“Il messaggio che vogliamo trasmettere, che poi tradurremo in scelte politiche e contrattuali, è che lo ‘tsunami’ è di fronte a noi ed è sconvolgente. Possiamo continuare a essere quelli che siamo stati e che siamo anche in materia di contrattazione sulla formazione? Se il contesto è questo, cambia anche la discussione in merito sul presente e il futuro della contrattazione. Dobbiamo utilizzare al massimo ciò che abbiamo e nel contempo cambiare tutto. Altrimenti saremo travolti”. Così il segretario confederale Franco Martini a ‘Revolution road’, la riflessione che Confederazione, categorie e regionali stanno portando avanti da tempo su lavoro e industria 4.0.

“Contrattazione e fondi interprofessionali possono costruire formazione e apprendimento permanente. La nostra tesi è che il sindacato dovrebbe riuscire a intervenire e aiutare le persone che lavorano, non solo nel caso in cui un robot porta via il lavoro. La nostra attenzione è per chi resta sul lavoro, di riuscire a dotare le persone di strumenti e conoscenze per vincere la sfida”, sostiene Giancarlo Pelucchi, responsabile formazione Cgil nazionale. 

“Siamo in una fase di profonda trasformazione del mondo del lavoro, e contrattazione e formazione sono un binomio inscindibile, su cui s’incardina la contrattazione del prossimo periodo. La formazione è un diritto soggettivo, fondamentale per ogni lavoratore per il suo apprendimento permanente come lo è stato il diritto alle 150 ore. Dobbiamo rafforzare le conoscenze della nostra base”, dice Nicola Marongiu, coordinatore area welfare Cgil nazionale.

“Due anni fa, la Cgil ha lanciato un imponente processo di formazione del suo intero organigramma, fatto di delegati, quadri e dirigenti. Qui ci riferiamo a una formazione che coinvolge tutti i lavoratori. Quando parliamo di alfabetizzazione della rivoluzione digitale c’è proprio un problema di competenze da acquisire”, osserva Pelucchi. 

“La Carta dei diritti universali dei lavoratori introduce un ragionamento legato all’esigenza di considerare universali una serie di diritti e la formazione è uno di questi. Rafforzare le competenze attraverso gli strumenti formativi: questo è il segnale che vogliamo lanciare. Contrattare la formazione vuol dire tornare a essere un soggetto sui luoghi di lavoro, occupandosi di organizzazione del lavoro con scelte partecipate e consapevoli da parte dei lavoratori. Non ci stupisce che su questo abbiamo trovato una resistenza da parte delle imprese. Contestano il diritto soggettivo dei lavoratori. Del resto, la posizione di Confindustria è competiamo sui mercati internazionali abbassando diritti e salari”, sottolinea Marongiu.

“La necessità di ricerca e il bisogno di scavare è ancora importante. Non siamo sicuri di essere già in grado di avere tutte le risposte ai problemi. Siamo in una fase di ricerca e la campagna di alfabetizzazione e costruzione di una nuova politica contrattuale la faremo non in laboratorio, ma con le categorie, nei luoghi di lavoro e con le imprese”, precisa Pelucchi.

“Il nesso fra precarietà e formazione è costitutivo della discussione sindacale e normativa del Paese dal ‘pacchetto Treu’ del 1997 in poi. L’introduzione del lavoro interinale fu condizionata dalla Cgil in particolare e dai sindacati a un costo maggiore - 4-5% - che doveva gravare sulle imprese, rispetto allo 0,30% che un’azienda normale paga sul monte salari. Ciò ha dato vita a un paradosso, perché le agenzie interinali per rientrare nei costi che tale contributo causava, hanno organizzato una quantità abnorme di corsi, spesso non particolarmente efficaci sul piano delle funzioni su cui indirizzare l’attività contrattuale delle categorie. Se tu sei in condizioni di precarietà, e quindi di ricattabilità, molto spesso ‘bevi’ la proposta di formazione che il tuo datore di lavoro consiglia. Abbiamo conquistato il diritto del lavoratore interinale di potersi scegliere il corso di formazione che gli interessa. Il problema della libertà s’intreccia strettamente con il tema della consapevolezza e del potere. Il tema di come si ricostruisce la formazione nell’ambito del confronto dell’organizzazione del lavoro, che spesso è esplosa. Il tema di come si ricompone in un ciclo composto è la nuova frontiera della contrattazione”, spiega Claudio Treves, segretario generale Nidil Cgil.

“La sfida che la formazione ci pone davanti è di mettere in campo una formazione adeguata a questa fase di forte innovazione che sta attraversando tutta l’industria 4.0. Si tratta di capire se noi sindacato siamo in grado di cogliere tale sfida, che ci coinvolge in prima persona. Siamo in settori a forte innovazione come energia, chimica farmaceutica, alta moda, dove la formazione non è solo legata all’innovazione del prodotto. Dobbiamo uscire rafforzati dai nuovo processi produttivi. Su questo, la Filctem è molto attiva, soprattutto sul come raffrontarci con le imprese sui piani formativi da condividere, attraverso la nuova figura del delegato alla formazione. Una formazione che non guarda solo all’oggi, ma che sia capace di far crescere professionalmente il lavoratore. Industria 4.0 ci costringerà a tornare assiduamente sulla formazione, dove sono previsti sgravi fiscali alle imprese fino a 300.000 euro, ma solo se c’è prima l’accordo tra le parti sociali. In tal modo, potremo fornire un contributo assai forte sulla formazione e dovremo cogliere necessariamente tale opportunità”, è l’opinione di Michele Principe, segretario nazionale Filctem.

“Il tema della formazione da portare avanti dentro e fuori la fabbrica per aumentare le proprie capacità professionali. La nostra idea è che serve una stagione simile a quella delle 150 ore, che punti molto sul diritto soggettivo, che riesca a tradurre il dovere alla formazione per le persone in un diritto alla formazione in capo alle imprese. È chiaro che per noi non è solo un problema di difesa dai possibili danni da innovazione tecnologica sui luoghi di lavoro. Per la Cgil, avere più formazione sui luoghi di lavoro è sinonimo di maggiore libertà per i lavoratori”, conclude Pelucchi.