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Le solite sorprese. Come ogni anno, in concomitanza con l’uscita dei dati delle dichiarazioni fiscali da parte del Dipartimento delle Finanze, si assiste a un ricorsivo sorprendersi per i bassi redditi medi denunciati delle varie categorie di professionisti, artigiani, commercianti e, in generale, contribuenti (persone fisiche, società di persone, società di capitali) assoggettati agli studi di settore.
In questo senso, un esempio, forse estremo, è rappresentato dalle attività di “discoteche, sale da ballo, night clubs e simili”, le quali nel 2013 hanno denunciato mediamente un reddito negativo (una perdita) di 1.300 euro. Nel 2012 erano riusciti a spuntare un reddito di 100 euro all’anno, risultato importante, visto che le analisi delle 7 dichiarazioni precedenti 2005-2011 le avevano viste sempre in perdita.
Visti gli ultimi 9 anni di dichiarazioni, quindi, un proprietario di un night club ha tenuto aperta un’attività che, mediamente, gli ha fatto perdere 3 mila euro ogni 12 mesi (e poi dice che non ci si rimette a far del bene...). Questi dati riescono ogni volta a stupire dipendenti e pensionati, che anche nel 2013 hanno versato oltre l’80% dell’Irpef totale, e a far fiorire commenti su telegiornali e carta stampata. Commenti che, proprio come i fiori di certe cactacee, durano il tempo di una giornata, per poi far tornare l’argomento nell'oblio per un altro anno.
I dati complessivi. Gli studi di settore sono stati applicati a circa 3,6 milioni di soggetti. Il reddito complessivo dichiarato nel 2013, 98 miliardi di euro, risulta in diminuzione rispetto all’anno precedente, sicuramente segno della difficoltà nell’affrontare il sesto anno consecutivo di crisi da parte di autonomi e professionisti. E tuttavia è evidente che i redditi denunciati sono talmente bassi da costituire quasi un’autodenuncia di evasione fiscale.
Evasione fiscale che, è ovvio, ma va ricordato, non è appannaggio di tutti i contribuenti, né di tutti i non dipendenti, si pensi per esempio agli autonomi che lavorano per imprese. All’interno degli studi, del resto, si assiste a una differenziazione reddituale per categorie, con i professionisti che hanno i redditi più elevati (42.100 euro), seguiti dalle attività manifatturiere e dai servizi (rispettivamente, 29.000 e 23.500 euro). Fanalino di coda in questa classifica sono i commercianti, che denunciano in media 17.500 euro annui.
Per quanto riguarda i dipendenti, il reddito medio è pari a circa 21.370 euro all’anno, con notevoli differenze tra i dipendenti di persone fisiche e società di persone, reddito medio di 12.260 euro, e i dipendenti della pubblica amministrazione e dipendenti di società di capitali, che hanno un reddito medio di 23.280 euro annui.
Niente di nuovo. Guardassimo alle statistiche degli scorsi anni, troveremmo dati simili, al netto dell’abbassamento medio dei valori provocato dalla crisi. Al di là della costernazione, ci pare quindi evidente che ci sono ancora grandi passi da fare nella lotta all’evasione fiscale. A cominciare dal contributo che potrebbe dare la legge delega, approvata lo scorso anno.
Quest’ultima dovrebbe avere tra i suoi scopi anche quello di migliorare la tax compliance, la fedeltà fiscale, puntando verso la fatturazione elettronica e l’utilizzo delle banche dati dell’Agenzia delle entrate per individuare gli evasori. La fatturazione elettronica, però, appare un obiettivo di lungo termine, visto il sistema italiano e la diffusione della microimpresa e dell’impresa familiare, poco avvezze all’innovazione.
E invece la fatturazione elettronica consentirebbe la completa tracciabilità delle transazioni, sia nei vari passaggi B2B (Business to business, da azienda ad azienda) che nei confronti del cliente finale, rendendo assai difficile l’evasione Iva: quindi, a cascata, l’evasione Ires, Irap, Irpef. Senza contare che costituirebbe anche una diminuzione dei costi e degli adempimenti. Tuttavia, perché vada a regime tale sistema, ci sarà bisogno di tempo, anche perché i costi iniziali non sono irrilevanti e perché la fatturazione elettronica funziona davvero solo se tutto il sistema vi aderisce.
Sarebbe utile quindi prevedere dei passaggi intermedi di immediata applicazione, come la trasmissione telematica degli incassi, ora prevista –come opzione – solo per la grande distribuzione, e l’incentivo della moneta elettronica. La trasmissione telematica non incide nei rapporti tra aziende, implicando invece solo un diverso rapporto tra la singola azienda e le amministrazioni tributarie. Affidarsi solo ai controlli per accertare l’evasione già consumata è una strategia perdente, per la scarsa probabilità dei controlli, per le difficoltà della riscossione (Equitalia ha, per legge, strumenti inferiori a un creditore privato) e per le possibilità di insolvenza e fallimenti, veri o “pilotati”.
La storia ci insegna che riforme incompiute, non portate a termine o non strutturate, possono facilmente essere cancellate in nome della semplificazione, della privacy o della troppo elevata pressione fiscale (che in Italia è effettivamente alta, ma solo per chi le tasse le paga). Paradigmatica appare la storia della tracciabilità dei distributori automatici, prevista nel 2007 e cancellata dal governo Berlusconi ancor prima che entrasse in vigore.
È quindi necessaria una volontà politica chiara, e si deve agire per prevenire l’infedeltà fiscale e non solo per punire una volta che il danno è stato fatto, a costo di inimicarsi qualche categoria che da troppo tempo non partecipa come potrebbe al funzionamento dello Stato. Perchè se è vero che una settimana all’anno, dopo che escono le statistiche delle Finanze, monta l’indignazione verso gli evasori, questi stessi evasori, per 52 settimane all’anno utilizzano beni pubblici, servizi sanitari, istruzione, prestazioni di welfare pagate da altri. Altri che, di solito, sono mediamente meno ricchi di loro.