PHOTO
"Non zittite l'arte". Il monito è dei lavoratori delle orchestre lirico-sinfoniche italiane, che stamattina si sono dati appuntamento a Roma, per la manifestazione nazionale organizzata in piazza Santi Apostoli, per ribadire il loro no allo smantellamento in atto del settore, specialmente dopo il 2 ottobre scorso, in occasione dell'annuncio dei 182 licenziamenti dell'intero personale artistico (orchestra e coro) del teatro dell'Opera di Roma, da parte del Sovrintendente della capitale Carlo Fuortes. Durante il sit-in di protesta, molte voci di artisti, sindacalisti e politici si sono alternate sul palco allestito per l'occasione, compreso Benoit Machuel, leader della Fim, la federazione internazionale dei musicisti, che ha portato la solidarietà di tutte le orchestre mondiali ai colleghi del Costanzi: "Nessuna capitale ha mai pensato di licenziare o esternalizzare musicisti, ed è indegno e incomprensibile che ciò avvenga in un Paese come l'Italia, culla dell'opera e della musica sinfonica, dove peraltro i lavoratori non sono dei privilegiati, essendo i loro salari inferiori del 20% a quelli dei colleghi europei. Il problema è della politica, insensibile alla cultura, che pur di risparmiare cerca di precarizzare il più possibile. Siamo vicini ai lavoratori dell'Opera di Roma e organizzeremo in loro onore, da qui a fine mese, una serie di manifestazioni che avranno luogo in tutti i teatri lirici del mondo".
Loris Grossi, professore d'orchestra del Costanzi, ha parlato a nome dei suoi colleghi, ricordando come "l'attacco portato avanti a Roma faccia parte di un disegno più complessivo di svuotamento delle masse artistiche dalle fondazioni da estendere nel resto d'Italia e in Europa". Mentre Annalisa Pittiu, del teatro lirico di Cagliari, è entrata in polemica con il ministro Franceschini, secondo il quale 14 fondazioni sarebbero troppe: "In Francia e in Germania sono di più: il problema dei conti in rosso non dipende dal costo del lavoro, peraltro già tagliato del 50% dal 2005 ad oggi, tra blocco contrattuale e inflazione, semmai dai costi di produzione. E a pagarne le conseguenze non devono essere i lavoratori, ma i sovrintendenti, nominati non da noi, ma dalla politica". Secondo Cristina Pierattini, del Maggio musicale fiorentino, i licenziamenti del teatro dell'Opera di Roma "sono solo la punta dell'iceberg: abbiamo già avuto 45 colleghi licenziati due anni fa e ora altri 53 saranno posti in mobilità. In realtà, processi di esternalizzazione delle maestranze sono già in atto in tutti i teatri lirici".
Invece Lorella Pieralli, rappresentante della Fials e corista dell'Opera di Roma, ha ricordato gli attestati di solidarietà "ricevuti persino dalla controparte datoriale, l'associazione dei Sovrintendenti d'Europa. Il contrario di quanto fa il sovrintendente Fuortes, che ci vuole licenziare in modo illegale per coprire con il nostro salario 3 milioni e 400.000 euro di deficit. Perciò, chiediamo un cambio di governance e un piano di risanamento finanziario per il nostro teatro, oltre a una riforma organica per tutto il settore ".
Anche sovrintendenti di casa nostra, come Francesco Ernani, del teatro comunale di Bologna, sono intervenuti a difesa dei lavoratori dell'Opera di Roma. "Ho sempre cercato di far capire alla politica l'importanza di un teatro, dove la qualità è data soprattutto dalla stabilità del proprio personale. Il problema, quasi ovunque irrisolto, è far convivere la bontà delle produzioni con la solidità dei bilanci, ma non si risolve azzerando le maestranze. Il mondo dell'opera rappresenta un valore sostanziale per il nostro Paese. Me ne accorgo quando vado all'estero, dove la maggior parte delle rappresentazioni liriche sono italiane". Presenti in piazza anche Maurizio Roi, sovrintendente del teatro Carlo Felice di Genova e Francesco Giambrone, responsabile del teatro Massimo di Palermo, mentre Francesco Melis, della Uilcom di Roma e del Lazio, ha sottolineato come "trent'anni di buchi di bilancio ci stanno scavando una fossa dove ci vorrebbero mettere tutti dentro. Ma la responsabilità è della politica, che gestisce i teatri, non dei lavoratori, che prendono buste paga non corrette per il livello della loro professionalità".
