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È iniziato martedì 12 e si concluderà oggi (mercoledì 13 luglio) a Pechino il vertice dei ministri del Lavoro dei paesi del G20, in preparazione della riunione dei capi di Stato e di governo che si terrà a Hangzhou a settembre. In parallelo, fino a giovedì 14 luglio, sempre nella capitale della Repubblica popolare cinese, i rappresentanti dei sindacati daranno vita - sotto l'ombrello organizzativo della Confederazione sindacale internazionale e del sindacato cinese Acftu - alla riunione di L20, il G20 del lavoro, a cui la Cgil parteciperà in rappresentanza del sindacato italiano.
In che contesto internazionale si collocano questi appuntamenti? Come riconosce lo stesso documento che i ministri del Lavoro del G20 si apprestano ad approvare, il quadro dell'economia globale è ancora segnato, come da diversi anni a questa parte, dalla persistenza di elementi critici e negativi. Nonostante gli interventi che quasi tutti i paesi dell'area G20 hanno fatto per "migliorare le condizioni del mercato del lavoro" (e, ovviamente, in questo caso "migliorare" ha significato ridurre diritti e tutele del lavoro, facilitare le procedure per i licenziamenti, creare nuove forme contrattuali più snelle ma anche più precarie e instabili), la disoccupazione rimane a livelli altissimi e, in particolare nella Unione Europea, il numero di giovani e di donne senza lavoro continua a crescere.
La pressione della sfida competitiva a livello globale continua a scaricarsi prevalentemente sulla forza lavoro e sulle condizioni della prestazione lavorativa, mentre - anche a causa del protrarsi delle politiche di austerità e di riduzione della spesa pubblica - gli investimenti restano deboli e i programmi per lo sviluppo e la crescita rimangono sulla carta. In molte delle economie nazionali dei paesi del G20 la crescita e la produttività diminuiscono, così come i salari reali, mentre diventano elevate e sempre più crescenti le disuguaglianze nella distribuzione del reddito e le abnormi concentrazioni di grandi ricchezze nelle mani di pochi.
Di fronte a un quadro siffatto, ci si aspetterebbe un cambio di strategia e di indirizzo politico rispetto alla conduzione dell'economia mondiale da parte dei paesi più sviluppati. Purtroppo, anche questa volta non sembra che sia maturo il tempo della svolta necessaria. Il documento dei ministri del Lavoro del G20 non va oltre le formulazioni generiche e le rituali ripetizioni degli obiettivi da raggiungere in termini di lotta alla disoccupazione e di rilancio della crescita economica. Siamo ancora di fronte a testi che, pur ispirati da giudizi e valutazioni condivisibili, non contengono alcun elemento vincolante in termini di risorse da destinare al raggiungimento degli scopi dichiarati e alcuna certezza in termini di tempi e scadenze. Da questo punto di vista, se da qui a settembre non interverranno fatti nuovi al momento non prevedibili, il vertice dei leader G20 di Hangzhou rischia di terminare con le medesime dichiarazioni di principio senza risultati concreti, come già avvenuto nei vertici precedenti e, in particolare, negli ultimi due appuntamenti di Brisbane nel 2014 e di Antalya nel 2015.
I pochissimi elementi di novità del documento in discussione a Pechino riguardano due punti su cui la presidenza cinese del G20 per l'anno in corso ha molto insistito. Il primo punto è la leva dell'imprenditorialità come motore di nuove opportunità di lavoro, di innovazione, di crescita economica. A tale scopo, i ministri del Lavoro proporranno di adottare uno specifico piano d'azione, il G20 Entrepreneurship Action Plan, che punta alla formazione e alle specifiche competenze professionali per promuovere la capacità imprenditoriale e al rafforzamento della rete dei servizi e dell'assistenza all'impresa. In questo quadro, verrà accolta la proposta del governo cinese di creare un Centro di ricerca sull'imprenditorialità nelle economie del G20, una piattaforma per sviluppare gli scambi di informazioni e la diffusione di buone pratiche.
Il secondo punto riguarda il rilancio del quadro di azione per la promozione dell'apprendistato di qualità come elemento per la lotta alla disoccupazione giovanile e per la qualificazione professionale dei lavoratori di domani. Un progetto che sicuramente va apprezzato e sostenuto, sapendo che da almeno cinque anni e cinque presidenze del G20 (in sequenza Messico, Russia, Australia, Turchia e ora Cina) il tema occupa grande parte di documenti e dichiarazioni senza che, purtroppo, si siano realizzate iniziative concrete e siano stati conseguiti risultati apprezzabili.
