Si rincorrono da alcuni giorni e si sono fatte più pressanti in queste ore le indiscrezioni che parlano di serie difficoltà finanziarie del gruppo Fincantieri. Voci, che stanno penalizzando il titolo societario sui mercati, secondo cui il gruppo dovrebbe ricorrere a un aumento di capitale – a poco più di un anno dalla sua quotazione in Borsa – da chiedere alla Cassa depositi e prestiti, titolare della proprietà pubblica di Fincantieri. Tutto questo a fronte di un portafoglio ordini più che consistente, di un aumento delle commesse, mentre sul fronte industriale il confronto sindacale per il rinnovo del contratto integrativo è bloccato dall'intransigenza aziendale.
“E' una situazione preoccupante e paradossale – commenta Bruno Papignani, responsabile per la cantieristica della Fiom-Cgil nazionale – perché Fincantieri ha dedicato in questi ultimi anni i propri principali interessi sul terreno finanziario: se questi sono i risultati non c'è proprio da stare allegri. Mentre sul terreno industriale, dove la situazione di mercato è più che rosea, l'azienda continua ad assumere atteggiamenti di chiusura, se non autoritari, nei confronti delle richieste sindacali e delle rivendicazioni dei lavoratori chiudendo le porte alla loro partecipazione. E' un atteggiamento suicida, perché di fronte alle difficoltà che il gruppo sta incontrando a livello finanziario, sarebbe necessario un ripensamento che rimetta la produzione industriale al centro dell'attenzione aziendale e consideri il confronto con i lavoratori e i loro rappresentanti una risorsa per il futuro del gruppo”.
“Da questo punto di vista – osserva Papignani - è paradigmatico che la vertenza contrattuale sia bloccata da mesi sul rifiuto aziendale di confrontarsi davvero con le rivendicazioni dei lavoratori. Servirebbe una svolta da parte del management di Fincantieri: non solo per il bene dei lavoratori che hanno fatto vivere l'azienda con i loro sacrifici salariali e normativi negli anni in cui le commesse erano scarse, ma per il futuro stesso del gruppo, che non può pensare di poter competere a spese dei suoi dipendenti comprimendo e peggiorando le loro condizioni di lavoro”.