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La legge delega sul lavoro, il Jobs Act, ha riaperto la discussione sull’introduzione del salario minimo per legge in Italia. Contrariamente però agli annunci del premier Renzi, e di numerosi esponenti della segreteria del Pd durante le primarie, nella suddetta legge delega si parla di salario minimo solo per i dipendenti e non per i lavoratori atipici, i precari e le partite iva, come invece si voleva far credere inizialmente. Non è un aspetto irrilevante.
Il salario del lavoro subordinato in Italia è ampiamente coperto dalla contrattazione collettiva e il sistema integrato composto dai ccnl, dall’articolo 36 della Costituzione e dalla giustizia del lavoro ha consentito di conseguire risultati anche superiori a molti altri paesi in cui è stato istituito il salario minimo oppure sono in essere altri strumenti legislativi o sociali. Il problema principale in Italia, infatti, riguarda non il lavoro subordinato ma, in parte, il lavoro parasubordinato e, soprattutto, il lavoro autonomo individuale le cui prestazioni vengono utilizzate – anche quando le modalità autonome sono reali – per abbassare il costo del lavoro a piacimento dei committenti e per scaricare tutti gli oneri relativi ai rischi d’impresa e alle tutele sociali previste per le altre modalità di lavoro.
La conseguenza di tutto ciò, la vera particolarità del nostro paese, è che ad essere spinti con forza verso il basso non sono stati solo i salari derivanti da lavoro manuale ed esecutivo; anzi, sono soprattutto i compensi del lavoro intellettuale e ad alta scolarità che assai spesso vengono trattati con condizioni e compensi inferiori a quelli da lavoro dipendente ed esecutivo. Mentre, in attuazione dell’articolo 36 della Costituzione (primo comma), anche a questi lavoratori e a queste lavoratrici dovrebbe essere garantita un’equità retributiva.
Negli ultimi tempi il mutamento delle condizioni di lavoro e di mercato all’interno del lavoro autonomo individuale ha visto peggiorare fortemente le condizioni di reddito e professionali di gran parte di questo mondo. Come si evince dai dati dell’Istat, elaborati dall’Osservatorio dei Lavori-Associazione 20 maggio, in Italia nel 2013 sono attivi oltre 3.266.000 lavoratori autonomi (esclusi i collaboratori a progetto), in gran parte professionisti, con attività individuale senza impresa e senza dipendenti né collaboratori. Il codice civile li definisce prestatori d’opera individuale e intellettuale ma è più corretto definirli partite iva individuali.
La gran parte delle ricerche disponibili (Istat, Isfol Plus, e Ires) dimostrano che, contrariamente al lavoro parasubordinato, tra le partite partite Iva individuali il livello d’abuso è al di sotto del 10 per cento. Molto più preoccupante, tra i professionisti con attività individuale, è invece l’enorme abbassamento dei compensi e il fatto che, allo stesso tempo, questi lavoratori continuino ad essere privi delle più elementari forme di regolazione e di tutela all’interno di un mercato che non restringe autonomia e competenza, ma reddito e protezione sociale. Proviamo a ricostruire il quadro generale dei compensi andando a indagare alcune delle diverse situazioni in cui è suddiviso il lavoro delle partite Iva individuali e del lavoro atipico.
Collaborazioni a progetto: compensi iniqui in media sotto i 10.000 euro lordi annui.
La gestione separata Inps è popolata da molteplici tipologie di lavori. Anche i redditi, quindi, sono diversi tra di loro. I redditi dei 647.691 contratti a progetto i attestano sui 9.953 euro lordi annui, a fronte di una media, sempre nella gestione separata, di 18.073 euro. Nelle regioni del Sud, poi, la media dei redditi è la metà rispetto alle regioni del Nord. All’interno del lavoro parasubordinato una delle ingiustizie più evidenti è segnata dalla differenza del reddito delle donne che guadagnano il 49,8 per cento in meno rispetto ai maschi.
Partite Iva iscritte alla gestione separata: tracollo di redditi e contributi Inps.
