Il regista di “Gomorra” ci parla del film candidato all’Oscar, del lavoro che l’ha preceduto e delle sue scelte estetiche Dopo il trionfo al Festival del Cinema di Cannes, dopo il record di incassi al botteghino, Gomorra registra un altro successo: è il film italiano scelto per partecipare alla selezione per l’Oscar come miglior film straniero. Quando incontriamo Matteo Garrone alla Casa del Cinema di Roma, in occasione di una retrospettiva a lui dedicata, questa notizia deve ancora arrivare. Garrone è serio, quasi timido, e anche un po’ imbarazzato davanti al numerosissimo pubblico accorso per ascoltarlo e conoscerlo meglio. Certo, è grazie a Gomorra che tra qualche mese potrebbe aggiudicarsi la statuetta, ma non è nato oggi, aveva già fatto vedere cose importanti, ed è un regista sul quale in molti puntano per il futuro del cinema italiano. Critica e pubblico questa volta sono stati sulla stessa linea, premiando il coraggio di fare un film difficile, tratto da un libro forte come quello di Saviano. Era una scommessa a rischio. Lui ci ha creduto; ha avuto fiducia in un paese e in un pubblico che non è composto tutto da sciocchi, e ha vinto perché crede fermamente nella possibilità del cinema di raccontare l’Italia.

Rassegna Gomorra sta girando il mondo, ma cos’è per lei, oggi, questo film?

Garrone Innanzitutto è il mio film più difficile, sia per la difficoltà del progetto sia per i luoghi dove abbiamo girato. È stato un progetto impegnativo; avevamo pensato al film quando il libro era appena uscito e non era ancora un best seller. Gomorra rappresenta due anni della mia vita, e un’esperienza umana straordinaria. È stato un viaggio duro ed emozionante.

Rassegna Decidere di fare un film dal libro di Saviano è stata una grande intuizione; ci spiega come è riuscito a romanzare un libro che è una sorta di saggio?

Garrone Il libro non ha una trama vera e propria, ma ha un grande potenziale “visivo”, e ho cercato di sfruttarlo. Non c’era drammaturgia, ma questo non è stato un limite, anzi è stato un grande stimolo, ed è la forza del testo di Saviano. La trama l’abbiamo inventata noi, estraendo dal libro le storie, fra le tante, che ci sembravano più interessanti, facendo delle scelte sofferte ma indispensabili. Raccontare tutte le storie che ci sono nel libro sarebbe stato impossibile. Solo la tv può farlo, e non escludo che altri possano esserne capaci.

Rassegna Da dove parte il suo lavoro quando decide di fare un film?

Garrone Comincio sempre dai luoghi, li visito e li interrogo; la stessa cosa faccio con le persone, è da lì che parto. Il mio modo di girare è in sequenza; vuol dire che comincio a girare dalla prima scena del film e via via fino all’ultima. Si usa poco nel cinema, ma io lavoro così perché credo che l’attore debba vivere il percorso drammaturgico del personaggio, e attraverso questo percorso possono nascere molti suggerimenti e idee. Infatti tradisco spesso la sceneggiatura, e anche nella fase del montaggio rimetto in discussione tutto. Spesso dopo il montaggio torno a girare. Lascio sempre il 10 per cento del budget proprio perché so che di solito dopo il primo montaggio il film non mi piace.

Rassegna Qual è laparte che le piace meno del suo lavoro?

Garrone Viaggiare per promuovere il film, come sto facendo adesso. E non solo perché ho paura dell’aereo.

Rassegna Con Toni Servillo com’è andata?

Garrone Che dire… quando lavori con attori della sua intelligenza puoi fare tutto. Siamo diversi, lui è molto rigoroso, preciso, un grande attore. È stato fantastico lavorare con lui. Toni, quando è venuto sul set il primo giorno, conosceva già tutte le battute a memoria, temeva l’improvvisazione. Neanche io l’amo, non mando allo sbaraglio agli attori, do loro un percorso drammaturgico che devono vivere, e poi spero che all’interno di questo percorso accada qualcosa che li sorprenda, perché se loro si sorprendono mi sorprendo anch’io. Toni ha capito il mio modo di lavorare, soprattutto che non volevo improvvisare, ma cercare un attimo unico, qualcosa che accade per un momento e che non riaccadrà più. Come è stato per la scena dei tir; era scritta in sceneggiatura, ma solo come scena, poi tutto si è svolto lì…

Rassegna Il suo successo a Cannes, insieme al collega Sorrentino, è stato definito per l’ennesima volta come il segno della rinascita del cinema italiano. Qual è la sua opinione?

Garrone Tutti, ciclicamente, si riempiono la bocca della rinascita o della morte del cinema italiano, sempre con eccessiva ridondanza. Io credo che siano solo cicli fisiologici.

Rassegna Cosa le preme di più trasmettere con il suo cinema?

Garrone Non voglio portare in scena la realtà, ma trasfigurarla, farla andare verso l’astrazione. Non so seci riesco, e non posso spiegarlo, perché è legato alla percezione di ognuno di noi. Voglio che la mia mano sia invisibile, non ci si deve accorgere del lavoro che c’è dietro. Non devo essere bravo io a fare un movimento di macchina. Se lo spettatore se ne accorge, vuol dire che non sono stato bravo, perché sono diventato io protagonista, e non deve essere così.