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La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha bocciato un articolo della legge italiana 40 sulla fecondazione assistita dando ragione a una coppia italiana fertile ma portatrice sana di fibrosi cistica contro il divieto di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni. I sette magistrati hanno condannato lo Stato italiano a pagare 15mila euro per danni morali e 2.500 per le spese legali per la violazione del diritto al rispetto per la vita privata e familiare della coppia italiana.
La Corte ha rilevato l'"incoerenza del sistema legislativo italiano" che "da una parte priva i richiedenti dell'accesso alla diagnosi genetica pre impianto" e "d'altra parte li autorizza a una interruzione di gravidanza se il feto risulta afflitto da quella stessa patologia". La Corte ne conclude che "l'ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto della loro vita privata e familiare è quindi sproporzionata".
I due coniugi, residenti a Roma, in occasione della nascita della figlia nel 2006 affetta da mucoviscidosi hanno scoperto di essere portatori sani della malattia. Di nuovo incinta nel 2010, la donna effettuò una esame diagnostico prenatale che rivelò come anche il nuovo feto fosse colpito dalla terribile malattia che conduce alla morte in giovane età; la signora ha fatto allora ricorso a un aborto terapeutico.
Oggi la coppia desidera fare ricorso alla fecondazione assistita con una diagnosi pre impianto. Ma, rileva la sentenza della Corte, la legge italiana non consente un depistaggio preimpianto. Invece consente la procreazione assistita per le coppie sterili o quelle ove l'uomo sia colpito da una malattia virale trasmissibile per via sessuale (come l'HIV o l'epatite B o C) per evitare la trasmissione di queste malattie.