L'ultima ricerca della Fondazione Di Vittorio su contrattazione integrativa e retribuzione nel settore privato ha evidenziato che solo il 21,2% delle imprese applica la contrattazione di secondo livello, mentre il contratto collettivo nazionale di lavoro riguarda il 99,4% delle aziende, e anche l’88,4% delle retribuzioni è coperto dal ccnl. “Possiamo dire – ha commentato oggi ai microfoni di RadioArticolo1, il presidente Fulvio Fammoni – che il contratto nazionale serve ed è strumento di garanzia per diritti e salario, contribuisce ad evitare o a ridurre diseguaglianze tra lavoratori e il dumping fra imprese. Mentre occorrerebbe trovare strumenti per aiutare la diffusione della contrattazione integrativa”.

 

 

“Noi abbiamo lavorato sui dati ufficiali Istat – ha detto il dirigente sindacale –, che dimostrano come la diffusione della contrattazione di secondo livello in Italia sia ancora relegata a un numero nettamente minoritario d’imprese. Le stesse cifre, invece, dimostrano quanto alto sia il grado di diffusione del contratto nazionale, e quanto esteso sia il grado di copertura economica per i lavoratori del ccnl. Il mancato rinnovo da troppo tempo di molti contratti nazionali di lavoro incide su questo dato altissimo. Stando così le cose, tutti quelli che spesso s’interrogano sul perché dell'andamento così stagnante dei consumi nel nostro Paese, trovano qui una delle risposte fondamentali. Quindi, il mancato rinnovo dei contratti, in realtà, non riguarda solo il destino di singoli lavoratori, ma l'economia nazionale. Circa i due terzi della nostra produzione è per il mercato interno, ma se non ci sono risorse per effettuare acquisti, se il meccanismo della deflazione fa rinviare le spese, e oltre a tutto ciò non si danno le risorse dovute, si arriva a un corto circuito micidiale, e si blocca anche la produzione delle aziende”.

“Nel confronto sulla riforma del modello contrattuale – ha continuato l’esponente Cgil –, c’è un atteggiamento differente da parte diverse controparti datoriali. La proposta di Confindustria e Federmeccanica di spostare quasi esclusivamente il peso sulla contrattazione di secondo livello è francamente inaccettabile: è evidente che c'è una diversità di partecipazione alla contrattazione di secondo livello a seconda della dimensione d’impresa, e anche nelle grandissime imprese ci sono parti non irrilevanti di aziende che non hanno la contrattazione di secondo livello, e quindi il ruolo del contratto nazionale è comunque di carattere trasversale. In più, per tutti quelli che vorrebbero riesumare le gabbie salariali nord- sud, c'è un ulteriore svantaggio anche sulla contrattazione di secondo livello riguardante il Mezzogiorno, che è molto più bassa della media nazionale”.

“Il mercato del lavoro italiano – ha proseguito il sindacalista – è estremamente frammentato e diseguale, fra uomini e donne, fra giovani e meno giovani, fra nord e sud, fra grandi e piccole imprese, e proprio il contratto nazionale rimane l'unico elemento unificante sull'intero territorio nazionale: è questo che bisogna considerare per quello che vale anche dal punto di vista sociale e dei rapporti fra le grandi forze produttrici del Paese. Poi ci sono diseguaglianze evidenti, soprattutto si sta ampliando una platea di persone – ormai non più solo giovani – con salari sempre più bassi, il cui unico antidoto fino ad oggi, è quello del contratto nazionale di lavoro. Poi bisognerebbe agire anche sulla leva fiscale a favore di lavoratori dipendenti e pensionati, altrimenti tali forme di diseguaglianza non troveranno mai una loro risoluzione”.

“È chiaro che il contratto nazionale - lo dimostrano i dati -, è l'unica verità autorità salariale dal punto di vista delle risorse in busta paga dei lavoratori – ha spiegato Fammoni –. Da sempre, il ccnl è fonte di diritti e regolazione, di eguaglianza tra le diverse condizioni delle persone sull'intero territorio nazionale. Ciò riguarda i meccanismi di partecipazione a livello di imprese, i regimi di orario, le condizioni di salute e sicurezza all'interno dei luoghi di lavoro, l'atteggiamento delle imprese: in fondo, se parli con un imprenditore, nessuno ti mette in discussione il ruolo del contratto nazionale, tant'è che nel 99% delle imprese esiste l'applicazione di un ccnl, perché è un elemento di regolazione anche per loro. Diverso, è quando si scende agli altri livelli di contrattazione. Ad esempio, esiste un elemento che nasce dai contratti nazionali, si chiama Egr - elemento di garanzia retributiva - che dice all’interno dei contratti che l'hanno previsto, che nelle aziende laddove non si fa il secondo livello di contrattazione comunque ci deve essere una corresponsione economica per i lavoratori, pensando che un’impresa preferisca fare una discussione sull’organizzazione interna e quindi anche sulle ricadute salariali, piuttosto che dare una semplice erogazione salariale. Ma, come si vede, non è così, molto spesso una quota non irrilevante d’imprese ha preferito elargire risorse”.

“È evidente che c'è in ballo una discussione all'interno delle associazioni d’impresa – ha concluso il responsabile della Fondazione Di Vittorio –. Una discussione su quello che è il valore sociale dell'impresa e del lavoro, e il ruolo dei vari corpi sociali. La mia preoccupazione è che l'associazionismo d’mpresa, soprattutto quello più grande, si stia spostando più da un ragionamento sulla rappresentanza d’interessi delle imprese a quello di una rappresentanza di una lobby d’interessi, per avere il più possibile mano libera sulle proprie attività. Naturalmente ciò non è accettabile, ed è sbagliato anche dal punto di vista delle imprese. Ci vuole una sana dinamica contrattuale che aiuti - perché anche noi lo vogliamo – a sviluppare un secondo livello di contrattazione pieno, che dia risposte salariali ai lavoratori e che si occupi contestualmente e parallelamente dei problemi delle imprese, dell'organizzazione del lavoro a livello datoriale, è la vera soluzione a cui occorre contribuire per il prossimo futuro”.