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Dieci anni fa in un tragico incidente moriva Sergio Usai, per lungo tempo (almeno per un decennio: dal ’74 all’84) leader dei minatori sardi della Cgil e poi, dal ’94 al 2002, segretario della Camera del lavoro del Sulcis Iglesiente. Non è facile trovare le parole per ricordarne la figura senza correre il rischio di scadere nell’abusato luogo comune. Che la sua intensa militanza nelle file del movimento operaio, ma anche in ambito politico e culturale, abbia lasciato il segno è innegabile. Figlio della vecchia scuola dell’agire sindacale, nella sua attività quotidiana, non ha mai trascurato nessun dettaglio. Più di ogni altra cosa c’era il rispetto per chi aveva di fronte, poi veniva tutto il resto. Il lavoro, le conquiste in favore dei “suoi” minatori rappresentavano il sale di un impegno vissuto sempre in prima persona.
All’inizio degli anni settanta, giovanissimo, era stato tra gli audaci disoccupati che rivendicarono la riapertura e il mantenimento delle miniere carbonifere, appena chiuse dall’Enel. Partì una lotta durissima (era il 1974) che sfociò nell’occupazione dei pozzi di Seruci, una scintilla che riaccese la miccia e dopo alcuni anni portò alla legge per la riattivazione del bacino carbonifero, oggi fatto a pezzi dalla scure dei provvedimenti europei. Dalla lotta per il carbone alla segreteria provinciale dei minatori del Sulcis Iglesiente il passo fu brevissimo. Sergio seppe farsi apprezzare per la qualità del suo operato e anche per la sua dirittura morale. Era uno di loro e ancora oggi gli anziani minatori lo ricordano tradendo una certa emozione.
Sapeva benissimo che per avere la fiducia degli uomini del buio bisognava alzarsi presto ed essere sempre presente nei cantieri, all’imbocco delle gallerie, all’ingresso dei pozzi o negli impianti. Da segretario della Filcea alla guida della Camera del lavoro, non si tirò indietro nell’annosa vertenza dei pescatori sulcitani, che rivendicavano la possibilità di lavorare in sicurezza nei territori costieri invasi dai militari della Nato. Una battaglia impari, che portò – a Teulada, una delle aree costiere più belle della Sardegna – a importanti risultati. Anche loro, i pescatori – uomini duri che per un tozzo di pane sfidano ogni notte le onde – lo ricordano con affetto.
Sergio Usai è stato un buon comandante, in una delle più dure battaglie per la riconquista del territorio regionale. Capace di grandi intuizioni, fu tra i primi a rivendicare il riconoscimento del Parco Geominerario della Sardegna quale ente per sovrintendere alla fase di bonifica e risistemazione dei territori minerari dismessi. Lo fece sostenendo la stabilizzazione di oltre 500 lavoratori socialmente utili. Così come non si tirò mai indietro nel rivendicare per il suo territorio un trattamento simile alle altre realtà europee in materia di costi energetici. Per lui il carbone era un pezzo di Sardegna, non digeriva la dipendenza dal petrolio e i costi superiori che ne derivavano. Gli stessi costi che, dopo la sua scomparsa, hanno portato alla cancellazione di quasi tutto il polo industriale di Portovesme.
Se la lotta e la determinazione del popolo delle miniere e dell’industria per molti anni è stata un’autentica forza propulsiva, in grado di garantire lavoro, dignità e rispetto a uno dei territori più poveri del Paese, buona parte del merito è da attribuire indubbiamente a lui. Sergio ha agito in quegli anni da “detonatore intelligente”, perché sapeva leggere gli avvenimenti in anticipo rispetto ai tempi, sapeva costruire le “giuste” alleanze nei momenti “giusti” e, pur se con modi spesso aspri, era capace di mettere assieme anche chi non la pensava come lui. Riuscì per molti anni a coinvolgere persino le istituzioni ecclesiastiche, portandole al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori.
Cresciuto nella federazione unitaria dei minatori e poi dei chimici (la Fulc), condusse assieme agli altri sindacati tutte le più importanti battaglie per la crescita e lo sviluppo del suo territorio: dalla scuola alla sanità, dall’ambiente ai trasporti. Sergio Usai ha lasciato un enorme patrimonio di idee, che le attuali generazioni dovrebbero conoscere e apprezzare. Questo ricordo – ingrato e parziale – ha evidenziato solo le cose che chi scrive ha toccato con mano, nella consapevolezza che, per rendere merito a tutto il suo enorme contributo, servirebbe molto più spazio e molto più tempo.
A me, a dieci anni dalla sua scomparsa, piace ricordarlo in cima a un cucuzzolo dominante la sterminata base Nato di Capo Teulada; con un megafono in mano, mentre urla parole di sfida ai carri armati intenti a sparare, e nel frattempo a spostarsi con rapidi movimenti, a un bersaglio posto su una collina poco distante. Quella guerra di Sergio divenne la guerra di tutto un popolo, lo stesso che ancora oggi è in piazza per chiedere lavoro e giustizia, e per difendere una dignità che si fa sempre più sottile. La Camera del lavoro del Sulcis Iglesiente lo ricorderà sabato 7 maggio, alle 9,30, nel salone della Grande miniera di Serbariu, a Carbonia.