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L'industria chimica rappresenta, per la sua capacità di fornire contenuto innovativo e beni intermedi a tutti gli altri settori produttivi, uno dei comparti portanti dell’economia e dello sviluppo di ogni paese industrialmente avanzato. All’interno del quadro di crisi internazionale esplosa nel 2007, la chimica ha resistito meglio degli altri comparti al forte impatto industriale ed economico e sta reagendo bene ai segnali positivi che arrivano dal mercato per agganciare la ripresa. Il 2014 ha visto una crescita mondiale del settore del 3,6%, con un valore prodotto di circa 3.200 miliardi di euro e il 2015 sembra destinato a confermare l’importante tendenza alla espansione. Il maggiore produttore mondiale è la Cina con il 33% dei volumi, l’Europa è al 17,2%, mentre gli Stati Uniti si attestano al 14,7%.
L'Europa è il leader mondiale nell’ambito degli investimenti finalizzati alla ricerca e allo sviluppo
L’Europa, che ha sempre avuto un ruolo di leadership nel comparto, ha visto negli anni 2000 sgretolarsi progressivamente questo primato a beneficio dei paesi emergenti, della Cina in particolar modo. Basti ricordare che alla fine del ‘900 l’Europa deteneva il 32,1% del fatturato mondiale e la Cina il 5,8%. Il Vecchio continente mantiene comunque un importante posizione internazionale tra i produttori, tanto da realizzare nel 2014 (dati Cefic 2015) un saldo commerciale complessivo nel comparto per un valore di circa 44 miliardi di euro, di cui 42 da chimica fine e specialistica e 2 da chimica di base. In Europa - ricordiamo - è insediato il più elevato numero delle grandi imprese del settore e qui hanno mantenuto i propri centri di innovazione, facendo del Vecchio continente il leader mondiale nell’ambito degli investimenti finalizzati alla ricerca e allo sviluppo.
In Italia la chimica ha realizzato nel 2014 un valore delle produzioni pari a 52 miliardi di euro, con un incremento dello 0,7% dei volumi rispetto al 2013. Il nostro Paese si conferma terzo produttore europeo, dopo Germania e Francia e decimo a livello mondiale. Attualmente sono 109.000 gli addetti, per complessive 2.770 imprese. L'Italia è esportatrice di chimica fine, per cui il saldo negativo della bilancia commerciale, pari a circa 10 miliardi di euro nel 2014, è sostanzialmente dato dalla petrolchimica e dalle materie plastiche correlate, le cui filiere produttive dall’inizio degli anni ‘90 del secolo scorso sono state sostanzialmente tutte in capo alle società dell’Eni.
L'Italia non investe nella petrolchimica
Determinante nella destrutturazione della petrolchimica ieri, e oggi nella definizione del quadro di prospettiva, è stato ed è il ruolo delle grandi Imprese, caratterizzato: dalla mancanza di investimenti in nuovi impianti da oltre 20 anni; dal processo di dismissioni che, attuato dall’Eni da oltre 25 anni, ha subito un’accelerazione molto preoccupante proprio negli ultimi 7 anni. Per completare il quadro nazionale è utile ricordare che dall'inizio della crisi sono stati chiusi l’impianto di produzione di polipropilene di Terni della LyondellBasell, i tre impianti di cloruro di vinile monomero di Vinyls Italia di Marghera, Ravenna e Porto Torres, i tre impianti di produzione di pvc di Marghera, Porto Torres e Ravenna e l’impianto di produzione di cloroetano di Ravenna.
Se verrà dato corso al piano presentato da Eni, che prevede la chiusura definitiva del cracker di Porto Marghera e la sua trasformazione in un polo logistico delle materie prime, rinunceremo ad avere in Italia un grande gruppo petrolchimico. Avremo invece una società partecipata dallo Stato, ben posizionata soltanto nel settore delle gomme sintetiche, con una presenza limitata nel settore dei polistiroli e qualche impianto di cosiddetta chimica verde. Poiché l’economicità dei cracking è legata necessariamente alla presenza delle poliolefine a valle, se queste non verranno salvate, non ci sarà più in Italia una petrolchimica degna di questo nome.
