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Quando inizia la democrazia? Cosa s’intende per democrazia oggi? E quale sarà il suo futuro, anche quello più imminente? Sono alcune delle domande che pone questo libro dal titolo “Democrazia” (pp.117, € 10), pubblicato nella sua collana “ParoleBase” dalle Edizioni LiberEtà, curato dal giornalista e scrittore Antonio Fico, che abbiamo avuto modo di intervistare (qui podcast e video). A sua volta, il volume è costruito attraverso una serie di interviste realizzate dal curatore, che sul tema raccoglie nell’ordine le riflessioni di Luciano Canfora, Nadia Urbinati, Paolo Ercolani, Giovanni Sabbatucci, Marco Revelli, Yves Mény, Giovanni De Luna, Michele Mezza; studiosi a vario titolo di argomenti tra loro affini, accomunati da più e meno recenti approfondimenti inerenti una definizione che, a partire dall’età della “Lotta di classe ad Atene”, come titola il dialogo d’apertura con Canfora, costituisce il terreno di discussione politica e sociale del mondo occidentale da oltre due millenni, a partire dalla sua radice etimologica.
Lo storico infatti ci ricorda, oltre il concetto di potere cui il kràtos della lingua greca classica rimanda, come il termine demo possa assumere diversi significati, dalla comunità nel suo insieme a quella parte di comunità più “popolare”, dunque più povera, contrapposta agli aristocratici o a tiranni e monarchie del tempo, nel corso del quale sempre più si è riconosciuta quella parte più cosciente della comunità stessa, rappresentata dal potere popolare, e che nella nostra modernità può essere considerata la base sociale di un partito. Per questo tra le risposte alle domande poste agli interlocutori è possibile riscontrare come alla democrazia venga spesso accostato, pressoché in antitesi, quel populismo di cui oggi tutti discettiamo in gran parte delle conversazioni che tentino di analizzare il momento politico attuale, a volte senza ben sapere di cosa si stia realmente parlando. Giungono così a proposito le considerazioni del politologo Marco Revelli, che proprio nelle ultime pubblicazioni per Einaudi (“Populismo 2.0”, 2017, “La politica senza politica”, 2019) insiste sulle origini e lo sviluppo del populismo, che “non nasce oggi, e non finirà né stasera né domani”, essendo una condizione che di base tende a semplificare ogni rapporto di carattere politico, affondando i suoi artigli in decenni contraddistinti da una “congiuntura infausta”, segnata dalla sconfitta epocale del mondo del lavoro e dei suoi diritti, a cui segue la crisi del cosiddetto partito-massa; il tutto confezionato dalla mutazione socio-produttiva causata dall’irrefrenabile avanzata del turbo-capitalismo contemporaneo; ed è proprio questo il punto nodale, che unisce le voci presenti in questo libro.
Perché se nel passato il modello capitalista può aver contribuito allo sviluppo e al diffondersi anche di un modello democratico e liberale nel mondo, oggi assistiamo a una pericolosa sinergia tra la peggior deriva del capitalismo originario, e preoccupanti forme di governo che sempre meno individuano nel concetto di democrazia un punto insostituibile di organizzazione sociale, mentre sempre più strizzano l’occhio a tentazioni autoritarie di controllo sul cittadino-elettore, sempre più trasformato in cittadino-consumatore, secondo logiche di mercato ormai affermate e consolidate. Per questo, nelle ore del tradizionale Super Tuesday americano, che potranno dirci molto riguardo le sorti dello sfidante democratico alle prossime elezioni presidenziali del novembre 2020, vale la pena ripensare alle parole di Alexis de Toqueville nel suo celebre scritto “La democrazia in America”, lontane ormai due secoli, e recuperate in esergo al volume: “Quando il cittadino è passivo, è la democrazia che s’ammala”.