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I forti e repentini aumenti dell’età pensionabile introdotti dalla riforma Fornero hanno agito al pari di “tagli lineari”. È il punto di vista di Michele Raitano, ricercatore in Politica economica alla Sapienza Università di Roma, che oggi (domenica 14 giugno) sarà tra i partecipanti al dibattito “Il welfare del domani”, che avrà luogo all’auditorium del Palazzo Panciatichi nell’ambito dell’evento (le Giornate del Lavoro, 12-13-14 giugno) organizzato dalla Cgil nel capoluogo toscano. “Non prevedendo nessuna, o assai limitate forme di flessibilità nelle possibilità di pensionamento – continua Raitano –, non si è tenuta in alcuna considerazione l’ampia eterogeneità di situazioni fra i lavoratori anziani”.
Un errore grave, a giudizio di Raitano, pensare che l’età di ritiro dipenda solo dalle preferenze dei lavoratori anziani, anziché dall’influenza delle caratteristiche della domanda e dell’offerta di lavoro. “Ma al di là di quanto stabilito dai vincoli normativi, la possibilità di proseguire l’attività lavorativa sembra appannaggio principalmente dei lavoratori più qualificati, che hanno maggiore facilità di continuare a incontrare la domanda di lavoro anche da anziani e riescono a svolgere mansioni meno gravose, meglio retribuite, e più gratificanti. A conferma di ciò, da ben prima della riforma, in Italia i tassi di occupazione degli anziani laureati erano di gran lunga più alti di quelli dei lavoratori con minore istruzione, che rappresentano però ancora la maggioranza dei lavoratori maturi, e soprattutto erano superiori al dato medio europeo”.
Il fatto è che i lavoratori anziani non possono essere in alcun modo considerati una categoria omogenea. È proprio questo il motivo per cui decisioni politiche – o riforme come quella del 2011 – che non prendano in seria considerazione e in modo mirato le caratteristiche dei lavoratori e del sistema produttivo, espongono molti lavoratori ad attività particolarmente usuranti o a forti rischi di disoccupazione e vincolano le imprese all’utilizzo di forza lavoro più costosa e talvolta meno produttiva. “La principale domanda da porsi – argomenta ancora Raitano – è quella relativa all’effettiva possibilità di garantire a tutti i lavoratori, in particolare ai meno istruiti e a quelli con precarie condizioni di salute, di rimanere occupabili in prospettiva fino ai 70 anni”.
La scommessa, per un governo che volesse davvero innovare, è quella di individuare specifiche misure che possano facilitare l’incontro fra le esigenze di imprese e lavoratori. “Diversamente, l’aumento cogente dell’età di ritiro potrebbe comportare, oltre ai suddetti effetti negativi su imprese e anziani, ripercussioni negative anche sull’occupabilità dei giovani, costretti a minori possibilità di accesso al lavoro a causa del ridotto flusso di uscite”. Che fare, allora? “L’aumento dell’età di pensionamento – suggerisce l’economista – andrebbe associato a misure di active ageing finalizzate ad accrescere l’occupabilità dei più anziani e a rendere per loro meno gravosa la prosecuzione dell’attività, anche attraverso la possibilità di combinare un lavoro part time con una quota di pensione, migliorando nel contempo le tutele di ammortizzatori sociali e welfare anche tramite forme di flessibilità dell’età di uscita”. (G. I.)