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L’11 febbraio 1989 l’Italia ratificava la Convenzione Onu contro la tortura, adottata dall’assemblea generale delle Nazioni unite cinque anni prima. Ma contrariamente agli impegni presi in sede internazionale, nel Codice penale italiano il reato di tortura non è mai stato inserito. Oggi (lunedì 26 giugno) si celebra la Giornata mondiale contro la tortura, e sempre oggi alla Camera ha inizio la discussione generale sull’introduzione del reato. Una legge attesa da decenni, contestata da più parti e con diversi punti critici, che però stavolta potrebbe arrivare a conclusione.
“Sono quasi trent’anni che aspettiamo l’inserimento nel nostro ordinamento giuridico del reato penale di tortura. Un ritardo che ci viene puntualmente segnalato dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu attraverso la Universal periodic review”, spiega Sergio Bassoli, dirigente area Politiche internazionali della Cgil nazionale.
La legge in discussione alla Cgil non piace. “Il testo ha numerosi punti critici e rischia di essere del tutto inapplicabile. Perfino il suo primo firmatario, il senatore Luigi Manconi, se n’è dissociato”, continua Bassoli. Per il dirigente Cgil, però, oggi “non c’è nulla, quindi è comunque importante che legge venga approvata. Abbiamo avuto casi eclatanti come quelli di Bolzaneto o il processo Condor, dove non si è potuto arrivare alle giuste condanne proprio per l’assenza del reato di tortura. Averlo, quindi, è un passo avanti. Ma dal giorno dopo occorrerà lavorare affinché possa essere adeguato allo standard richiesto dalla Convenzione”.
L’iter legislativo inizia in Senato nel marzo 2014. Dopo la prima approvazione in un testo unificato la norma passa alla Camera, che concede il proprio via libera (con alcuni cambiamenti) un anno dopo. Tornata quindi in Senato nell’aprile 2015, rimane lì ferma per altri due anni fino alla nuova approvazione del 17 maggio scorso. Ma visto che a Palazzo Madama aveva subìto ulteriori modifiche, il disegno di legge deve tornare alla Camera per una quarta lettura. Giovedì 22 giugno la commissione Giustizia dà il proprio benestare al ddl, respingendo tutti gli emendamenti e inviando il testo all’aula per l’ok definitivo.
La proposta di legge, composta di sei articoli, prevede che il delitto di tortura sia un reato comune. La pena per “chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa”, è dai quattro ai dieci anni di reclusione, che salgono da cinque a 12 se la tortura è commessa da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio.
Ed è su questa parte che si appuntano le principali critiche della Cgil. “La tortura qui viene considerata come reato comune, mentre nella Convenzione Onu è un reato specifico, compiuto da funzionari dello Stato e da pubblici ufficiali”, illustra Bassoli. Ma è sulla definizione che si registra il dissenso maggiore. “Per la Convenzione la tortura è un qualsiasi atto con cui s’infliggono a una persona dolore e sofferenze acute fisiche o psichiche” continua il dirigente Cgil: “Nel disegno di legge italiano, affinché vi sia tortura, questa deve produrre traumi psichici ‘verificabili’, un lasciato drammatico che può manifestarsi anche a distanza di anni. Inoltre le forme di violenza debbono essere ripetute, cioè una non è sufficiente”.
Tornando alla legge, ulteriori aggravi di pena sono stabiliti se la tortura causa lesioni personali comuni (aumento fino a un terzo), lesioni gravi (aumento di un terzo) e gravissime (aumento della metà). Se la tortura provoca la morte, quale conseguenza non voluta dal torturatore, la pena è di trent'anni, ma se il torturatore cagiona volontariamente la morte la pena è dell'ergastolo. Viene punita anche l’istigazione, da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, alla tortura: in questo caso la sanzione va da sei mesi a tre anni. Infine, il ddl stabilisce che le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura non sono comunque utilizzabili, salvo che contro le persone accusate di tale delitto al solo fine di provarne la responsabilità penale.
“Sembra che la volontà del legislatore sia stata più quella di specificare il tipo di violenza che non quella di condannare senza distinzioni la violenza sulle persone” aggiunge il dirigente della Cgil nazionale. Per Bassoli “oggi le forme di tortura sono le più sofisticate: se non c’è una chiara espressione degli Stati nel condannare qualsiasi atto di violenza, i responsabili continueranno a farla franca”. E in Italia, conclude, si continua “ad avere la paura, introducendo il reato di tortura, di impedire alle forze pubbliche di poter svolgere pienamente la propria funzione di sicurezza”.