“Noi abbiamo cercato una mediazione, ma l’ultimo incontro del 22 giugno scorso ha determinato l’impossibilità di riaprire la trattativa con l’azienda. A quel punto lo sciopero è stata una scelta obbligata”. A dirlo è Stefano Nicoli, segretario organizzativo della Filcams Cgil Toscana, in un’intervista andata in onda su RadioArticolo1. Il motivo della vertenza risale al 6 marzo scorso, quando Fisascat Cisl e Uiltucs Uil siglano il nuovo contratto aziendale della catena di discount, integrativo che non viene firmato dalla Filcams perché “l’accordo non migliora le condizioni dei lavoratori”.
Il segretario toscano ricorda che “durante tutto il mese di aprile abbiamo organizzato assemblee nei magazzini e parlato capillarmente con tutti i dipendenti. I lavoratori hanno capito le motivazioni del nostro no e hanno chiesto alla Lidl di riaprire il negoziato”. Dopo una pausa, il 24 maggio scorso la Filcams scrive formalmente alla Lidl per la riapertura della trattativa, che effettivamente si riapre. Ma nei tre giorni di confronto (7, 14 e 22 giugno) nulla accade e si arriva alla definitiva rottura.
Sono numerosi i punti di attrito con la Lidl. Uno su tutti: il mancato consolidamento dell’orario dei lavoratori part time. “Il 75 per cento di questi lavoratori ha contratti di 20-25 ore settimanali, e da anni svolgono strutturalmente un lavoro supplementare”, illustra Nicoli: “La nostra richiesta era che l’orario fosse consolidato in base alle ore effettivamente lavorate”. Una richiesta, però, che la Lidl non soddisfa: “L’azienda ha invece inserito nell’integrativo una sorta di part time sperimentale, della durata di sei mesi, con il quale il lavoratore part time può avere un incremento di quattro ore rispetto al proprio contratto, ma mettendo a disposizione dell’azienda il proprio orario di lavoro”. Al lavoratore, dunque, sono riconosciute quattro ore in più per sei mesi, ma “il proprio orario settimanale è deciso unilateralmente dall’azienda, peraltro senza avere, alla fine di questo periodo, la certezza che il proprio orario sia consolidato. Questa è una deroga al contratto nazionale, ma è anche un abuso della flessibilità, che viene gestita direttamente dall’azienda”.