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Un rinnovo del contratto operativo, nuovi strumenti e funzioni per le future Rappresentanze sindacali unitarie, i prossimi traguardi. Ricostruiamo il quadro con un focus specifico sulle Funzioni centrali, a pochi giorni dal voto delle Rsu, in calendario da martedì 17 a giovedì 19 aprile. “Il combinato rinnovo Rsu 2018 e nuovo ccnl conferisce un valore particolare alle imminenti elezioni del pubblico impiego. Intanto perché il nostro comparto si è unificato, tra ministeri, enti pubblici non economici e agenzie fiscali, (per un totale di 260 mila addetti, contro gli oltre 300 mila del 2008), attraverso processi di riorganizzazione abbastanza drastici. E poi perché dentro il contratto nazionale c’è un recupero e uno spostamento di ruoli e funzioni, assegnato alla contrattazione decentrata, quindi alle Rsu”. È quanto afferma Salvatore Chiaramonte, segretario nazionale della Funzione pubblica Cgil, responsabile delle Funzioni centrali, motivando il valore del voto.
Un cambiamento importante, determinato dalla mobilitazione e che ha segnato un primo risultato con il rinnovo contrattuale. “Negli ultimi anni, la riduzione del diritto a contrattare e l’assottigliamento delle materie assegnate alla contrattazione sono stati vissuti come dei limiti molto forti, soprattutto nel nostro settore. Con il nuovo ccnl le cose cambiano decisamente in meglio e la sfida per le Rsu diventa assai importante. Perciò, chiediamo alle persone di votare per noi, affinché si discutano materie e istituti assegnati contrattualmente”, sostiene il sindacalista.
Naturalmente il discorso per le Funzioni centrali vale anche per gli altri comparti. In occasione delle elezioni, Cgil e Fp sottopongono ai destinatari tutto il lavoro fatto in questi anni, non solo per la categoria, ma anche per i temi generali portati avanti dal sindacato, come la Carta dei diritti universali del lavoro. “Quel documento parla anche dei lavoratori della pubblica amministrazione, in quanto allinea diritti e regole tra lavoro pubblico e lavoro privato, per arrivare a un’equiparazione e a un’unificazione del mondo del lavoro e della sua stabilità”, osserva il dirigente sindacale.
Entriamo nel dettaglio delle questioni. “Nelle Funzioni centrali abbiamo assistito a uno sviluppo incredibile del precariato. È vero, qualche processo di stabilizzazione è stato fatto, ma, nel contempo, sono stati sciolti enti come la Croce rossa italiana, che disponeva di più di 2 mila addetti; sono stati ridimensionati ministeri come quelli dei Beni culturali e della Giustizia, senza avere la possibilità d’intervenire nei processi di esternalizzazione; è stato ridotto il numero di uffici sul territorio, come nel caso delle Agenzie delle entrate e delle Dogane”, spiega il segretario nazionale Fp Cgil.
Tutto questo, però, è ormai alle spalle. “Siamo usciti dall’epoca ‘brunettiana’, dove il sindacato era considerato solo come un ostacolo da superare”, sottolinea Chiaramonte nel rilevare la principale novità del ccnl: aver cancellato la famigerata legge 150/2009. “Finalmente si è chiusa una brutta pagina per noi e adesso se ne sta aprendo una nuova, che riguarda il diritto ai processi di riforma da mettere a punto, perché in tutto il pubblico impiego c’è un notevole bisogno di cambiare le cose”.
