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L’elettronica di consumo sta subendo profonde trasformazioni, anche a causa dell’espandersi dell’e-commerce. Un mondo complesso, composto da tanti segmenti e diversi canali di vendita che incidono fortemente sulla distribuzione. Trade Lab, la società di analisi e consulenza – che insieme al Ce.Mu, il Centro studi multiservizi della Filcams, predispone report periodici sul terziario – ha elaborato per un corso di formazione della Filcams Cgil di Firenze un approfondimento sul settore, mettendo in luce le trasformazioni e le difficoltà. Secondo i dati elaborati, gli elettrodomestici rappresentano il macro-segmento più rilevante di questo mercato (41%), mentre i due settori che negli ultimi anni hanno mostrato il più elevato livello di innovazione sono la telefonia, grazie agli smartphone (31%) e l’informatica (24%) con i tablet. La distribuzione dei prodotti di elettronica di consumo complessivamente è molto frammentata, ossia caratterizzata da un numero rilevante di formati distributivi che si ripartiscono le quote di mercato attraverso posizionamenti e tipologie di offerta differenziati.
Il livello di multicanalità è particolarmente spiccato, oltre che rappresentato da casistiche singolari per ciascun segmento. Ci sono i Gsa, ovvero le grandi superfici alimentari: ipermercati e supermercati come Auchan, Carrefour, Esselunga, Ipercoop. Poi i Gss, cioè le grandi superfici specializzate, grandi superfici di elettronica, catene organizzate quali Expert, Euronics, Mediaworld, Trony, Unieuro. Le Gsns, grandi superfici non specializzate, mercatoni, cash&carry, tra cui Conforama, Grancasa, Mercatone Uno, Metro; i negozi specializzati, negozi indipendenti, negozi di telefonia, fotografi, computer shop, software house, Tim, Tre, Vodafone, Amico Shop, Apple Store, Computer Discount, Essedi eccetera. Infine, i siti online (Amazon, Mediaworld, Monclick) e altri canali: mobilieri, negozi specializzati per ufficio, rivenditori di autoaccessori, catene specializzate nell’intrattenimento multisettoriale (Mondadori, Feltrinelli).
“La filiera dei prodotti di elettronica di consumo – spiega Luca Pellegrini, professore ordinario di marketing all’Università Uilm di Milano ed esperto del settore – è quella più impattata dall’e-commerce e si tratta anche del settore in cui gli impatti si stanno manifestando, in Italia come in altri mercati, da più anni. È quindi ragionevole considerarli maggiormente consolidati, fermo restando che stiamo parlando di un fenomeno ancora in rapidissima evoluzione”. Le conseguenze del sempre crescente ruolo del web sono diverse, tra cui la riduzione dei punti vendita e delle loro dimensioni. “L’elemento che più ha creato problemi all’elettronica di consumo – spiega ancora Pellegrini – è sicuramente l’e-commerce, ma in Italia è pesata anche la mancanza di innovazione tecnologica che in passato ha tenuto in piedi il comparto. La concorrenza tra punti vendita è tanta, per cui chi ha una struttura più forte è riuscito a reggere bene, altri meno. Come Trony, che aveva già una storia molto complicata, mentre Mediaworld sta cercando di reagire alle difficoltà ridimensionando i negozi”.
La concorrenza è tanta anche con l’online, dove proliferano sempre di più marchi dedicati esclusivamente alla tecnologia. Oltre al colosso Amazon, ormai padrone delle vendite su ogni tema, tra i marketplace più attivi ci sono E-price e Monclick. Il primo è, per valore di fatturato, il quarto marketplace di e-commerce in Italia, ma il primo specializzato nei prodotti di elettronica di consumo. Nel 2015 ha sviluppato un fatturato di 235 milioni di euro; mentre nel 2016, anno anomalo, ha messo in atto alcune operazioni straordinarie che lo rendono meno rappresentativo. Monclick è per valore di fatturato il secondo marketplace attivo nel nostro Paese specializzato nel segmento dell’elettronica di consumo; nel 2014 ha chiuso l’esercizio con quasi 77 milioni di euro di fatturato, mentre nel 2015 ha superato i 98 milioni. Poi nel 2017 l’azienda è stata interamente ceduta al gruppo Unieuro. Lo scenario futuro è difficile da prevedere, ma sicuramente qualcosa deve cambiare. “I marchi – osserva il docente – devono proporre la vendita online e cercare di diminuire i negozi per spostare delle vendite sull’ e-commerce”. Meno superficie, meno spazio al magazzino, e competizione su internet: “Un cambiamento che non è detto possa essere del tutto negativo per l’occupazione che si potrebbe spostare sulla gestione dell’online, dal magazzino, all’impacchettamento alla consegna della merce”.
“I riferimenti del passato sono stati messi in discussione da un mercato che sta completamente mutando”. Così commenta Alessio Di Labio, responsabile nazionale Filcams dell’elettronica di consumo: “L’online oltre ad aver rivoluzionato il rapporto con il cliente ha attaccato i margini del retail. I siti hanno minori costi fissi dovuti proprio alla mancanza di rete fissa e sulla guerra dei prezzi gioca un ruolo fondamentale la politica deflattiva di Amazon volta esclusivamente a guadagnare quote di mercato a cui i player della distribuzione specializzata hanno risposto con campagne promozionali particolarmente aggressive”. Secondo l’analisi della Filcams nazionale, il combinato di riduzione della rete vendita e di abbassamento dei margini nelle imprese più solide come Unieuro e Mediaworld, ha generato le criticità sull’occupazione e sulle condizioni di lavoro e ha causato le crisi strutturali di alcune imprese relativamente più piccole, tra cui le ultime due in ordine di tempo sono Galimberti Euronics in concordato preventivo e Dps Trony definitivamente fallita.
Le ripercussioni sul lavoro sono rilevanti anche nel canale degli ipermercati – che continua a perdere quote di mercato sull’elettronica – tanto che alcune catene della grande distribuzione hanno definitivamente abbandonato il reparto multimedia. “Difficile fare previsioni sul saldo occupazionale – osserva Alessio Di Labio –, siamo in una fase assolutamente transitoria per poter affermare che ciò che si perde nei punti vendita si recupera nella logistica e nei trasposti, e comunque sarebbe utile fare una valutazione sulla polarizzazione territoriale della nuova occupazione. Al momento si cerca di arginare l’impatto occupazionale nel retail, ma nei casi più drammatici come Dps Trony non abbiamo neanche gli strumenti normativi per farlo”. Quest’ultimo è stato il fallimento più drammatico: l’azienda lascia a casa più di 600 lavoratrici e lavoratori, la rete vendita del gruppo è all’asta. Se ci fosse stata l’opportunità della cassa integrazione, come prima della Fornero, molti di loro avrebbero potuto ritrovare un lavoro. “Ma senza ammortizzatori sociali – conclude Di Labio – le persone hanno preferito essere licenziate e andare in Naspi piuttosto che aspettare senza retribuzione un’incerta ricollocazione”.