatti in Brasile, molte li stanno realizzando addirittura negli Stati uniti. “Per questo motivo l’Europa ha lanciato un piano acciaio l’anno scorso, a giugno, che si propone insieme agli Stati membri di rilanciare l’attenzione su un settore strategico, che è alla base delle catene del valore dei più grandi settori manufatturieri dell’Unione”.
In Italia le cose vanno male. Nel pieno della crisi generale dell’economia europea e delle difficoltà della siderurgia sono scoppiati tre casi importanti, ognuno originato da diverse ragioni: Taranto, Piombino e Terni. La siderurgia italiana, come quantità di produzione, era ed è ancora la seconda in Europa dopo la Germania. Ma il problema è che dopo il ’94-95, dopo la completa privatizzazione della siderurgia pubblica, da noi non c’è stata più una politica industriale di settore. E questo ha significato poca attenzione all’innovazione e alla ricerca. “I governi dovevano accompagnare le trasformazioni che negli anni sono avvenute e che sono state lasciate invece totalmente nelle mani di imprenditori che in alcuni casi non hanno preso le iniziative giuste”. Per fortuna c’è chi ha avuto la capacità di innovare, come l’Arvedi di Cremona, ma da altre parti non è successo.
Allora ecco il caso di Taranto, dove i problemi derivanti dall’impatto ambientale hanno condotto gli stabilimenti al rischio della chiusura. Fortunatamente, e nonostante tutto, Taranto continua a produrre e si stanno migliorando le tecnologie di produzione. Finito questo periodo di commissariamento, però, si porrà il problema di chi porterà avanti l’azienda.
Anche Piombino non è stata fortunata, perché è capitata in mano a degli imprenditori che si sono fortemente indebitati, prima Lucchini, poi il russo della Severstal, Mordašov, guardando però solo al breve, al massimo al medio periodo. “Speriamo che adesso si trovi un imprenditore che prenda gli stabilimenti, visto che in questo caso, tardivamente, pare ci sia un’attenzione del governo, mentre quella degli enti locali e dei sindacati è stata veramente encomiabile”. “In ogni caso, a parte le eccezioni, la siderurgia italiana ha un livello qualitativo della produzione che non è al top della gamma. C’è molto da fare e si può fare molto. Oltretutto in Italia abbiamo un centro di ricerche importantissimo a livello europeo e internazionale, il Centro sviluppo materiali, che ha sede a Roma e che ha tutte le caratteristiche per poter supportare le nostre aziende siderurgiche in questo processo di innovazione e di ricerca”.
Un po’ diversa la situazione di Terni. Certo, qui, le acciaierie sono state soggette come tutte le aziende a problemi di mercato – fra l’altro i mercati degli acciai speciali e degli acciai inossidabili in particolare sono un po’ diversi da quelli dell’acciaio al carbonio e hanno i loro problemi specifici –. Ma proprio in questa fase di difficoltà c’è stata la decisione della Thyssen Krupp di vendere l’azienda, poi l’acquisizione del gruppo finlandese Outokumpu, quindi la decisione della Commissione europea, dell’antitrust, di chiedere la vendita di una parte della Outokumpu perché aveva acquisito una posizione dominante sul mercato. E c’è la stata la decisione che Terni dovesse essere la parte messa in vendita. “Sappiamo com’è andata la storia – ricorda Gibellieri –: pochi acquirenti, le offerte non erano adeguate, la Outokumpu non è riuscita a vendere nei tempi previsti dalla Commissione, che si sono allungati, e alla fine proprio per l’impossibilità di venderla l’ha dovuta ridare indietro alla Thyssen Krupp. Speriamo che quest’azienda venga ora mantenuta nella Thyssen Krupp, trovi una sua collocazione, abbia un piano industriale e delle prospettive chiare di sviluppo”.
Quali sono, appunto, le prospettive del settore in Italia? C’è qualcosa che possa dare speranza alla siderurgia?
