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Una rete professionale, organizzata, solida, veloce. Questi i motivi per cui circa il 90 per cento delle dichiarazioni fiscali viene raccolto in Italia dai Centri di assistenza fiscale. I Caf sono considerati dal cittadino il punto di riferimento di tutte le relazioni economiche che lo legano allo Stato, questo vale in maniera trasversale per tutti i ceti e in tutte le regioni. Questo ruolo di cerniera tra pubblica amministrazione e cittadini coinvolge oltre 30 milioni di italiani.
“Il livello di informatizzazione raggiunto dal fisco italiano – dichiarano Mauro Soldini e Massimo Bagnoli, del Coordinamento nazionale dei Caf – non si sarebbe mai potuto ottenere senza l’apporto dei Centri di assistenza fiscale che hanno sempre collaborato con l’Agenzia delle entrate applicando appieno l’evoluzione digitale in atto nel rapporto tra Stato e contribuente. È proprio grazie ai dati inviati dai Caf (e dagli altri intermediari) che l’Agenzia può predisporre le singole dichiarazioni dei redditi. Tuttavia rimane sempre al cittadino l’onere di verifica, motivo per cui continua a rivolgersi ai Caf”.
Un trend che, anche dopo l’avvio della procedura del 730 online, non tende a diminuire. In numeri assoluti il lavoro dei Centri è ulteriormente aumentato, passando da 17.369.822 di dichiarazioni del 2015 a 17.624.566 di dichiarazioni gestite nel 2017. Numeri che, di sicuro, non potranno subire sostanziali ridimensionamenti nemmeno in futuro.
Ma quali le ragioni di questo successo? Anzitutto la fidelizzazione dell’utenza, che vive un rapporto di fiducia consolidato con i Caf e le loro organizzazioni di riferimento. Influisce sicuramente la mancanza di tempo e la paura di sbagliare, che spingono il contribuente a rivolgersi a un intermediario, che assiste e tutela e allo stesso tempo garantisce correttezza e legalità fiscale per non incorrere in errori ed evitare il pagamento dell’eventuale sanzione. E influisce anche la scarsa dimestichezza con l’informatica e i servizi telematici di ancora larga parte della popolazione. Infine, determinante è pure la relativa incompletezza del precompilato, che se da un lato è stata in parte colmata nel 2016 e 2017, dall’altro è alimentata dall’introduzione di sempre nuove norme particolari in materia di deduzioni e detrazioni.
Altro settore in cui l’intervento dei Caf è imprescindibile è quello relativo alle pratiche riguardanti sia il Reddito d’inclusione (Rei) sia quelle legate alle prestazioni agevolate per i servizi pubblici attraverso l’Isee. Quasi sei milioni di famiglie italiane hanno usufruito dei servizi dei Centri di assistenza fiscale. Nei primi tre mesi dell’anno le richieste sono aumentate del 25 per cento. Va sottolineato, inoltre, che i Caf, per il loro modello organizzativo molto flessibile, consentono di realizzare servizi a costi molto bassi. Costi che lo Stato non sarebbe in grado di ottenere.
Il grande lavoro dei Caf, però, è sempre meno riconosciuto da parte del ministero dell’Economia. I trasferimenti finanziari versati dallo Stato alla rete dei Centri è infatti in progressiva diminuzione: nel 2015 (come ben spiega un articolo comparso questa settimana sull’inserto economico del Corriere della sera) il riconoscimento ammontava a 317 milioni di euro, nel 2019 la cifra messa a bilancio è di 217, ben 100 milioni in meno in appena quattro anni. “Ma il lavoro – riprende Soldini – non è diminuito, al contrario la nostra intermediazione continua a servire”. Nell’ultimo biennio, infatti, il numero delle dichiarazioni elaborate dai Centri è rimasto fermo a 17,5 milioni, mentre cresce il numero delle pratiche per l’Isee. Insomma: il lavoro aumenta, ma i contributi scendono. Un’ingiustizia che va assolutamente sanata.