PHOTO
Sono i rider che ci portano i pasti dei ristoranti, baby sitter, dog e cat sitter, i magazzinieri e i corrieri che ci garantiscono l'arrivo dei nostri acquisti online, addetti alle pulizie, esperti di fitness, traduttori e tante altre figure di “liberi professionisti”, pronti a offrire le loro prestazioni a portata di clic. È il lavoro on demand, la gig economy che da alcuni anni sta cambiando il mercato e la società. Un settore in crescita costante che, se nel 2015 registrava un volume d'affari di circa 3,5 miliardi di euro, nel 2020 è previsto raggiunga i 9, per arrivare a sfiorare i 25 miliardi nel 2025 con centinaia di milioni di utenti (ricerca Università di Pavia per Phd Italia).
Il mercato del lavoro sta cambiando, ma è un cambiamento con poche regole, in continua evoluzione e in cui è alto il rischio di finire schiacciati. Ci sono così app come Pronto Pro e Tabbid che mettono in contatto liberi professionisti di ogni genere con i clienti, Upwork che permette a freelance come creativi o programmatori, editor, copywriter e web designer di proporsi sul mercato, PetMe che si rivolge invece al mondo di dog e cat sitter… Insomma ampliano le possibilità a chi già lavora, o vuole iniziare a farlo, come libero professionista, con tutti i vantaggi e svantaggi annessi.
Il mondo delle baby sitter, ad esempio, sta traendo quasi solo vantaggi da piattaforme come Le Cicogne, Mystarsitter o Sitterlandia, combattendo il lavoro nero e aumentando la tariffa oraria media nel 2017 da 7 a 8 euro. “Ho sempre fatto la baby sitter – racconta Alice, 23 anni, laureanda in lettere moderne all'università di Bologna -. Ho iniziato quando facevo il liceo, per pochi euro mi occupavo dei bambini degli amici dei miei genitori. Poi quando ho iniziato a frequentare i corsi a Bologna volevo aiutare i miei con le spese, ma conoscevo poche persone e con gli annunci fai da te non andava molto bene. Qualche mese fa mi sono iscritta al portale Le Cicogne e ho cominciato a ingranare. Ora riesco a mantenermi da sola e anche se non sono indipendente, ho alleggerito molto il carico dei miei genitori. Certo non credo di poterlo trasformare in un lavoro a tempo pieno, ma è un inizio, poi si vedrà”.
Ma per storie come quella di Alice, in cui la definizione di lavoretto è centrata in pieno, ce ne sono altre che rivelano l'altra faccia del cambiamento in atto nel mondo del lavoro. Andrea, 25 anni e laurea triennale in sociologia, da due anni fa il rider per Deliveroo a Torino per una paga media mensile di 250 euro. “Faccio consegne in bici per circa dodici ore a settimana, lavorando sia a pranzo che a cena. Ho un contratto di collaborazione occasionale e guadagno 7 euro lordi l'ora. Deliveroo finora è stata la cosa migliore che ho trovato, ma è molto lontano dai miei studi e dalle mie aspettative. Sto cercando di aumentare le consegne per guadagnare di più e nel frattempo mando in giro curriculum. Continuando anche con gli studi. Ma sono sempre al cellulare, lo consulto in modo compulsivo perché di lì passa il mio lavoro. Indirizzi, orari di servizio, notifiche per i pagamenti e per le consegne, valutazioni di clienti e ristoratori. Per fortuna non ho il problema dell'affitto, perché ho ereditato casa da una zia, altrimenti non saprei come fare”.
Carla invece ha 28 anni e non ha finito gli studi al Politecnico in informatica. “Prima ho lavorato per Deliveroo, ora invece per Foodora. Ho dato una disponibilità di 20 ore a settimana: ho un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con qualche tutela, come contributi Inps e Inail. Prendo 4 euro lordi a consegna, circa 3,60 netti. Il mio primo lavoro è il web designer, ma questa attività non mi basta. Ora invece riesco almeno a pagare l'affitto dell'appartamento in cui convivo con il mio ragazzo. Per ora un buon compromesso, ma so molto bene che non avrò mai le tutele di altri lavori o delle precedenti generazioni. Basta solo pensare che se supererò i 5000 euro annui, dovrò aprire la partita iva per continuare a lavorare; l'idea non mi entusiasma, ma l'alternativa è mollare e cercare cos’altro c'è in giro. Non mi arrendo, ma certo è dura e i dubbi tanti. Già ora sto cercando offerte migliori, vedremo. Per ora resta il pensiero costante di perdere delle consegne o di non essere abbastanza veloce, la paura di un incidente che nei migliori dei casi mi impedirebbe di lavorare e quindi di guadagnare... insomma non è facile”.
I rider sono ormai da tempo al centro delle cronache, con scioperi e proteste. Perché al contrario di altre figure e pur essendo considerati freelance, sono in pratica dei dipendenti delle piattaforme di consegne a domicilio, senza però avere diritti e tutele. Dipendenti a tutti gli effetti sono i magazzinieri delle tante aziende di consegna di prodotti acquistati online, sempre più diffuse in Italia e nel mondo. Non si può parlare esattamente di gig economy, ma fanno parte di quella rivoluzione digitale che sta cambiando il mondo del lavoro. Quella che fa più parlare di sé è anche la più grande, Amazon, che non molto tempo fa è finita al centro delle polemiche per la notizia del braccialetto per i dipendenti. Solo un brevetto, un prototipo lontano da un'eventuale applicazione. In provincia di Piacenza, a Castel San Giovanni, si trova il più grande: 85 mila metri quadri, oltre 800 dipendenti e circa 100-120 mila prodotti scaricati ogni giorno dai camion. Un labirinto di nastri trasportatori e scaffali dove arrivano e partono gli acquisti fatti comodamente online. Sono la nuova generazione di quei negozi per noi invisibili, dove si calcola ogni secondo e ogni azione dei lavoratori è controllata passo per passo. Parlarne non è facile, la paura di possibili ritorsioni alta, l'anonimato è d'obbligo. Alessandro (nome di fantasia) lavora per Amazon da 2 anni. “Lavoriamo con il fiatone perché siamo sempre di corsa. I manager calcolano i singoli minuti e la pressione è altissima perché gli standard da raggiungere sono molto specifici. La maggior parte dei lavoratori ha il cartellino blu, è cioè a tempo determinato, come me. E siamo proprio noi con il contratto in scadenza a dover seguire maggiormente gli standard aziendali per sperare nel rinnovo o meglio in un'assunzione. C’è ogni momento l’ossessione della produttività, tutti si sentono in competizione”.
A differenza di Alessandro, Paolo lavora da più tempo e ha un contratto a tempo indeterminato. “I capireparto sanno in tempo reale cosa fai e anche in quanto tempo lo fai. Se non riesci a tenere il ritmo ti affiancano un responsabile che ti detta i tempi corretti per mantenere gli standard aziendali. Non commettere errori, fare presto e ottimizzare i tempi sono pensieri ed esigenze continue. Ma l'ansia, lo stress e la fatica per l’ossessione della produttività e del rispetto delle scadenze possono avere ripercussioni sulla salute. Solo il sindacato fornisce a chi ne ha bisogno un supporto psicologico”.