“In Italia – risponde Gibellieri – abbiamo un importante vantaggio: una forza lavoro giovanissima. La forza lavoro in siderurgia, a differenza di tutti gli altri paesi europei, è stata totalmente rinnovata una decina d’anni fa grazie alla legge sull’amianto che ha permesso a molti lavoratori di andare in pensione. Certo, dopo essere stati esposti per decenni all’amianto e quindi a rischi veramente terribili, però adesso abbiamo lavoratori in media sui 35-40 anni. Allora con un’opportuna utilizzazione di queste persone, di questi giovani, e un processo di politica industriale, di attenzione continua e non di azione solo nelle fasi di emergenza, possono esserci buone prospettive. Anche perché poi abbiamo settori industriali, come quello dell’ingegneria meccanica, in parte anche le costruzioni e l’auto, che speriamo riprendano un po’ l’attività”.
Ma l’attenzione è importante. “A livello europeo, per scrivere il piano acciaio – poi per applicarlo ci vorrà molto più tempo – si sono impiegati sei mesi circa, che è un record. In Italia, nel maggio 2013, c’è stata una riunione di un gruppo che doveva accompagnare l’attività del gruppo europeo e poi più niente. Sì, è vero, sono cambiati i governi, ma bisogna riuscire a mantenere una continuità di attenzione. Altrimenti, su questo settore in particolare, ma anche su altri settori manifatturieri, alla fine perdiamo”.
Perché la produzione di acciaio è strategica, perché vale comunque la pena tentare di salvarla e rilanciarla? chiede Radioarticolo1.
“L’acciaio è un materiale ad altissimo contenuto tecnologico – è la risposta di Gibellieri –. Quando si parla di acciaio si parla in realtà di qualità di acciaio diverse, in continua evoluzione. Se prendiamo un’automobile dell’ultima generazione e la confrontiamo con quelle di due, tre, quattro anni fa troviamo nella carrozzeria e in altre parti del prodotto acciai totalmente diversi, con caratteristiche originali”.
“Spesso sento dire: sa, nell’epoca della miniaturizzazione ormai l’acciaio... Ma le automobili non si possono miniaturizzare, né le case, i frigoriferi, le lavatrici, le strutture di trasporto, i treni, gli aerei, gli aeroporti e così via. L’acciaio è un materiale il cui consumo aumenta continuamente: è il secondo materiale utilizzato al mondo dopo il petrolio, ma fra qualche tempo probabilmente diventerà il primo. La politica europea si propone degli obiettivi di produzione di energie alternative: energia solare, eolica, idraulica, idroelettrica. Con che cosa sarà possibile produrre questa energia se non in primo luogo con l’acciaio?”.
Da ultimo: si riuscirà anche in Italia a produrre un giorno acciaio senza inquinare? Potremo anche noi percorrere una via pulita nella produzione siderurgica?
“Penso proprio di sì. Esistono anche in Italia degli esempi. Ho citato Arvedi, ma ci sono molte altre acciaierie del nord, per esempio Feralpi. Ci sono tecnologie che permettono la produzione di acciaio riducendo, non eliminando totalmente, ma riducendo entro limiti accettabili l’impatto sui territori e le popolazioni circostanti. Naturalmente questo è più difficoltoso per gli stabilimenti a ciclo integrale che per quelli elettrici. Ma esistono esempi pure in Italia. Basta applicarle, queste tecnologie”.
“Penso che in Italia – conclude Gibellieri – si debba riprendere una politica industriale utilizzando tutte le risorse che ci sono nel paese prima che scompaiano. Ma ci vuole, ripeto, un’attenzione continua: non si può legare il futuro dei settori all’esistenza di un governo piuttosto che di un altro”.
Gibellieri (IndustriAll): «Senza acciaio non c’è futuro»
I casi di Taranto, Terni e Piombino, il carattere strategico della siderurgia, la possibilità di ridurre l'impatto ambientale, la necessità di una politica per il settore, in una intervista di RadioArticolo1 al consulente di IndustriAll
30 maggio 2014 • 00:00