A nome della politica, hanno risposto prima Alessia Petraglia di Sel, per la quale "la precarietà del lavoro non è la soluzione, semmai occorre dare più risorse al settore". E poi il senatore Pd Vincenzo Vita, che ha ammonito: "La cultura è un investimento da accrescere, non un costo da ridurre, come hanno fatto tutti gli ultimi governi che si sono succeduti, in nome della logica che per risparmiare bisogna appaltare i lavoratori all'esterno. In realtà, gli sprechi stanno altrove, e a pagare le conseguenze dovrebbero essere in primo luogo i gestori dei teatri". Concorde Michela Montevecchi, del Movimento 5 Stelle: "Paghino coloro che dirigono enti culturali che non producono utili, ma solo debiti. Perciò, abbiamo presentato una mozione in Parlamento per chiedere la loro rimozione, e nel contempo anche due emendamenti alla legge 112, la legge Bray in vigore, che obbliga i sindaci a controllare se nei bilanci delle fondazioni non vi siano interessi anatocistici che producono utili nascosti". Inoltre, l'esponente grillina ha sbugiardato Franceschini, sostenendo che nella legge di Stabilità 2015, contrariamente a quanto affermato dal ministro, vi sarebbero nuovi tagli al Fus (il fondo unico per lo spettacolo) per 21,5 milioni.
E sempre il responsabile del Mibac è stato al centro delle conclusioni di Massimo Cestaro, segretario generale dell'Slc Cgil, che ha parlato a nome di tutti gli altri dirigenti sindacali presenti (Cisl, Uil e Fials): "Dalle parole ai fatti, anche Franceschini ha deluso. Si era impegnato per un cambio della politica culturale in Italia, dopo anni di scelleratezze, con tagli al Fus di quasi il 50% delle risorse negli ultimi dieci anni. All'atto del suo insediamento, il ministro aveva lasciato intendere di voler valorizzare il settore, inteso come risorsa straordinaria per il Paese e volano per l'economia, soprattutto in tempi di crisi come questi. Tutte cose sacrosante, su cui noi concordiamo in pieno, ricordando come nel mondo il 90% dell'opera rappresentata è quella italiana. Dunque, ci saremmo aspettati un rafforzamento delle produzioni artistiche, con più risorse a disposizione, in nome di quel made in Italy tanto sbandierato un po' da tutto il governo Renzi. Solo che, nel frattempo, Franceschini ha fatto marcia indietro, e adesso dice che fondazioni e lavoratori sono troppi, che i costi sono troppo elevati, che bisogna tagliare e risanare il comparto al più presto. Insomma, ama l'arte e la musica, ma affossa artisti e musicisti. ma allora, visto che sono in rosso anche i teatri di prosa, i consenrvatori, cinema, perchè non chiude anche quelli? Ma è concepibile avere teatri vuoti, senza artisti, tecnici e amministrativi che fanno la produzione culturale, oltretutto i meno pagati al mondo?"
"La vicenda dell'Opera di Roma – ha aggiunto Cestaro – è emblematica per la sua scelleratezza, e purtroppo, è stata appoggiata da tutti i soggetti istituzionali, sindaco compreso, che accusa i sindacati di aver costretto il maestro Muti alle dimissioni. Non è forse che, di fronte alle prospettiva di dover fare il direttore di una cooperativa di musicisti in regime di economia, il maestro non abbia preferito andarsene altrove, in virtù delle tante offerte ricevute da tutto il mondo? Certo, sui grandi eventi si possono fare tanti soldi, ed è questa la politica di tanti gestori della cultura oggi in Italia. Ma quando si rompe il rapporto tra gestione e lavoratori si rompe tutto. Ed è per questo che, prima di sederci al tavolo negoziale e affrontare i problemi, noi chiediamo che la trattativa sia seria, con interlocutori affidabili. Siamo disponibili al confronto, ma sia chiaro che se non verranno ritirati prima i licenziamenti, l'esito sarà negativo e la nostra azione di lotta continuerà più forte di prima in tutta Italia, arrivando, se necessario, all'occupazione di tutte le sovrintendenze, mantenendo nel contempo aperti i teatri e le produzioni, per non danneggiare gli utenti. Abbiamo grandissimo rispetto per il pubblico, ma altrettanto ne pretendiamo per i nostri lavoratori da parte dei sovrintendenti". Al termine dell'iniziativa, i manifestanti si sono spostati in piazza del Collegio Romano, davanti al ministero dei Beni culturali, dove una delegazione sindacale è andata a chiedere un incontro con il ministro Franceschini.