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Coronavirus: il ministero della Pubblica amministrazione con la direttiva n. 1 del 2020 invita i singoli enti a ricorrere a modalità flessibili della prestazione lavorativa e al lavoro agile. Nella direttiva si dice che occorre favorire tra i destinatari delle misure “i lavoratori portatori di patologie che li rendono maggiormente esposti al contagio”, quelli che utilizzano i servizi pubblici per raggiungere la sede, “i lavoratori sui quali grava la cura dei figli a seguito dell’eventuale contrazione dei servizi dell’asilo nido e della scuola dell’infanzia”. Quanto allo specifico del lavoro agile occorre individuare “modalità semplificate e temporanee di accesso alla misura” e, soprattutto, “senza distinzione di categoria di inquadramento e di tipologia del rapporto di lavoro”.
Insomma, il lavoro agile – o smart working – pare stia, purtroppo in una situazione di emergenza, tornando al centro del dibattito pubblico. I dipendenti italiani potenzialmente occupabili in smart working (manager e quadri, professionisti, tecnici e impiegati) sono 8,36 milioni. Lo smart working è largamente diffuso in Europa, ma ancora molto poco in Italia dove solo 354.000 persone lavorano in questa modalità.
La direttiva del ministro Dadone stabilisce anche che riunioni, seminari, convegni e momenti formativi devono privilegiare modalità telematiche e dunque a distanza, mentre i lavoratori che provengono dalle aree rosse o che sono entrati in contatto con persone delle medesime aree devono comunicarlo alle amministrazioni.
Nel testo viene anche ribadito che le amministrazioni delle aree non soggette alle misure di contenimento debbano continuare ad assicurare la normale apertura degli uffici pubblici.