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L’intesa era stata trovata, poi l’azienda ci ha ripensato e mandato tutto all’aria. E oggi (mercoledì 7 novembre) si riparte, con un nuovo incontro a Roma, alle ore 18 presso il ministero dello Sviluppo economico. La vertenza della Unicoop Tirreno (un milione di soci, un centinaio di punti vendita e circa 4.500 dipendenti tra Toscana, Lazio, Campania e Umbria) va ormai avanti a strattoni, con sindacati (Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil) e Regioni sempre più delusi dai comportamenti della società.
La Unicoop Tirreno, nell’incontro del 18 ottobre scorso, aveva accettato la proposta (avanzata dal governo) di sospendere la cessione di otto negozi nel Lazio (due a Pomezia, uno a Fiuggi, Velletri, Aprilia, Genzano, Colleferro e Frosinone) alla Pac 2000 (detentrice del marchio Conad), per complessivi 270 dipendenti, “congelando” ogni decisione fino al 30 novembre. Da quel giorno, dunque, ci sarebbe stato un mese e mezzo di tempo per ragionare con calma sulla difficile situazione finanziaria della catena di distribuzione alimentare, il cui obiettivo è il ritorno al pareggio di bilancio nel 2019.
Dieci giorni dopo, il dietrofront. Nell’incontro del 29 ottobre, sempre in sede ministeriale, Unicoop Tirreno annuncia la chiusura di quattro negozi (Aprilia, Frosinone, Velletri e Pomezia via Cavour) degli otto di cui aveva accettato di sospendere ogni decisione. “Ennesima delusione”, commenta la Filcams Cgil, sottolineando che “l’azienda, come al solito, torna sui propri passi, dimostrando nuovamente scarsa credibilità e nessuna soluzione chiara da proporre”.
Ma le brutte notizie non finiscono qui. “Assieme alla dichiarazione della cessione dei quattro negozi – prosegue la Filcams – nell’incontro del 29 ottobre Unicoop Tirreno ha anche ribadito l'importanza di ridurre il costo del lavoro, portandolo all'11,5 per cento sul fatturato e, come se non bastasse, sale a 15 milioni di euro la cifra da recuperare, data la mancata cessione dei restanti quattro punti vendita”. I sindacati, dunque, rilevano che finora la società ha dimostrato di non aver elaborato alcun piano industriale di alternativa alle cessioni, ed è quanto seguitano a chiedere fin dall’inizio della vertenza.
Unicoop Tirreno intanto, nella riunione del Consiglio di amministrazione del 16 ottobre scorso ha ribadito “che gli obiettivi di contenimento delle perdite necessari al raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2019 e al conseguimento degli utili nel 2020 (come indicati nel piano industriale della cooperativa) restano inderogabili e dovranno essere conseguiti con determinazione”. Un obiettivo non facile da raggiungere: malgrado le parole rassicuranti del direttore generale Piero Canova (“l'operatività nei primi otto mesi del 2018 – ha dichiarato – ci conferma quanto pianificato, con un nettissimo miglioramento rispetto al 2017”), la previsione del bilancio 2018 potrebbe comunque chiudersi in rosso.
Tornando ai contenuti della vertenza, i sindacati contestano il piano industriale (approvato nel 2016) di Unicoop Tirreno, in quanto “si pone quale principale obiettivo quello di ridurre il salario, peggiorare le condizioni di lavoro e abbandonare parte dei dipendenti”. Filcams, Fisascat e Uiltucs chiedono che il perimetro aziendale rimanga immutato e che nessun posto di lavoro vada perduto, ma nel contempo si dicono disponibili a valutare il ricorso ad ammortizzatori sociali conservativi per quei punti vendita che stanno attraversando le maggiori difficoltà. Altro tema di dissidio, infine è il superamento della contrattazione integrativa (che porterebbe a un taglio netto in busta paga, secondo l’anzianità e la qualifica, da 200 a 350 euro) e del patto occupazionale siglato nel 2017, con ulteriori flessibilità dell’organizzazione del lavoro e inevitabili ripercussioni sul taglio delle ore lavorate e delle retribuzioni.