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Con un tweet lo Spi Cgil ha ricordato che il 16 luglio di 55 anni fa, “tutti insieme facevamo un importante passo in avanti verso la parità di genere”. Il tweet terminava con l'hashtag #NonDimentichiamo. Sì, non dimentichiamo. Anche perché, con buona pace di quell'accordo interconfederale per il settore industriale, intitolato “parità salariale uomo-donna”, che prevedeva un inquadramento professionale non più riferito al sesso – principio inserito anche nella nostra Carta costituzionale, oltre che nei trattati dell’Unione europea – l’Italia è tra i paesi con la maggior differenza salariale tra uomini e donne. Che rimane un aspetto cruciale delle disuguaglianze per le donne nel mercato del lavoro.
Una differenza salariale certificata dalla classifica annualmente stilata dal World economic forum, che ci vede al 69esimo posto nel mondo per disuguaglianza di genere, in termini di reddito e di occupazione. Di mancata parità effettiva, insomma, a partire dal lavoro. Lo scorso 8 marzo la Cgil ha avviato una campagna contro le disuguaglianze e le discriminazioni tra uomini e donne, ma alla prospettiva di genere è dedicata generalmente troppa poca attenzione. Il carattere trasversale della parità viene spesso rimosso e trattato isolatamente, senza collegarlo con gli altri aspetti della vita economica, sociale e politica. Lo dimostrano le crescenti discriminazioni e disuguaglianze, nonostante ostacolino la crescita economica dell'intero paese.
Un’evidente asimmetria, quella di genere, che si riflette nel corso dell'intera vita delle donne, penalizzate dal forte divario dei salari, dai numerosi e spesso insormontabili ostacoli al loro ingresso nel mondo del lavoro e agli avanzamenti di carriera, fino al conseguente e significativo divario pensionistico. Una condizione, questa, che porta le donne a essere più gravemente colpite dalla povertà rispetto agli uomini. Ma non si tratta di un problema solo italiano: quello delle disuguaglianze tra uomini e donne rimane un problema universale, fatte poche eccezioni. Tanto che l'Europa ha fissato l'annullamento delle differenze retributive tra gli obiettivi da raggiungere nel 2020 e negli Usa è diventato il principale collante dei movimenti femminili.
In un suo recente rapporto, l’Ilo (l’Organizzazione internazionale del lavoro) afferma che il gender pay gap, ovvero la disparità di retribuzione tra uomini e donne, è rimasto praticamente invariato negli ultimi 20 anni. A livello globale, le donne guadagnano il 23% in meno rispetto agli uomini, nell’Unione europea questo dato supera il 16%. E, come se non bastasse, un altro rapporto – sempre dell’Ilo – sostiene che la busta paga delle donne con figli, rispetto a quelle senza, è ancora più leggera, registrando così l’aumento del divario tra le stesse donne.
Per l’agenzia delle Nazioni Unite dovremo aspettare ancora 70 anni perché le donne possano ricevere lo stesso salario degli uomini per pari lavoro. Un arco di tempo decisamente preoccupante, che potrebbe addirittura rivelarsi insufficiente se non si adottano rapidamente misure sociali ed economiche capaci di sradicare le cause strutturali delle disuguaglianze, se la politica non ne fa una questione prioritaria, se non si lotta con più convinzione contro tutte le forme di sessismo sul posto di lavoro.
*Responsabile politiche di genere della Cgil nazionale