PHOTO
Politologi a confronto sul tema della 'Democrazia discussa', alle Giornate del lavoro della Cgil a Firenze (12-13-14 giugno): da una parte, Gianfranco Pasquino, professore emerito all'università di Bologna: dall'altra, Michele Ainis, professore all'università di Roma Tre. A moderare il dibattitto, Alessandra Sardoni, giornalista di La7.
"Se si dice che la democrazia è discussa – è stato l'incipit del professor Pasquino – bisogna dire chi la discute e perchè. In realtà, la democrazia è sempre in discussione, perchè è un dialogo tra i cittadini e tra loro e il potere. Se non fosse in discussione, non sarebbe un organismo vivo, quale deve essere. Piuttosto, oggi c'è una crisi nella democrazia, non della democrazia. Scendendo nel contesto italiano, la nostra democrazia ha sempre avuto problemi, si è retta più sui poteri che sulle istituzioni. E adesso ha problemi d'identità e di leadership".
"Dobbiamo chiederci – ha detto in apertura il professor Ainis – quali sono i problemi strutturali della democrazia, di fronte alle riforme del Governo Renzi, dove una è stata portata a compimento, quella elettorale, mentre l'altra è ancora da fare, quella del Senato. La cifra modificata dell'esperienza del Governo è l'unificazione. Ma il Presidente del Consiglio in carica non è responsabile della situazione attuale, ne è il riflesso. Ed è questa la chiave del successo e del consenso di Renzi. Nei vent'anni precedenti, c'è stato un processo di democrazia bloccata, con il passaggio dal proporzionale al maggioritario. Nel corso del tempo, si è creato un nuovo sistema politico, sul treno della semplificazione e della democrazia diretta dei cittadini. Ma poi il sistema si è complicato, con governi di coalizione sempre più rissosi, con una pletora di partitini che hanno condizionato la vita politica e in qualche caso deciso le sorti di esecutivi, vedi Clemente Mastella, che ha fatto cadere il Governo Prodi con il 2%, e si è arrivati alla depauperazione del modello. Successivamente, l'economia è precipitata e il ceto politico si è imbalsamato. Questo, assieme agli scandali che sono susseguiti, ha scatenato la reazione della società e si è creato un senso di ripulsa nei cittadini".
"Tutto ciò ha favorito la scalata di Renzi – ha proseguito Ainis – , che si è mosso all'insegna dello slogan della rottamazione, del superamento delle vecchie classi dirigenti e dello scavalcamento dei corpi intermedi, in primis i sindacati, privilegiando il discorso diretto con i cittadini. Poi sono intervenute alcune riforme, come quella elettorale, che dà un premio di maggioranza al partito, non alla coalizione. Così da un sistema bipartitico zoppo si è passati a un sistema monopolare, con un'unica assemblea elettiva, dove solo il primo partito vince e prende tutto, e tutti gli altri restano 'nanetti', compreso l'altro partito che va al ballottaggio, che non riceve alcun premio. Lo stesso iter è stato seguìto con la riforma della scuola, dove a comandare è solo il preside sceriffo, e la stessa cosa avviene con il Jobs act, dove tutto il potere ce l'ha il management".
Anche secondo Pasquino, "la verticalizzazione del potere di Renzi appare eccessiva". Ma il politologo bolognese non è d'accordo sul concetto di democrazia immobile nei vent'anni precedenti. "Dal 1994 al 2013, ci sono stati governi che decidevano, come quelli di Berlusconi, e che hanno fatto anche riforme: il titolo V della Costituzione nel 2001 e la legge elettorale nel 2005, il cosiddetto Porcellum, ad esempio. Forse sono stati provvedimenti brutti, ma qualcosa si è fatto. Ora l'Italicum è messo in discussione anche da chi lo ha messo a punto. Sono d'accordo sul fatto che bisogna tornare al premio alla coalizione e non al partito, perchè non esiste governo al mondo che dà un premio del genere a chi vince le elezioni. E anche la riforma del Senato non va bene: è del tutto demenziale: o il Senato rappresenta davvero le Regioni nella loro interezza, e non come fa Renzi, che ne elegge solo pochi rappresentanti, oppure era meglio guardare al sistema tedesco".
Successivamente, Ainis si è soffermato sul rapporto tra democrazia e crisi economica. "Ci siamo ubriacati di diritti, ma un diritto per essere tale, deve essere effettivo, altrimenti è solo un pezzo di carta. Nessun diritto è a costo zero: come quelli primari, alla salute o all'istruzione. Oggi sono anche quelli di terza e quarta generazione, ad esempio, quelli che riguardano gli animali. Per ogni diritto che si va ad aggiungere, si rinuncia alla piena tutela dei vecchi diritti, che sono in competizione fra di loro. Ma molte norme, vogliono dire nessuna norma, nel senso che alla fine ognuno fa quello che vuole, di fronte a una selva di provvedimenti".
