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Il poeta, in una libreria di Bologna nel 2009, annuncia il suo probabile ultimo intervento in Italia: “Ho un cancro alla prostata che non mi farà vivere molto a lungo”. Si apre così La neve nera. Luigi Di Ruscio a Oslo, un italiano all’inferno, il documentario di Angelo Ferracuti e Paolo Marzoni già presentato al Biografilm Festival 2014. Il film, che è stato realizzato con l’aiuto – fra gli altri – dello Spi Cgil, si avvale della voce di Ascanio Celestini che legge le poesie di Di Ruscio.
È un viaggio a Oslo per seguire le tracce del poeta operaio e comunista, che emigrò da Fermo nella capitale norvegese nel 1957. A farlo è un altro scrittore di Fermo, Angelo Ferracuti, che ci racconta in questa pagina la storia del suo rapporto con Di Ruscio. L’obiettivo è una ricostruzione: attraverso le interviste a famigliari, amici, conoscenti, la pellicola vuole indagare la scelta di emigrare e la vita scandinava del poeta. Da una parte l’attività letteraria, i versi che lo resero famoso, dall’altra il lavoro da operaio in un clima spietato e inospitale: l’“inferno” del titolo è la fatica quotidiana, in un paese innevato dove l’inverno dura otto mesi. Come emerge dal ritratto, Di Ruscio si svegliava alle 6 del mattino, attraversava in bicicletta il bosco, pedalando ancora nel buio per recarsi alla Spigerverk, la grande fabbrica di produzione di chiodi. Quando tornava dal lavoro, faceva la doccia e iniziava a scrivere poesie.
Ferracuti lascia parlare le persone che lo conoscevano: fra questi l’editor Giuseppe Valvo, l’amico ciabattino Vincenzo Grosso (“Diceva sempre che scriveva le poesie”) e molti altri. Così il presidente dell’Associazione italiani in Norvegia, Antonio Domenico Trivilino: “È riuscito a raccontare la condizioni degli emigranti, che spesso sono gli ultimi nel paese da cui partono, e si trasformano negli ultimi nel paese in cui arrivano”. La mancanza di lavoro fu il motivo principale che lo spinse a espatriare, si racconta, ottenendo il primo impiego come lavapiatti. La Norvegia degli anni ’50 richiedeva manodopera, gli stranieri venivano presi dopo un giorno anche senza conoscere la lingua. Di Ruscio, confida chi lo conosceva, in Italia temeva di diventare un accattone “a causa del sistema politico”, invece ad Oslo aveva una paga e una vita normale. Non a caso Luigi sposò Mary e costruì una famiglia, di cui alcuni membri compaiono nel documentario.
Il percorso si concentra sui volti comuni, amici e colleghi quasi presi dalla strada: facce che ricordano e raccontano, narrando la condizione di migranti e la cultura del lavoro, in accordo con la prospettiva operaia del protagonista. L’affresco include gli aspetti più inquietanti, come l’alto rischio di incidenti sul lavoro, insieme alle debolezze più umane, come la ricerca di ragazze nei locali norvegesi. Da parte sua, il regista Paolo Marzoni alterna riprese del presente a immagini di repertorio, che evocano la Oslo del passato, sottolineando – ancora oggi – le dure asperità del paesaggio nordico.
L’altra particolarità del documentario è il confronto tra due sensibilità. Ferracuti ricostruisce Di Ruscio, uno scrittore racconta l’altro, sono due generazioni diverse avvicinate dallo stesso pensiero: una letteratura di ispirazione sociale. In virtù di questa visione comune, il film è anche un omaggio appassionato che regala momenti toccanti: il maggiore nel finale, con il figlio musicista Adrian che suona l’Internazionale al violino prima di recarsi sulla tomba innevata del padre.