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L'Italia deve ripartire dal lavoro. Fin qui tutti d'accordo. Ma come? Punti di vista, opinioni e riflessioni assai articolate sono emerse nel corso della tavola rotonda “Lavoro per ricostruire l'Italia”, a cui hanno preso parte Giuliano Poletti, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, Tito Boeri, Responsabile scientifico del Festival dell'economia di Trento, Monica Poggio, direttore Risorse umane Bayer Italia e Serena Sorrentino, segretario confederale della Cgil, con la moderazione di Dario Laruffa, giornalista del Tg2. Come era prevedibile, al centro dei ragionamenti il decreto Poletti, con l'intervento su contratti a termine e apprendistato, difeso dal ministro ma pesantemente attaccato dalla Cgil come ulteriore strumento di precarizzazione del mercato del lavoro.
“Non abbiamo nessuno intento di liberalizzare i contratti a termine. Con il decreto diamo la possibilità di stabilizzare una persona per 36 mesi su una posizione lavorativa”. Così si è “difeso” Poletti: “I numeri – ha aggiunto – ci dicono che c'è stata un'impennata degli avviamenti di persone diverse nello stesso posto di lavoro. La scelta nel decreto permette di stabilizzare una stessa persona per tre anni. L'altro tema è quello dell'acausalità, che era uno dei motivi principali del contenzioso sollevato in sede di giustizia del lavoro ed è per questo che abbiamo deciso di intervenire”. Il ministro rivendica anche l'allentamento di alcuni vincoli posti all'apprendistato: “Dopo l'ultima regolazione dell'apprendistato c'è stata una riduzione da 14 a 10 per cento degli avviamenti dovuti a eccessive rigidità. Il messaggio che diamo agli imprenditori è semplice: con i nostri interventi non avete più scuse. Dovete assumere con queste due tipologie contrattuali, non avete più alibi per utilizzare impropriamente altri strumenti come le partite Iva”. Per Poletti, poi, decreto lavoro e delle delega non sono in contraddizione: “La prima risponde alla necessità di dare uno strumento per accompagnare la ripresa economica, l'altra è una norma di ampio respiro e di assetto generale”.
Diverso, naturalmente, il giudizio di Serena Sorrentino, segretario confederale della Cgil: "Siamo contrari - ha scandito - all'idea che la svalorizzazione del lavoro possa favorire una inversione di tendenza. Abbiamo bisogno di nuovi modelli di sviluppo per rendere competitivo il paese. La flessibilità non è stata accompagnata da un sistema di protezioni sociali e ha favorito solo precarizzazione del lavoro e delle condizioni delle persone. C'è ancora una forte esclusione sociale e solo timidi segnali di inversioni di tendenza".
"Le misure che si stanno mettendo in campo - ha aggiunto Sorrentino - non vanno verso un cambio radicale di questa impostazione e non garantiscono l'inclusione sociale. In questi anni di crisi l'impegno del sindacato ha contribuito a difendere una tenuta occupazionale del paese. ll sindacato rappresenta un pezzo consistente della società italiana. Trovo difficile pensare che il decreto possa andare verso una stabilizzazione dei rapporti di lavoro".
Molto articolato anche l'intervento di Tito Boeri. Che ha riconosciuto: "Ci sono avvisaglie positive con qualche sintomo di ripartenza, che però si annuncia anemica, debole, fiacca che va aiutata se vogliano che crei nuova occupazione. Le regole del mercato del lavoro sono molto importanti, perché sono in grado di cambiare la politica delle aziende. Se le regole sono ben definite, le aziende investono sulla formazione, sull'inserimento professionale, se le regole spingono le aziende ad utilizzare il lavoratore in modo diverso, vanno in altra direzione". "Il modello Sacconi - ha aggiunto Boeri - ha portato allo sviluppo di quella fascia di lavoratori, soprattutto giovani, che si sono trovati in una posizione fragilissima. Quando ho sentito del jobs act del governo Renzi ho sperato che si uscisse da questo modello. Poi il decreto del governo è stato via via modificato nel suo iter parlamentare". Boeri ha anche sottolineato, con una certa durezza, le “contraddizioni” tra gli interventi sulla flessibilizzazione dei contratti a termine e il contratto a tutele crescenti contenuto nella legge delega in discussione: “Nessun imprenditore – ha rilevato – avrebbe più interesse a utilizzare questa forma di contratto a tutele crescenti” e la stabilizzazione dei contratti diventerà più difficile.
Tra i capitoli affrontati nel corso del dibattito anche quello caldo del rapporto tra esecutivo e sindacati. Per Filippo Taddei, “le convergenze con i sindacati siano maggiori rispetto alle divergenze, che in questo momento politico vengono maggiormente enfatizzate”. “La politica di questo governo ha tre obiettivi: affrontare la penalizzazione del lavoro dipendente, far diventare il lavoro che si crea stabile e di qualità e affrontare l'ostacolo alla creazione di lavoro, che in Italia non è dato, o solo in minima parte, dalla mancanza di investimenti pubblici, ma privati”, ha aggiunto. “Il nostro altro obiettivo – ha detto Taddei – è quello di operare la più grande redistribuzione fiscale verso i lavoratori dipendenti degli ultimi 15 anni. In questa direzione va il decreto fiscale: 10 miliardi di riduzione Irpef tutto sul lavoro dipendente. Chiedo ai sindacati di incalzarci e giudicarci sul raggiungimento di questi obiettivi”.
Monica Poggio, capo del personale della Bayer, è intervenuta sulle prospettive dell'economia del paese. Ha ricordato che "i 2500 dipendenti della multinazionale in Italia non sono solo impegnati nel settore farmaceutico, ma anche nelle materie plastiche e nella protezione dell'agricoltura". "L'estero si confronta con noi - ha precisato - misurando la nostra capacità di risposta ai picchi produttivi, positiva grazie all'alto senso di responsabilità e alla partecipazione di tutti agli obiettivi aziendali". "I giovani che vogliono proporsi a lavorare con noi - ha precisato Poggio - al di là delle competenze, devono dimostrare una conoscenza della lingua inglese e la disponibilità a muoversi, a mettersi in gioco e a fare la differenza”. (s.i. e c.b.)