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La notizia di questi giorni arrivata da Parigi, riguardante la votazione favorevole “per acclamazione” alla proposta italiana rivolta all’Onu per la tutela del patrimonio artistico e culturale in zone di crisi, attraverso l’istituzione di un contingente di veri e propri “caschi blu della cultura”, è stata accolta come un grande successo internazionale da parte dell’Italia, dopo quello ottenuto a Milano con l’approvazione di 83 Paesi della Dichiarazione sulla Protezione del Patrimonio Culturale. Ora, incassato il voto, bisognerà definire in brevissimo tempo gli aspetti operativi di questa task-force internazionale, che dovrà intervenire laddove il patrimonio dell’umanità è messo a rischio da catastrofi naturali o da attacchi terroristici.
Per chi volesse conoscere a fondo i contenuti di tale notizia, ripercorrendone le origini storiche e politiche sin dalla Convenzione dell'Aja dell’ormai lontano maggio 1954, diviene imprescindibile la lettura di un libro che il destino ha voluto appena pubblicato dall’editore Skira, e dal titolo “Oro dentro, il viaggio coraggioso di un “archeologo in trincea” tra Bosnia, Albania, Kosovo e Medio Oriente, negli anni caldi e bui nei quali queste zone hanno subito (e in Medio oriente continuano a subire) gli orrori e i soprusi di guerre cruente e devastanti dal punto di vista insieme umano e ambientale.
I due autori del volume, Laura Sudiro e Giovanni Rispoli, ricostruiscono infatti con precisione e passione la vicenda biografica di Fabio Maniscalco, un uomo nato a Napoli nel 1965, la cui vocazione intima ha portato a dedicare la propria esistenza alla cura del patrimonio culturale a rischio in varie parti del mondo.
Dopo una laurea in Lettere antiche e una prima esperienza come“archeologo subacqueo” per il Ministero dei Beni Culturali, Fabio inizia la sua avventura nella veste inconsueta e allora pressoché sconosciuta di “tenente archeologo” poco più che ventenne in quel di Sarajevo, dove visiterà ciò che resta all'indomani della cosiddetta “neve nera”della Vijećnica, il rogo incandescente che nella notte tra il 25 e il 26 agosto del 1992 distrusse la leggendaria biblioteca di Sarajevo, simbolo e testimonianza dell’incontro e della convivenza tra le diverse culture religiose della ex-Jugoslavia.
Ed è forse è proprio lì, in quei giorni di duro lavoro e di profonda percezione della tragica realtà dei fatti, che in Fabio Maniscalco scatta qualcosa, prende corpo l’idea di dover costruire un reparto militare specializzato, che abbia come obiettivo esclusivo quello di preservare i beni artistici nelle zone di conflitto.
Da Sarajevo in poi, quello di Maniscalco sarà un viaggio continuo nelle terre dimenticate e abbandonate una volta distrutte e lacerate dall’assurdità di qualsiasi guerra. Ma tutto questo non gli farà dimenticare le sue origini, anzi lo porterà a indagare e scandagliare i fondali anche della sua, di terra: quella Napoli il cui tratto di costa tra Baia e Pozzuoli nasconde tesori artistici e beni comuni, così come da salvare e salvaguardare sono gli affreschi ancora recuperabili nella Cappella di San Giovanni Battista ai Camaldoli. Sono anni di frenetica attività, che lo condurranno a visitare anche i luoghi della Terra Santa, nel tentativo di trovare uno spiraglio di pace attraverso l’arte in un groviglio storico-religioso avviluppatosi in una persistente spirale di sangue.
Appare quasi superfluo ricordare, oggi, quanto importante possa essere una simile attività, alla luce dei sempre più frequenti oltraggi ai simboli di cultura e civiltà, non ultimo quello perpetrato ai danni dell’antichissima Palmira. A farne le spese, oltre i resti millenari, anche il grande archeologo Khaled Assad, giustiziato con la barbarie che solo il terrorismo più ottuso possiede.
Fabio Maniscalco, invece, venne ucciso a soli 43 anni da un tumore micidiale al pancreas, causato dalle polveri respirate nel corso della sua illuminante carriera di studioso sul campo. “Inquinamento bellico ad alta tecnologia produttore di uranio impoverito”si disse all’epoca, recuperando un barlume di verità in quelle ultime settimane di lotta tra la vita e la morte, quando il mondo dell’informazione sembrava finalmente essersi accorto di lui, e del suo immenso lavoro per l’intera umanità. Ma a quel punto, per l’ennesima volta, era già troppo tardi. L’istituzione dei “caschi blu della cultura” è però la dimostrazione di come la passione e la competenza di Fabio Maniscalco abbiano raggiunto l’obiettivo tanto ostinatamente inseguito. L’amaro rimpianto è che il suo primordiale ideatore non abbia potuto gioirne con noi.