Come si vede, siamo molto lontani dall’assunzione degli impegni che sarebbero necessari per un nuovo corso dell'economia mondiale e per una politica di crescita sostenibile e di sviluppo equilibrato del pianeta. Impegni che il sindacato mondiale ha tradotto in richieste che discuterà nella riunione di L20 e che riguardano le questioni e le sfide più importanti per il lavoro su scala internazionale.
Al primo posto c'è il tema del futuro del lavoro, della digitalizzazione dell'economia e dei cambiamenti tecnologici che interverranno nell'industria manifatturiera e nel mondo dei servizi. Servono misure e politiche che stimolino, certo, l'innovazione. Assieme a esse, però, vanno coinvolte le parti sociali per definire percorsi di garanzia e di transizione per i lavoratori i cui posti sono messi in discussione dalla digitalizzazione e dalla nuova rivoluzione industriale. Non è solo un tema di ammortizzatori sociali ma di politiche attive del lavoro e di adeguata offerta di formazione professionale, così come di certezza che il processo di cambiamento offra garanzie di protezione sociale ai lavoratori. In più, occorre perseguire obiettivi di equilibrio e di giustizia sociale nella distribuzione a tutta la popolazione, non solo alle imprese e ai loro azionisti, dei benefici derivanti da questo cambiamento e dagli aumenti di produttività che esso può generare. Per noi, questo processo di cambiamento può e deve anche essere l'occasione per coinvolgere il 50 per cento della popolazione mondiale che oggi non ha accesso a internet e per superare il digital divide.
Quanto all'occupazione, sostenere l'imprenditorialità giovanile e l'apprendistato di qualità va bene, ma certamente non basta a invertire la tendenza. Servono politiche macroeconomiche diverse da quelle sin qui perseguite, che facciano leva sulla ripresa di investimenti pubblici e privati per rinforzare le infrastrutture fisiche e sociali e intervenire sul capitale umano per il lavoro del futuro. Di recente, finalmente, anche l'Ocse ha riconosciuto la necessità di politiche per lo sviluppo fondate sul rilancio di questo tipo di investimenti, che si ripagano rapidamente e che rappresentano un elemento decisivo per una crescita economica equilibrata e per l'aumento della produttività, con l'obiettivo di favorire la crescita dei salari e del reddito disponibile per i lavoratori e combattere le disuguaglianze sociali. Le nuove politiche economiche di cui c'è bisogno, poi, non dovrebbero prescindere da alcuni fattori fondamentali: la valorizzazione della contrattazione collettiva e l'uso del fisco come elemento di giustizia sociale e di progressività nella tassazione; la promozione del lavoro dignitoso nell'insieme della catena di creazione di valore, dalla multinazionale alla più piccola delle imprese della rete di appalti e di subappalti; la transizione, progressiva ma continua, verso una economia pulita e low-carbon; un approccio nuovo e dinamico ai temi dell'uguaglianza di genere, della partecipazione femminile al mercato del lavoro, della pari retribuzione del lavoro maschile e femminile, di un maggiore equilibrio vita-lavoro per donne e uomini.
È evidente che per raggiungere questi obiettivi il ruolo delle parti sociali e del dialogo con i governi è di importanza fondamentale. Per questo, ribadiamo che non si può più pensare di intervenire sulle condizioni di lavoro, sulle pensioni, sul mercato del lavoro senza un confronto e un accordo con chi rappresenta il lavoro e l'impresa. E che i governi di tutti gli Stati, a partire proprio da quelli del G20, devono garantire il diritto alla libertà di associazione sindacale e alla possibilità di praticare la contrattazione collettiva. Così come devono garantire trattamenti dignitosi per migranti e rifugiati e definire per essi, nel rispetto delle leggi e delle procedure previste, la possibilità di accesso al lavoro, chiave decisiva per i percorsi di integrazione oltre che elemento di valore strategico per rispondere ai temi dell'andamento demografico, della sostenibilità dei sistemi pensionistici e di welfare, dell'invecchiamento attivo.
Ecco, vorremmo discutere di tutto questo con chi ritiene di avere in mano le redini del pianeta, con i decisori politici e con i rappresentanti delle grandi imprese globali. Vorremmo definire una agenda alternativa per l'economia mondiale e per la società del futuro, mettendo in campo le proposte del movimento sindacale internazionale. Ne discuteremo da oggi a giovedì nel G20 del lavoro a Pechino. A questa discussione, il sindacato italiano e la Cgil non mancheranno di dare il proprio contributo.
Fausto Durante è responsabile delle Politiche europee e internazionali della Cgil nazionale