La finanza dovrebbe essere uno strumento per fare incontrare chi ha un risparmio con chi ha bisogno di un prestito. Nei termini più semplici possibili, si potrebbe definire come “il mercato dei soldi”. Se voglio comprare delle mele vado al mercato, luogo di incontro tra il contadino (l’offerta) e i clienti (la domanda). In maniera analoga, le banche sono nate per raccogliere il risparmio di cittadini e famiglie e prestarlo per attività produttive. Il paragone con un mercato diventa ancora più calzante riguardo alle Borse valori, non a caso spesso indicate come mercati finanziari. La loro funzione originaria è essere il luogo di incontro tra Stati e imprese che necessitano di capitali per le loro attività e i risparmiatori che hanno soldi da investire.
Oggi la finanza ha in massima parte perso questo suo ruolo sociale per trasformarsi in un fine in sé stesso per fare soldi dai soldi nel più breve tempo possibile. Da un lato, una sterminata quantità di denaro è alla ricerca esasperata di profitti a breve; dall’altro, mancano risorse per il sistema produttivo, i servizi pubblici, i beni comuni. Domanda e offerta di denaro non si incontrano: un macroscopico fallimento di mercato. Le conseguenze di un tale fallimento sono sotto gli occhi di tutti. L’attuale fase recessiva e le enormi difficoltà in diversi paesi, in particolare nell’Unione europea, discendono direttamente dalla crisi esplosa negli Usa nel 2007 con la bolla dei mutui subprime, che ha rapidamente contagiato l’intero pianeta.
A cavallo del 2008 gli Stati devono intervenire con giganteschi piani di salvataggio del sistema finanziario responsabile della crisi. In altre parole, il mostruoso debito creato dalla finanza speculativa per moltiplicare i profitti, eludendo regole e controlli, viene trasferito agli Stati, senza alcuna condizione. Specularmente, parliamo di un gigantesco assegno in bianco firmato dai principali governi occidentali alle loro banche. Questa montagna di debiti mette in difficoltà diversi governi, causando la crisi dei debiti sovrani esplosa in Europa nel 2011. Ecco allora i piani di austerità, le misure “lacrime e sangue”, i tagli al welfare.
Cerchiamo di evidenziare ancora meglio le diverse cinghie di trasmissione della crisi dalla finanza-casinò ai cittadini. Primo, il crollo finanziario ha provocato una recessione globale, ovvero una diminuzione del Pil. Se il parametro fondamentale usato per valutare lo stato di salute di una nazione è il rapporto tra debito e Pil, la diminuzione del denominatore provoca un immediato peggioramento del rapporto. Secondo, anche il numeratore peggiora, perché recessione significa meno consumi, meno entrate fiscali (a partire dall’Iva, che è un’imposta sui consumi): quindi, a parità di spese pubbliche, un deficit maggiore e un aumento del debito. Il debito aumenta anche per le spese che i governi devono affrontare per attenuare alcuni degli impatti più nefasti della crisi sulla popolazione, come avvenuto in Italia con l’aumento degli interventi per finanziare la cassa integrazione. Terzo, con l’indebitamento degli Stati aumenta l’emissione di titoli di Stato (Bot, Btp e Cct in Italia) per finanziare il debito stesso. Aumenta l’offerta sui mercati di titoli tedeschi, statunitensi, inglesi, francesi proprio in un momento di difficoltà, quindi con meno capitali disposti a investire. La Germania, con un’economia più solida, riesce a piazzare i propri Bund sui mercati, mentre paesi come l’Italia hanno maggiori difficoltà, e sono costretti ad aumentare i tassi d’interesse offerti. È il famigerato “spread”, che indica proprio la differenza di tasso d’interesse tra i titoli italiani e gli omologhi tedeschi. Quarto, strumenti finanziari derivati originariamente pensati come contratti simili ad assicurazioni, i Cds, consentono delle vere e proprie scommesse sul fallimento di Stati e imprese. Montagne di tali titoli aumentano l’instabilità e la volatilità sui mercati e le difficoltà per gli Stati che subiscono pesanti attacchi speculativi.