Pasquino ha ribattuto che "bisogna fare riferimento ai diritti civili e politici fondamentali, come la libertà di pensiero e di espressione, di voto o di culto, mentre tutto il resto è superfluo, è un di più, frutto di una società egoistica, che si organizza in corporazioni. Ad esempio, il diritto alla sicurezza: è importante come diritto e va assicurato a tutti i cittadini, ma presuppone anche il dovere di pagare le tasse, che permettono poi di stipendiare le forze dell'ordine preposte a far rispettare quel diritto. A proposito di diritti sindacali, invece, c'è il diritto al lavoro, non alla rivendicazioni salariali. Così come per le organizzazioni sindacali non c'è alcun diritto ad essere consultate da Renzi, ma esiste il diritto a partecipare alle scelte del governo che riguardano milioni di lavoratori".
Viceversa, per Ainis, "le rivendicazioni salariali sono il trionfo di egoismi collettivi, mentre è importante l'articolo 39 della Costituzione, quello che garantisce la libertà sindacale e un ruolo ai sindacati, che dovrebbe essere pienamente attuato: non abbiamo, infatti, ancora una legge generale sulle organizzazioni sindacali nè sui partiti politici, seppur tutelati dall'articolo 49. Per quanto riguarda il diritto al lavoro (articolo 4 della Carta), va rispettato appieno, ma se io sono un disoccupato, mica posso andare dal giudice e dirgli: trovami un lavoro! Nella nostra Costituzione esiste un catalogo di norme programmatiche, che rivendicano dei fini da raggiungere: la stessa libertà lo è, così come l'uguaglianza. Ma la realtà è piena di diseguaglianze e la nostra è una fatica di Sisifo. Quelle norme c'indicano dei fini da perseguire, ma ciò non vuol dire che li raggiungeremo, costituiscono il nostro orizzonte esistenziale".
Il confronto tra i due politologi è proseguito sul tema del conflitto istituzionale in atto tra governo e regioni sull'immigrazione. Per Pasquino, "non è novità: è sempre esistito lo scontro tra centro e periferia, tra governo e magistratura, ecc. Dopodichè, abbiamo avuto quindici anni di federalismo, che non può esistere, perchè da noi mancano i pensatori del federalismo. Attualmente abbiamo tre regioni a guida leghista, ma nessuno parla più di federalismo, perchè le regioni non sono in grado di farcela da sole. Altro conto, sono le decisioni che le regioni devono poter prendere. Noi abbiamo ceduto una parte di sovranità all'Unione europea, e ora la dobbiamo riconquistare. Sui migranti, lo scontro in atto con il governo riguarda in particolare un governatore, ex ministro dell'Interno, Roberto Maroni, che oggi ha cambiato opinione su provvedimenti che lui stesso a suo tempo aveva preso".
Ainis, dal canto suo, a proposito del diritto d'asilo ai rifugiati, ha ricordato "che si tratta di una norma nazionale, non regionale". E poi ha fatto la storia di uno Stato, l'Italia, accentratore e unitario per circa un secolo, che poi, con la Costituzione, ha avviato il decentramento regionale. Nel 1970, con 22 anni di ritardo, mascono le regioni, ma il federalismo c'era già nella Carta del 1948. Il governo Amato ha successivamente attuato la svolta federalista della Carta: è stata un'ubriacatura di competenze alle regioni, che alla fine ci è costata 90 miliardi e ha contribuito a far saltare i conti dello Stato. Ora si parla di una riforma in senso inverso, che riduca al minimo le contenze delle regioni". Su questo punto, Pasquino si è detto d'accordo. "L'operazione del governo Amato fu una vittoria di Pirro, fatta solo allo scopo di arginare il più possibile il potere della Lega. Ma nessun governo deve arrogarsi il compito di chiedere un referendum: una democrazia vera non lo fa, semmai lo chiedono i cittadini se raccolgono 500.000 firme!"
Infine, la moderatrice ha interpellato i due professori sulla sovranità dell'Unione e la questione della Grecia. Pasquino ha ricordato che il braccio di ferro in atto tra il governo greco e la Commissione Ue è principalmente dovuto al populismo di sinistra di Tsipras, che sta tirando la corda in modo insopportabile, perchè non vuole attuare la riforma delle pensioni e ridimensionare l'apparato statale, in quanto sono i due cavalli di battaglia della sua campagna elettorale, che gli hanno permesso di prendere il potere. Temo che Grexit sia già avvenuta, e questa è l'opinione della magior parte dei cittadini europei, dei quali solo il 30% ha fiducia nei greci, mentre i tedeschi godono di circa l'80%". "La crisi greca è l'aspetto più drammatico della crisi di tutta l'Unione – ha aggiunto Ainis –, dove è in corso un processo di disintegrazione. L'Ue ha provato a darsi una Costituzione, ma ancora non c'è riuscita: ma com'è possibile se il mondo è sempre più diseguale? Se le diseguaglianze aumentano a dismisura, anzichè diminuire? Nell'Ottocento la forbice tra ricchi e poveri era di 1 a 3, oggi è lievitata a 1 a 97. E anche tra noi italiani le differenze sono sempre più marcate, uno scandalo etico più che politico. I migranti sono persone che scappano da guerre e carestie, ma il problema ce l'abbiamo anche da noi". (R.G.)