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È largamente riconosciuto che la globalizzazione ha portato immensi benefici. Ma si riconosce anche che questi benefici non sono distribuiti in modo equo. La recente sentenza Apple dimostra la complessità del tema della distribuzione dei benefici della globalizzazione. Il governo irlandese a fronte di un vantaggio di 13 miliardi di euro, non ha esitato a schierarsi al fianco della più grande (anche in termini di profitti) azienda del mondo contro il benessere dei suoi cittadini.
Si credeva un tempo che, quando i Paesi diventavano più ricchi, all'inizio erano al loro interno più disuguali, ma che tutti avrebbero poi beneficiato della globalizzazione. Una teoria evidentemente sbagliata. La verità è che la stessa globalizzazione porta crescente disuguaglianza. Quest’ultima può essere affrontata solo dai governi e sempre di più solo da governi che cooperano a livello internazionale. Il caso Apple porta al pettine il nodo della lotta impari tra le potenti corporation e i governi sovrani che cercano di rappresentare i loro cittadini.
Prendere posizione
La Apple ha ingenti riserve di liquidità, ma ha anche beneficiato di prestiti enormi per riequilibrare la tassazione degli interessi. Essa e la maggior parte delle multinazionali non credono più nella necessità di pagare le tasse. Per loro, la tassa è un costo aziendale e non il pagamento per servizi pubblici ricevuti. In particolare, l'iPhone della Apple ha diverse caratteristiche chiave che sono state inventate nei laboratori finanziati dalla spesa pubblica – che sono sostenuti dai sistemi fiscali. Con la globalizzazione, il transfer pricing ha consentito alle aziende di evitare con maggior facilità la tassazione con l'assistenza dei loro consulenti “professional”, le Big four accounting firms.
Fino a quando le multinazionali non cominceranno a vedere le tasse come un preciso dovere morale, l'evasione fiscale internazionale continuerà su scala industriale. Il fatto è che a non funzionare è innanzitutto lo stesso sistema di riscossione: la Direzione generale dell’Ue per la fiscalità ha sempre negoziato sulla materia con le Big four e con le multinazionali. C'è voluto un jolly – la commissaria europea responsabile per la Concorrenza Margrethe Vestager – per mettere in discussione, proprio con la sentenza Apple, questa comoda consuetudine.
No tolerance
L'Unione ora sembra stia finalmente lavorando per i suoi cittadini (del resto, l'elusione fiscale sottrae fondi che potrebbero essere usati per opere di pubblica utilità). L’Ue ha mostrato alle multinazionali che certi livelli di elusione, sebbene legali, non possono più essere tollerati. I governi dovrebbe fare quello che è moralmente corretto: prendere i soldi e investirli in un ambizioso programma sul capitale e non nella spesa del giorno per giorno. Dovrebbero sviluppare anche una politica industriale sostenibile, che non dipenda più dall'incertezza generata dall'elusione fiscale.
L'Irlanda ha molto da offrire. La maggior parte delle multinazionali, compresa la Apple, investono qui per molte altre buone ragioni e continueranno a farlo. Se i governi metteranno fine ai loro “sconti fiscali” e le grandi aziende cominceranno a pagare una tassa giusta sui profitti, anche le disuguaglianze inizieranno a ridursi.
Paul Sweeney è presidente del Tasc Economists’ Network
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