Una finanza fuori controllo causa la crisi, ricevendo “in cambio” migliaia di miliardi di dollari senza nessuna condizione o contropartita. Le difficoltà si spostano su Stati e cittadini e, al culmine del paradosso, le nazioni oberate di debiti devono rivolgersi ai mercati finanziari per ottenere il finanziamento dei loro debiti pubblici. È evidente che, da una parte, tutto questo sembra un gigantesco gioco delle tre carte per non riconoscere che i debiti accumulati nel sistema finanziario sono semplicemente troppi. Mentre, dall’altra, a differenza dei soldi ricevuti solo un paio di anni prima, i mercati finanziari fissano delle condizioni per ri-prestare i soldi agli Stati. E sono condizioni durissime: i mercati pretendono garanzie che prendono la forma dei piani di austerità, del Fiscal compact, del pareggio di bilancio nelle Costituzioni e via discorrendo. Non si può spendere per il welfare, le risorse devono andare al pagamento del debito e a rimettere a posto i conti pubblici. Dobbiamo accettare i sacrifici per “restituire” fiducia ai mercati. Restituire fiducia, come se all’esatto opposto non fosse questa finanza-casinò a dover radicalmente cambiare rotta per riconquistarla, la nostra fiducia.
Un surreale mix di durissime politiche di austerità per gli Stati e i cittadini e liquidità illimitata per le banche e il sistema finanziario. Ma il problema non è unicamente di ingiustizia sociale, nel vedere i top manager gratificarsi con bonus milionari, mentre siamo chiamati a stringere la cinghia per rimborsare i danni che hanno creato. La preoccupazione maggiore è che, proprio grazie alle risorse messe a disposizione dai governi, si sta creando uno scollamento sempre più marcato tra il sistema finanziario nel quale vengono pompate risorse illimitate e i cittadini e il sistema produttivo, ai quali vengono imposte misure di austerità. Questo scollamento è la definizione stessa di una bolla finanziaria, che scoppiando potrebbe avere impatti devastanti, come la crisi dei subprime del 2007 ci ha purtroppo mostrato. E se dovesse scoppiare, verranno nuovamente a dirci che dobbiamo stringere la cinghia e accettare ulteriori sacrifici, perché dobbiamo “restituire fiducia ai mercati”?
Dobbiamo cambiare rotta. Occorre un nuovo sistema di regole e di controlli. Sono molte le proposte messe in campo negli ultimi tempi da studiosi di tutto il mondo e dalle organizzazioni e reti della società civile internazionale. Diminuire la leva finanziaria, separare le banche commerciali da quelle di investimento, tassare le transazioni finanziarie, chiudere i paradisi fiscali, regolamentare i derivati, e via discorrendo. Nella maggior parte dei casi, non ci sono difficoltà tecniche. Sappiamo cosa bisognerebbe fare e come procedere. È una questione di volontà politica, ovvero occorre superare lo scandaloso potere delle lobby finanziare che, a dispetto dei disastri combinati negli ultimi anni, continuano a opporsi a ogni forma di regolamentazione.
Dobbiamo riportare la finanza a essere uno strumento al servizio dell’economia e della società, non l’opposto, come avviene oggi. Per questo è necessario da un lato sostenere le campagne e le iniziative che mirano a regolamentare la finanza e a impedire i comportamenti più rischiosi e speculativi e, dall’altro, evitare di essere, oltre che vittime, anche complici inconsapevoli di questo sistema, operando delle scelte in materia di risparmio e investimento: sottrarre i nostri soldi a chi continua a usarli come fiches di un casinò e impiegarli al contrario in un sistema bancario diverso, legato all’economia reale e attento alle ricadute non economiche delle proprie attività. Il successo della finanza etica mostra, non solo in Italia, come tale percorso già coinvolga moltissimi cittadini. Che in prima persona si impegnano perché la finanza, oggi forse il principale problema, può e deve essere al contrario una parte della soluzione.
Finanza da riformare, prima che sia troppo tardi
Le attuali politiche di austerità sono una conseguenza della crisi dei mutui subprime del 2007. Mal o scollamento tra mercati e mondo produttivo potrebbe causare una nuova tempesta globale. Dobbiamo cambiare rotta DI ANDREA BARANES
14 novembre 2014 • 00:00