Secondo la Fp Cgil, occorre un ulteriore ammodernamento del comparto, con l’impiego di nuove tecnologie, attraverso processi d’informatizzazione, con appositi piani di formazione e aggiornamento dei lavoratori. I progetti degli ultimi governi, in particolare lo Spid (il gestore pubblico d’identità digitale) –, cavallo di battaglia della ministra Madia, avviato nel 2014, che dovrebbe introdurre un nuovo linguaggio, aperto e trasparente, per facilitare la comunicazione tra amministrazioni pubbliche, imprese e cittadini –, di cui dovevano disporre tutti i soggetti interessati, è in grosso ritardo sui tempi previsti e attualmente risulta attuato per meno della metà. “Non c’è riforma che funzioni se la si fa contro lavoratori e Rsu – osserva Chiaramonte –, com’è avvenuto con il modello Brunetta. I processi di riorganizzazione hanno bisogno di un passaggio di contrattazione con il sindacato: proprio quello che è mancato nell’ultimo decennio, allorquando sono state portate avanti operazioni di riordino del comparto solo attraverso tagli di spesa e riforme a costo zero”.
“Pensiamo all’istituzione dell’Ispettorato nazionale del lavoro, agenzia che dovrebbe unificare i compiti svolti finora da Inps, Inail e ministero del Lavoro, la cui realizzazione fatica a decollare, perché la si vorrebbe fare senza spendere soldi, frutto di un’impostazione sbagliata. In tal modo, c’è il rischio di finire nel caos e a rimetterci sono i lavoratori. Un processo di riforma funziona se si costruisce il consenso attorno e sotto tutti gli aspetti. Se si dice a un lavoratore che deve passare ad altre mansioni e magari ridursi pure lo stipendio, senza renderlo partecipe del cambiamento che s’intende effettuare, non va bene. Soprattutto in un contesto come le amministrazioni centrali – si veda il ministero dell’Interno –, dove esiste una tradizione di comando, fortemente gerarchizzata, che mal sopporta l’idea di confrontarsi con la base dei lavoratori, ovvero con i destinatari dei processi di riforma”, prosegue l’esponente della Fp.
Ma il sindacato è disponibile al dialogo con l’esecutivo anche su altre materie, come sui nuovi piani del fabbisogno, che dovrebbero individuare il numero di persone per ogni determinato servizio, al posto del vecchio sistema delle dotazioni organiche. Così come andranno definite le graduatorie degli idonei per migliaia di ragazzi e ragazze che hanno superato i concorsi e sono in attesa di poter entrare nella pubblica amministrazione. Ulteriore aspetto da affrontare, da tempo sul tavolo degli ultimi governi, l’idea di ricostituire la presenza dello Stato sui territori, in particolare nei ministeri, con l’ipotesi di aprire uffici territoriali sotto l’egida dei prefetti, con strutture verticali fortemente gerarchizzate. “Un progetto che abbiamo subito rigettato, perché l’idea che debba decidere tutto il prefetto – incluse questioni politiche delicate – non ci trova d’accordo: una cosa è decentrare sul territorio determinate funzioni, altra cosa gerarchizzare tutto. È necessario fare un’analisi attenta su sprechi e duplicazioni inutili, ma in primis noi vorremmo che lo Stato aprisse un confronto, e non solo con il sindacato, ma anche con tutti gli altri soggetti a livello locale, dove ha da sempre molta difficoltà a dialogare”, aggiunge Chiaramonte.
Ennesima questione, non secondaria, l’età media, piuttosto alta, dei lavoratori di ministeri ed enti pubblici non economici, superiore ai 53 anni. “Ciò produce un effetto nell’immediato futuro: la cosiddetta gobba nell’uscita dal lavoro, con almeno 50 mila addetti ultrasessantenni che nel giro di un quinquennio andranno in pensione. Una priorità nel comparto, da affrontare al più presto con un piano straordinario di assunzioni – almeno 100 mila in totale nelle funzioni centrali –, oltre allo sblocco del turn over. Altrimenti saremo all’emergenza, e non potranno più essere garantiti tutti i servizi pubblici, che andranno chiusi o privatizzati, con una riduzione del welfare a disposizione dei cittadini e, a cascata, con seri rischi per la tenuta democratica del Paese, a causa dei diritti primari negati alle persone. In tale contesto, come in altri del resto, il problema è la volontà politica del governo e gli investimenti da fare nella pa, se vogliamo davvero voltare pagina”, conclude il segretario Fp Cgil.