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"Non ci era mai capitato di trattare lo stupro come un caso di infortunio sul lavoro. Ricordo ancora il senso di inadeguatezza che provai quando la vittima si rivolse a noi per la prima volta", afferma Laura Chiappani, funzionaria dell’Inca Cgil di Milano.
La vicenda inizia circa un anno fa, quando una donna originaria dello Sri Lanka fu violentata all’uscita dal lavoro. Il luogo dell’aggressione è un sottopassaggio nei pressi della provinciale Vigevanese. Una strada pericolosa, che la signora percorreva ogni giorno per recarsi alla palestra dove era stata assunta come addetta alle pulizie. Un chilometro e mezzo a piedi fino alla fermata dell’autobus, in mezzo ai capannoni, attraverso un nulla sociale e urbano alle porte della città. Le avevano dato il turno di sera. Tutti questi particolari hanno avuto la loro importanza, quando l’Inca ha inoltrato la domanda di risarcimento all’Inail.
La donna fu soccorsa da un’ambulanza di passaggio e portata alla clinica Mangiagalli, dove esiste un polo anti violenza. Da lì, approda al Centro Donna della Camera del Lavoro di Milano, che ha sottoposto il caso all’Inca per creare una rete comune di supporto e di protezione. La prima azione è stata una richiesta di riconoscimento dello stupro come infortunio “in itinere”. Nel percorso, cioè, dal luogo di lavoro a casa. l’Inail ha risposto positivamente, con un certificato di malattia di dieci giorni. La donna ha ripreso a lavorare dopo pochissimo tempo dall’incidente, in un’altra palestra, ma sempre con lo stesso turno serale. L’Inca di Milano l’ha dunque ricontattata, perché fosse visitata dal medico legale.
"Le sue condizioni erano pessime. La violenza aveva lasciato in lei segni visibili di terrore, trascinandola in una condizione di forte depressione. Tra l’altro, non parlava neanche italiano. È sempre stata accompagnata da un amico che faceva da interprete. La difficoltà a comunicare non ha fatto che aumentare la sua sensazione di panico e isolamento. È stato a questo punto, che abbiamo pensato di intervenire diversamente", racconta Chiappani.
Il medico legale dell’Inca, visti i referti dello psicologo che stava seguendo la donna, ha richiesto all’Inail il riconoscimento di un danno biologico (cioè la menomazione dell’integrità psicofisica). L’interpretazione dell’Inail è sempre stata piuttosto restrittiva al riguardo, dando maggiore importanza alla lesione fisica. Ma stavolta le cose sono andate diversamente.
Dopo un percorso durato alcuni mesi, l’Istituto ha riconosciuto e risarcito il danno psichico e morale subito dalla vittima. È la prima volta che avviene una cosa del genere, ed è un fondamentale passo in avanti. Soprattutto se si pensa che la principale fonte normativa dell’Inail è un Testo Unico risalente al 1965. A quando, cioè, le forme di infortunio erano in parte diverse rispetto a quelle attuali.
"Non solo lo stupro è stato inquadrato come infortunio in itinere. La lavoratrice ha ottenuto il riconoscimento di una sindrome post traumatica, di un danno biologico legato alla violazione della sua integrità psichica. Ciò segna una nuova frontiera nella tutela che d’ora in poi saremo in grado di offrire. Purtroppo, nessuna forma di risarcimento potrà mai cancellare le conseguenze di un’aggressione così brutale. Ma potrà servire ad altre persone, ad altre donne, perché emergano e ricevano un aiuto dalla collettività", conclude la funzionaria dell’Inca.
Anche la Filcams Cgil, cui fa riferimento il contratto della lavoratrice, ha offerto il proprio contributo. La vertenza sindacale per il cambio di turno, da notturno a diurno, è tutt’ora in corso. Maria Costa, responsabile del Centro Donna, sottolinea l’importanza di avere creato un legame solidale attorno alla vittima: "Abbiamo unito le forze, lavorato insieme. La signora si è sentita circondata da cure e interesse. Continueremo a seguirla. Non la lasceremo sola. Questo, per noi, è il valore che una storia, pur così orribile, ci restituisce".