Il processo di dismissione degli impianti è stato preceduto dal frazionamento di importanti filiere produttive
Il processo di dismissione degli impianti è stato strategicamente preceduto dal frazionamento di importanti filiere produttive tra più imprese proprietarie e tra più poli chimici. Questa amputazione delle filiere ha determinato nel tempo una perdita di competitività delle produzioni e dei poli chimici, che hanno bisogno di “reciprocità” e che si squilibrano quando a valle o a monte di un determinato processo produttivo viene a mancare la sua integrazione. Così si è proceduto per cancellare il ciclo del Cloro, producendo un significativo peggioramento delle condizioni di competitività dei trasformatori che, solo nel segmento PVC, raggruppano un migliaio di imprese con 40.000 dipendenti ( più di tutto il gruppo Eni in Italia). Analoga situazione oggi si determina per le lavorazioni basate su Polietilene e Polipropilene.
Con il prezzo del petrolio al di sotto dei 50 dollari al barile sono tornate economiche produzioni che Eni dichiarava in perdita, come dimostra il bilancio semestrale 2015 di Versalis, che per stessa ammissione dell’AD ha beneficiato dei risultati economici dell’attività del cracker di Marghera, che alimenta via pipe-line gli stabilimenti di Mantova, Ferrara e Ravenna. A conferma degli importanti risultati ottenuti, Versalis dopo avere decretato, con un accordo siglato nel novembre dello scorso anno, la chiusura definitiva del cracking di Marghera, ha annunciato che invece l’impianto rimarrà in marcia per motivi economici, su richiesta di un competitor asiatico di Eni, sino alla fine 2016.
I rischi del quadrilatero padano
Per il quadrilatero padano (ossia i quattro siti petrolchimici di Marghera, Ferrara, Mantova e Ravenna) le conseguenze di una chiusura definitiva del cracker sarebbero facilmente prevedibili: si indebolirebbero tutti fortemente. A partire dal Petrolchimico di Ferrara, dove l'attuale impianto di polietilene ha una taglia troppo piccola (ca 100.000 t/a) e sopravvive solo in quanto è rifornito via pipeline dall'etilene prodotta dall'impianto veneziano. La chiusura di quell'impianto farebbe lievitare i costi generali di sito, determinando una perdita di competitività dell’intera area industriale. Anche gli altri operatori presenti a Ferrara (a partire da Basell) si troverebbero in una condizione strategica di maggior debolezza, poiché la fornitura di etilene e propilene da Marghera via pipeline quando proviene dall'attività del cracker presenta vantaggi immediati (certezza qualità prodotto, continuità di fornitura, ecc.), che sarebbe arduo ricercare sul mercato spot.
Sul versante delle produzioni da fonti non fossili, va operato ogni sforzo per far sì che possano trovare realizzazione nel nostro Paese, le nuove esperienze di chimica verde/green/bio ecc., sostenendo e sfruttando le competenze delle risorse presenti nei siti ancora attivi e le disponibilità delle imprese interessate ad investire nel settore. Ma sarebbe un tragico errore politico, oltre che economico e industriale, procedere allo smantellamento della chimica tradizionale senza avere certezze sulla sostenibilità economica e tecnologica dei progetti sostitutivi.
Il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro e il forte calo del prezzo del petrolio e dei suoi derivati, iniziato nel corso dell’ultimo trimestre del 2014 e destinato secondo gli esperti a perdurare, se non a ridursi ulteriormente nel medio periodo, hanno determinato un nuovo scenario economico. In sintesi questi sono gli elementi che lo caratterizzano: una maggiore competitività dell’Europa e delle produzioni a virgin naphta; un minore fatturato ma maggiori guadagni delle società; ma soprattutto una richiesta di incremento produttivo di materie prime e di produzioni chimiche di base per sostenere le filiere a valle e le produzioni chimiche specialistiche.
Ha ancora un senso produrre chimica in Europa e in Italia
Possiamo dunque affermare che ha ancora un senso produrre chimica in Europa e in Italia. Non a caso nei primi sei mesi dell’anno, l’utile operativo adjusted della chimica Eni ha toccato i 226 milioni di euro, con un miglioramento di 795 milioni rispetto alla perdita di 569 milioni registrata nel primo semestre 2014, con un utile netto realizzato nello stesso periodo di 175 milioni, ovvero 618 milioni in più rispetto al corrispondente periodo del 2014. E' piuttosto singolare che in questo quadro la presidente di Eni, Emma Marcegaglia, abbia dichiarato, in una intervista, rilasciata al Sole 24 ore nel mese di maggio di quest’anno, che Eni deve diventare una Oil and Gas Company, dedita alla attività estrattiva di fonti energetiche di derivazione fossile. Un'azienda, insomma, che non contiene più l'industria chimica tra le proprie attività.
* Segretario generale Filctem Ferrara