Il dato più rilevante che emerge sui redditi degli iscritti alla gestione separata Inps con partita Iva è la notevole diminuzione dei compensi medi tra il 2011 e il 2012 passati da 18.836 euro annui lordi del 2011 a soli 15.511 euro nel 2012 (-meno 7,7 per cento in un solo anno). Il tracollo dei redditi, assieme ad una diminuzione degli iscritti, ha determinato anche un calo del gettito contributivo che, fra le partite iva della gestione separata Inps, è diminuito del 20,6 per cento in un anno.
I liberi professionisti: sofferenza under 40.
Dai dati delle casse previdenziali dei liberi professionisti emerge come la sofferenza maggiore riguardi i redditi dei giovani professionisti under 40 che nel 2013 hanno avuto redditi medi lordi di 24.436 euro annui rispetto ai 54.110 dei colleghi over 40, con un pay gap (la differenza fra il reddito medio dei due gruppi) del 54,84 per cento. Nel 2008 i redditi medi degli under 40 erano di 26.075 euro: negli ultimi sei anni c’è dunque stato un calo del 6,29. (vedi tabella 2). Anche tra i liberi professionisti il pay gap tra i due sessi rimane elevato e, infatti, i livelli reddituali, in termini assoluti, rimangono comunque più favorevoli per gli uomini con un differenziale retributivo che si attesta al 29,06.
I redditi netti nel 2012.
Questa fuga dai costi del ccnl, la mancata regolazione dei compensi e dei rapporti di lavoro e una discutibile politica fiscale e previdenziale hanno portato ad avere un quadro problematico nel 2012: a fronte di una media dei redditi lordi annui dei dipendenti di 24.363 euro, se prendiamo a riferimento un residente nel Comune di Roma, il suo reddito netto nel 2012 è stato di 1.439 euro. Come abbiamo visto la media dei compensi dei collaboratori a progetto è di 9.953 euro, che si traduce per un residente a Roma in un reddito netto mensile di 719 euro. Proseguendo, una partita Iva iscritta alla gestione separata nel 2012 poteva contare su 15.511 euro di reddito lordo arrivando a soli 705 euro netti mensili. Su questo risultato pesa significativamente il prelievo previdenziale più alto rispetto a tutti gli altri lavoratori. Per i liberi professionisti abbiamo preso a riferimento i redditi dei giovani iscritti in due delle numerose casse previdenziali. I giovani avvocati under 40, ad esempio, nel 2012 hanno avuto un reddito pro capite medio lordo di 25.897 euro con un risultato netto a Roma di 1.300 euro, mentre i loro giovani colleghi architetti non hanno superato una media di 18.220 euro di reddito annuo lordo con una situazione netta di 922 euro mensili.
Insomma, il dato è chiaro: ci troviamo di fronte a una platea di circa 4 milioni di persone fra partite Iva individuali e parasubordinati che hanno necessità di tutela e regolazione, ma tra questi abbiamo una vera emergenza di reddito e di protezioni sociali per almeno 1.320.811 lavoratori autonomi e parasubordinati (703.313 parasubordinati, 259.813 partite Iva iscritti gestione separata Inps, 357.685 liberi professionisti under 40). Questa situazione dimostra che senza una regolazione dei compensi si scarica sui lavoratori più deboli, più giovani, più professionalizzati e sulle donne l’abbassamento dei costi imposti dai committenti, compromettendo il futuro della parte più scolarizzata e ad elevata competenza del nostro mondo del lavoro. Con questa corsa al ribasso si compromette anche il futuro dell’intero sistema previdenziale e di welfare che non sarà più in grado di garantire prestazioni dignitose e che, già ora, non riesce ad allargare il sistema di protezione sociale a questo importante segmento del lavoro. Non solo, la mancata regolazione e sostegno di una parte così consistente del lavoro intellettuale ci porterà necessariamente a continuare a disperdere il nostro patrimonio di competenze umane e, di conseguenza, a essere sempre meno competitivi sul piano della qualità e dell’innovazione dei prodotti, continuando a rincorre i paesi emergenti su un’effimera quanto autolesionista rincorsa al ribasso dei compensi e dei diritti delle persone.
*Responsabile lavoro professionale Cgil